Insieme all'"Odissea", le "Metamorfosi" sono il libro più fortunato che l'antichità classica ci abbia lasciato. Dante e Shakespeare, pittori e scultori, musicisti e romanzieri di ogni paese e di ogni età lo hanno amato, riscritto, illustrato, dipinto. È il libro che per la sua leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità Italo Calvino affidava al terzo millennio. È la summa del mito antico, ma anche delle passioni e dell'infelicità che dominano da sempre il mondo. Tutto, secondo Ovidio, muta: il cosmo, gli dèi, i corpi degli uomini e delle donne. Nelle "Metamorfosi", le storie di animali che divengono pietre, di eroi e ninfe mutati in stelle, di numi che s'incarnano, nascono l'una dall'altra, si intrecciano, riaffiorano in sequenza velocissima e cangiante. Con il quarto volume dell'opera giungiamo ai libri centrali delle Metamorfosi, quelli che vanno dal VII al IX. Vi incontriamo vicende celeberrime: quella, furibonda, di Giasone e soprattutto di Medea durante e dopo la spedizione degli Argonauti, la prima che abbia solcato il mare; la terribile pestilenza di Egina; le storie tragiche di Cefalo e Procri, di Minosse e Scilla, di Ercole e Deianira; ma anche, all'estremo opposto, la favola delicatissima e commovente di Filemone e Bauci, che gli interpreti del Medioevo cristiano seppero bene come spiegare. I due vecchi sposi ospitano Mercurio e Giove nella loro misera capanna, pronti persino a sacrificare la loro unica oca per sfamare degnamente gli dèi.
"Angeli, non Angli", esclama il futuro papa Gregorio Magno quando vede dei bellissimi schiavi inglesi in vendita nel Foro di Roma. Da questa frase prende l'avvio la missione di riconversione della Britannia abbandonata dalle legioni e occupata dagli Angli e dai Sassoni. È l'inizio ideale della "Storia degli Inglesi" composta da Beda nel VIII secolo. Leggermente balbuziente, chiuso per tutta la sua vita nei monasteri di Wearmouth e Jarrow, Beda possiede però "l'ardente spiro" del quale Dante lo vede fiammeggiare nel Ciclo dei Sapienti. Ha commentato quasi tutta la Bibbia, si è occupato del computo del tempo ha composto un "De natura rerum", trattati di ortografia e metrica, vite di santi e persino poesia. La sua "Historia ecclesiastica gentis Anglorum", della quale la Fondazione Valla pubblica in due volumi la prima edizione critica in quaranta anni, è fra le più belle opere storiografiche del Medioevo. Tutto è organizzato con mano sapiente e narrato col piglio dello scrittore di razza. Ma tutto, anche, ha l'aura delle origini e il passo della meditazione sugli accadimenti: se Beda vuole ancorare a Roma l'alba delle vicende inglesi è perché quella che Gregorio, per mezzo del suo missionario Agostino, porta nel Kent è una nuova cultura.
Alessandro diviene un mito mentre è ancora vivo e percorre il mondo. Alla creazione di questo mito ha forse contribuito il nipote di Aristotele, Callistene, che seguì il Macedone nelle sue imprese fin quando non cadde in disgrazia. Persino gli storici non riescono a distinguere completamente dove termini, per Alessandro, il resoconto fattuale e dove inizi la leggenda. Ma è il Romanzo che «trasforma in eventi storici cose che Alessandro ha solo sognato di fare». E il Romanzo che ci narra la conquista dell'Italia e di Cartagine, il suo desiderio di immortalità e conoscenza assoluta. Di questo straordinario bestseller esistono innumerevoli versioni in tutte le lingue, dal greco e dal latino sino all'ebraico, all'arabo e al persiano. Per la prima volta al mondo, la Fondazione Valla - che inizia con questo la pubblicazione dell'opera in tre volumi - presenta quattro recensioni "sinottiche" del Romanzo, tre greche (A, B e Y) e quella latina di Giulio Valerio. Le riscritture colpiscono l'immaginazione: singole parole, frasi, episodi vengono trasformati in un processo continuo, come se ciascun autore, talvolta non comprendendo il predecessore, ma soprattutto conquistato dall'aura meravigliosa dell'argomento, abbia voluto aggiungere, sottrarre e cambiare quasi stesse raccontando la storia oralmente. Ecco così che il Romanzo si presenta come una «intrigante commistione di generi»: lettere, diatribe retoriche, passi di prosa mista a versi, inserzioni successive: è romance, racconto di meraviglie, descrizione del mondo, enciclopedia, biografia: favola e storia. L'introduzione e il commento di Richard Stoneman, e la traduzione di Tristano Gargiulo, ci calano, in questo primo volume accompagnato da un affascinante apparato iconografico, nei primordi della vicenda: il misterioso e gustoso concepimento di Alessandro da parte di Nectanebo, ultimo faraone d'Egitto e grandissimo mago; il suo crescere, educato da Aristotele, nel valore e nella virtù; l'inizio della sua conquista del mondo con Tebe, Tiro, la Siria e l'Egitto; la fondazione della città ideale, Alessandria; e infine l'attacco all'impero persiano. Domina, su tutte, l'immagine del condottiero che domanda al «più potente di tutti gli dèi»: «Signore, svelami ancora una cosa, quando e come sono destinato a finire la vita?».
Indice - Sommario
Premessa
Introduzione
Bibliografia e abbreviazioni bibliografiche
Cartine
TESTI E TRADUZIONI
Sigla
Vita di Alessandro il Macedone I
Alessandro il Macedone I
Storia straordinaria e davvero mirabile del re Alessandro signore del mondo
Giulio Valerio, Imprese di Alessandro il Macedone I
Insieme all'"Odissea", le "Metamorfosi" sono il libro più fortunato che l'antichità classica ci abbia lasciato. Dante e Shakespeare, pittori e scultori, musicisti e romanzieri di ogni paese e di ogni età lo hanno amato, riscritto, illustrato, dipinto. È il libro che per la sua leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità Italo Calvino affidava al terzo millennio. E' la summa del mito antico, ma anche delle passioni e dell'infelicità che dominano da sempre il mondo. Tutto, secondo Ovidio, muta: il cosmo, gli dèi, i corpi degli uomini e delle donne. Nelle "Metamorfosi", le storie di animali che divengono pietre, di eroi e ninfe mutati in stelle, di numi che s'incarnano, nascono l'una dall'altra, si intrecciano, riaffiorano in sequenza velocissima e cangiante. Nei libri III e IV troviamo alcuni degli episodi più belli di tutta l'opera, centrati sulle vicende mitiche di Tebe. Cadmo uccide il drago, ne semina i denti - dai quali nascono guerrieri che si sterminano fra di loro - e fonda la città. Atteone vede Diana nuda, è trasformato in cervo e sbranato dai suoi stessi cani. Narciso, specchiandosi nell'acqua, si innamora di sé stesso e diviene un fiore. Eco lo ama perdutamente e, respinta da lui, rimane puro suono che ripete le parole nell'aria. Semele, amata da Giove, chiede al dio di unirsi a lei in tutto il suo fulgore e rimane incenerita. Ino alleva il figlio dei due, Bacco, impazzisce su istigazione di Giunone, si getta nei flutti e diventa dea marina. Piramo e Tisbe, amandosi follemente, si uccidono l'una dopo l'altro, e il sangue tinge di nero le bacche bianche del gelso. Perseo vince Medusa e ne usa il capo, il cui sguardo pietrifica, per mutare Atlante in monte. Storie, direbbe Shakespeare, di "suono e furore", nelle quali la guerra fratricida, l'amore infelice, il volto del terrore, divengono città, fiori, sassi, foglie scure, e in cui la voce si perde nel vento. La Fondazione Valla prosegue con questo la pubblicazione in sei volumi delle "Metamorfosi", basando il testo e gli apparati su quelli editi da Richard Tarrant per gli Oxford Classical Texts: la cura generale è di Alessandro Barchiesi. Il commento è affidato allo stesso Barchiesi e a Gianpiero Rosati. La traduzione è opera di Ludovica Koch.
Indice - Sommario
Premessa dei curatori
Abbreviazioni bibliografiche
Nota al testo
TESTO e TRADUZIONE
Sigla
Libro terzo
Libro quarto
COMMENTO
Libro terzo
Libro quarto
I bibliotecari alessandrini intitolarono al nome di Calliope - la Musa della poesia epica - il nono libro, l'ultimo, delle Storie di Erodoto. E ad essa paiono conformarsi l'argomento e il tono del libro. Strettamente legato al precedente, esso narra la fase terminale dell'epico scontro fra Persiani e Greci negli anni 480-479 a.C. Tre i nuclei principali del racconto: la battaglia di Platea; quella, avvenuta lo stesso giorno, di Micale; e infine la conquista di Sesto. Se intorno a questi avvenimenti si dipanano e si intersecano, come è tipico di Erodoto, continue digressioni - lunghi preparativi bellici, cataloghi di forze militari, narrazioni biografiche, descrizione di luoghi e aneddoti -, non v'è dubbio che l'attenzione dello storico si concentri sulla sequenza principale. Ecco che, scomparso Serse dalla scena, il libro si apre con l'occupazione e la devastazione di Atene da parte del generale Mardonio. Eppure, a questo tragico inizio fa seguito una memorabile riscossa: nonostante le invidie, i contrasti, le incomprensioni fra Ateniesi e Spartani - che culmineranno dopo quasi cinquant'anni nella Guerra del Peloponneso -, le due città rivali lottano qui insieme. Su richiesta della prostrata Atene, Sparta invia un grosso contingente comandato da Pausania. La tensione monta intollerabile per dieci giorni, mentre i due eserciti si fronteggiano. Poi, scoppia in combattimento furibondo, in cui i guerrieri si affrontano lontani e arcaici come eroi omerici e allo stesso tempo vicini e attuali come gli uomini più familiari. Con gli Ateniesi immobilizzati, tocca agli Spartani e ai Tegeati reggere l'urto. E i Persiani vengono alla fine sbaragliati. Collegando il trionfo di Platea al glorioso disastro delle Termopili all'inizio delle Guerre, Erodoto scrive: «Allora, secondo l'oracolo, fu pagata da Mardonio la pena dell'uccisione di Leonida, e Pausania, figlio di Cleom-broto, figlio di Anassandrida, riportò la vittoria più bella di tutte quelle che conosciamo». Battuti per mare e per terra, a Micale e più tardi a Sesto, i Persiani iniziano il ritiro definitivo. Poco prima, il crepuscolo viene annunciato dalla fosca vicenda di Serse invischiato nella passione per la moglie di suo fratello: quasi una novella di depravazione e violenza, a incorniciare il primo capolavoro della storiografia occidentale. Questa edizione integralmente rinnovata del nono libro contiene anche l'Indice dei nomi di tutte le Storie, la cui pubblicazione verrà completata nel 2008 con il settimo libro.
Indice - Sommario
Introduzione al Libro IX
Bibliografia
Abbreviazioni bibliografiche
Sommario del Libro IX
Tavola cronologica
Cartine
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Nota al testo del Libro IX
Il Libro IX delle Storie
Scoli
COMMENTO
Appendici
Indice generale dei nomi
Con questo secondo volume si conclude la pubblicazione del Poema degli astri di Manilio: il testo critico, che deriva da un riesame dell'intera tradizione testuale, è a cura di Enrico Flores; la traduzione di Riccardo Scarda; e il commento, per la parte storico-letteraria di Riccardo Scarda e per quella astronomico-astrologica di Simonetta Feraboli.
Il poema degli astri nacque da un profondo senso di angoscia metafisica e psicologica. Per vincere questa angoscia, Manilio conobbe un solo mezzo: indagare i segreti della natura (che è "divina", come l'uomo), portandoli alla più estrema chiarezza intellettuale. Spiegando questi misteri, Manilio trovava dovunque i segni della necessità, che guida tutte le cose. La venerazione della necessità faceva discendere la quiete nell'animo inquieto di Manilio e dei suoi contemporanei. Oggi, siamo abituati a trovare in ogni giornale oroscopi astrologici. Ma chi voglia conoscere la grandezza del pensiero astronomico-astrologico, legga Manilio, con le sue descrizioni dei caratteri umani dipendenti dagli astri: meravigliose per penetrazione psicologica e ricchezza di rapporti. Con arte squisita, Manilio disegna i tappeti del cielo; e dal cielo guarda tutte le regioni della terra, tutte le attività umane, tutte le minime vicende della storia e della vita quotidiana. Ogni cosa ha rapporto con le altre: tutto forma un'architettura. Usciamo dalla lettura del suo poema, così complesso e variegato, con l'animo pieno di reverenza.
Testo raffinatissimo accompagnato da una pregevole curatela che tuttavia, per il tema trattato, può raggiungere un pubblico ampio di lettori interessati alle questioni astrologiche. Con arte squisita, Manilio disegna i tappeti del cielo; e dal cielo guarda tutte le regioni della terra, tutte le attività umane, tutte le minime vicende della storia e della vita quotidiana. Il testo critico, che deriva da un riesame dell’intera tradizione testuale, è a cura di Enrico Flores (ordinario di letteratura latina nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli Federico II); la traduzione di Riccardo Scarcia (ordinario di filologia latina all’Università di Roma Tor Vergata); il commento, per la parte storico-letteraria di Riccardo Scarcia e per quella astronomico-astrologica di Simonetta Feraboli che insegna letteratura greca all’Università di Genova.
Indice - Sommario
Abbreviazioni bibliografiche
Sommario
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Libro terzo
Libro quarto
Libro quinto
COMMENTO
Libro terzo
Libro quarto
Libro quinto
Euripide si lamenta. Siamo nel secondo giorno della festa femminile delle Tesmoforie: egli teme che le donne lo condannino a morte, per punirlo di aver parlato male di loro. E vorrebbe che Agatone, un poeta effeminato, vada a difenderlo alla festa. Ma Agatone ha paura e rifiuta l'incarico. Allora il Parente - un buffone - prende il suo posto. Euripide lo rade, gli brucia i peli sulle natiche, lo rende liscio come una donna, lo traveste con abiti femminili. Ecco l'assemblea delle Tesmoforie: le donne protestano contro Euripide: il Parente denigra le donne: arriva Clistene, un famoso invertito: il Parente sgozza un otre di vino: Euripide dice dei versi della sua "Elena": questo dramma elegantissimo viene parodiato; e così via, di trovata in trovata, ognuna più spettacolare e divertente dell'altra. Non sappiamo mai se Aristofane schernisca o difenda le donne: non sappiamo cosa pensi veramente di Euripide. Come saperlo? Tutto è un gioco che si compiace di sé stesso. Alla fine "abbiamo giocato abbastanza: è tempo che ognuna ritorni alla sua casa". Nelle "Donne alle Tesmoforie", la volgarità di Aristofane tocca il suo culmine: la commedia sembra una farsaccia da paese, come spesso le commedie di Shakespeare - ma una fantasia prodigiosa innalza tutto ciò che è volgare ed osceno nel regno della vertiginosa follia comica.
Tragedia e commedia in un classico brioso e magnificamente tradotto che si inserisce – come quinto titolo dopo Le rane, Gli uccelli, Le Donne all’assemblea, e Le Nuvole – nella sezione “tutto Aristofane” della collana “Scrittori greci e latini”. Una nuova edizione critica e una curatela di prestigio: Carlo Prato, professore emerito di Letteratura greca all’Università di Lecce, insigne filologo dedicatosi da sempre allo studio del commediografo ateniese e, in particolare, ai rapporti tra Aristofane ed Euripide; la traduzione moderna e spigliata è di Dario Del Corno, titolare di Letteratura Greca alla Statale di Milano e docente di storia del teatro, autentico specialista di spettacoli classici.
Indice - Sommario
Introduzione
Indicazioni bibliografiche
TESTO E TRADUZIONE
- Sigla
- Le Donne alle tesmoforie
COMMENTO
Appendice metrica
Indice delle cose notevoli
Indice dei termini greci
Prefazione / Introduzione
I - La data di rappresentazione
L'assenza di hypothesis ("argomento") e di notizie certe o attendibili (testimonianze, scoli, allusioni storiche ecc.) ha reso difficile fissare la data di rappresentazione delle Tesmoforiazuse (Le Donne alle Tesmoforie), non solo per quanto con cerne l'anno in cui la commedia partecipò al concorso, ma anche per la sede del teatro nella quale essa venne allestita.
L'opinione corrente, sia pure con contrasti, è orientata in favore rispettivamente del 411 e delle Dionisie cittadine. In passato, soprattutto prima dell'intervento di Wilamowitz, che sostenne la data del 411, aveva trovato numerosi e autorevoli consensi anche la tesi del 410, recentemente ribadita da Rhodes.
Alla data del 411 si è arrivati principalmente sulla base di una preziosa indicazione del testo aristofaneo, dal quale si apprende che in "quello stesso luogo", dove si svolgeva lo spettacolo, l'anno precedente si era esibito Euripide con una tragedia, l'Andromeda, da lui, secondo un altro scolio, messa in scena insieme all'Elena; anche di questi due drammi, in verità, mancano informazioni dirette circa la data di rappresentazione, ma questa volta è stato possibile ricostruirla grazie a una notizia fornita dallo scolio a Ran. 53, secondo la quale l'Andromeda era stata presentata agli agoni tragici sette anni prima delle "Rane" (messe in scena esse stesse alle Lenee del 405), cioè nel 412.
Per quanto riguarda il tipo di concorso cui avrebbe partecipato Aristofane, l'orientamento della critica risulta favorevole, in prevalenza, a una rappresentazione delle Tesmoforiazuse alle Dionisie cittadine (marzo-aprile), ma le argomentazioni addotte non paiono decisive, anzi hanno tutte l'aria di petizioni di principio. Ciò vale, in verità, sia per chi ha aderito alla tesi prevalente, sia per chi (come Schmid-StähIin, Gelzer ecc.) si è pronunciato in favore della tesi opposta, cioè di una rappresentazione delle Tesmoforiazuse alle Lenee e di quella della Lisistrata alle grandi Dionisie, sia per chi (come il Cantarella) si è deciso per la rappresentazione di entrambe le commedie alle Lenee, sia per chi (come Russo) ha optato per una loro rappresentazione alle Dionisie cittadine.
Il secondo e ultimo volume delle "Storie di Alessandro Magno" accompagna il lettore dalla morte di Dario di Persia a quella di Alessandro Magno, a Babilonia. Alessandro, ormai dominato da un incontrollabile desiderio di illimitato possesso, travalica i limiti che gli dèi hanno imposto alla sua natura umana: cerca di emulare la maestà divina dei sovrani achemenidi e compie ogni genere di sfrenatezze. Con la sua sensibilità psicologica, e soprattutto con la sua capacità di rendere i sentimenti in modo drammatico e spettacolare, l'autore descrive questa metamorfosi fatale attraverso una serie di scene grandiose e di forte impatto emotivo.
Il settimo volume della "Guida della Grecia, L'Acaia", che la Fondazione Valla pubblica a cura di Mauro Moggi e Massimo Osanna, è il più patetico. Mai Pausania rivela così profondamente, come qui, il suo amore per la Grecia: per la religione, la storia, la letteratura, la lingua, l'arte, il paesaggio, le pietre, la vita quotidiana del suo paese ideale. Nel secondo secolo prima di Cristo, la Grecia si è estinta: Pausania non sa se per volontà degli dei, o per tradimento e viltà degli uomini. Prima i Macedoni e poi i Romani hanno posseduto e occupato la Grecia; e ora di quel corpo glorioso resta soltanto "una pianta mutilata e per la maggior parte secca". Pausania guarda con disperazione a questa fine: ma non riesce a vedere nessun'altra luce nella storia del mondo, e con venerazione percorre i luoghi sacri, e descrive con precisione e passione nascosta i paesaggi e le pietre.
Dopo la prima parte storica, il resto del settimo libro è dedicato agli dei, alle città, agli alberi, alle statue arcai-che, agli oracoli dell'Acaia. Conosciamo l'oracolo di Ermes. Chi sul far della sera arriva sulla piazza di Fare, sussurra una domanda alla statua del dio: poi si tappa le orecchie e si allontana: quando esce dalla piazza, toglie le mani dalle orecchie; le prime parole che ascolta gli rivelano il responso di Ermes. Conosciamo delle storie d'amore. Un uomo s'innamora di una ninfa marina, che lo abbandona. Lui muore d'amore: Afrodite lo cambia in fiume; ma nemmeno come acqua corrente può dimenticare la passione che l'ha legato alla ninfa. Allora Afrodite gli fa l'ultimo e più grande dei doni: gliela fa dimenticare. Poi trasforma le sue onde in rimedio e oblio per tutti gli innamorati infelici che vi immergono le membra.
Indice - Sommario
Nota introduttiva al Libro VII
di Mauro Moggi e Massimo Osanna
Bibliografia
Cartine
TESTO E TRADUZIONE
a cura di Mauro Moggi
Sigla
Libro VII: L'Acaia
COMMENTO
a cura di Mauro Moggi e Massimo Osanna
Libro VII: L'Acaia
INDICI
a cura di Maria Elena De Luna e Cesare Zizza
Indice dei nomi propri di personaggi storici e mitici e di divinità
Indice dei nomi etnici e geografici
Indice di altri nomi propri (santuari, istituzioni, feste, monumenti, edifici, opere letterarie, ecc.)
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
La sezione narrativa (1,1-17,4) del libro sull'Acaia prevale nettamente su quella descrittiva (17,5-27,12.): comprende infatti, oltre alle linee essenziali della storia antica e del popolamento ellenico della Ionia d'Asia, anche la trattazione della storia più recente, cioè del periodo che ebbe nella Lega achea uno dei principali protagonisti e che si concluse con la distruzione di Corinto e l'assoggettamento della Grecia a Roma.
Dopo aver fornito le indicazioni indispensabili a collocare la regione nel Peloponneso, Pausania passa a trattare l'arrivo di Xuto nell'Egialo e l'acquisizione del regno da parte di suo figlio Ione, grazie al quale gli Egialesi aggiunsero alla loro originaria denominazione la qualificazione di Ioni. A questo punto, le vicende di quella che sarà l'Acaia si intrecciano con le vicende dell'Attica, mentre cominciano a delinearsi le relazioni reciproche sia fra queste due regioni, sia fra di esse e l'area micrasiatica nella quale sorgerà la dodecapoli ionica. L'espulsione degli Achei da Argo e da Sparta a opera dei Dori e la conseguente cacciata degli Ioni dall'Egialo da parte degli Achei rappresentano due avvenimenti di grande rilievo. La migrazione degli Ioni peloponnesiaci, prima per breve tempo ad Atene e poi in maniera definitiva sulle coste anatoliche, diventa oggetto di una digressione ampia e assai ricca di dettagli, che tenta di ricostruire minuziosamente la fase della fondazione e delle vicende più antiche della dodecapoli micrasiatica, riservando particolare attenzione alla definizione dei legami parentali delle singole città "coloniali" con le città e i popoli della Grecia metropolitana.
Lo schema espositivo adottato per la fondazione di Mileto, la prima polis a essere presa in considerazione, è paradigmatico, in quanto nelle sue linee essenziali si ripete nelle trattazioni dedicate alla maggior parte delle altre città: nome del fondatore (o dei fondatori); ricostruzione dell'origine e della storia più antica del centro e (là dove esistono) dei santuari più importanti, che sono ritenuti in genere antichissimi e in qualche caso preesistenti all'arrivo degli Ioni; descrizione delle presenze indigene, e in qualche caso greche, nell'area di insediamento (uniche eccezioni in questo senso Clazomene e Focea, che sarebbero state fondate in territori disabitati); modalità dell'incontro fra coloni e popolazioni già insediate nelle aree destinate alla occupazione e assetto finale raggiunto dalle singole poleis. Il tutto sulla base di una miriade di notizie reperite anche o soprattutto nell'ambito delle fonti locali.
In questo quadro, il regime di pacifica convivenza attribuito ai Cari e ai Cretesi stanziati a Mileto costituisce un esempio di impatto morbido fra coloni e popolazioni locali, che trova pochi paralleli nell'excursus sulla occupazione ionica della regione e solo in riferimento alle aree dotate di un importante centro cultuale. Il popolamento della Ionia, soprattutto per quanto riguarda gli episodi riconducibili agli Ioni guidati dai Codridi, è visto essenzialmente come una affermazione, spesso basata sulla violenza, dei coloni sugli indigeni, e quindi della grecità sui barbari: questi, di norma, non trovano il minimo spazio nelle poleis che vanno nascendo e consolidandosi. La posizione assunta da Pausania si inserisce nel solco della tradizione storiografica più antica sulla colonizzazione e può essere considerata indicativa della natura profonda del fenomeno coloniale e dell'atteggiamento mentale, ispirato da un forte etnocentrismo, che ha ispirato l'espansione greca in ogni epoca. Inoltre, certi moduli narrativi, come quello delle peregrinazioni degli Ioni che fondarono Clazomene, trovano paralleli precisi in alcuni precedenti ben noti (la fondazione di Cirene in Erodoto e quella di Megara Iblea in Tucidide). In questa trattazione antistorica del passato remoto non mancano digressioni minori sia su eventi altrettanto lontani nel tempo, come le vicende di Dedalo in Sicilia, sia su fatti relativamente recenti, come il sinecismo di Efeso a opera di Lisimaco, che comportò lo spopolamento (parziale) di Colofone e di Lebedo, o la tirannide di Ierone a Priene - ignorata da tutta la tradizione letteraria, ma confermata epigraficamente - o, ancora, la ricostruzione di Smirne e il suo accoglimento nella dodecapoli ionica.
Una breve e sintetica sezione descrittiva sulle cose da vedere (in particolare santuari, statue, tombe, fiumi, sorgenti, acque termali), che comunque non fa della Ionia una regione che possa essere considerata oggetto di trattazione diretta, chiude il discorso aperto dalla migrazione degli Ioni in Oriente e consente, con un procedimento anulare, la ripresa del discorso relativo agli Achei. Essi appaiono ormai stabilmente insediati nella regione peloponnesiaca: della loro dodecapoli vengono elencate e collocate nel territorio - procedendo da ovest verso est, sulla base di un itinerario costiero, inframmezzato da rapide puntate verso l'interno - le città della fase più antica, compresa Elice, di cui Pausania conosce la catastrofica distruzione, ed esclusa invece Patre, che, fondata appunto dagli Achei, non poteva essere annoverata fra le città appartenute originariamente agli Egialesi Ioni e passate poi ai nuovi occupanti.
Con la segnalazione della partecipazione alla guerra di Troia inizia la rassegna delle imprese militari degli Achei, che si accompagna alla denuncia delle loro assenze nei momenti topici della storia greca; come al solito, la presenza o l'assenza ai combattimenti delle guerre persiane, alla battaglia di Cheronea e alla guerra di Lamia contro i Macedoni o alla difesa delle Termopile contro i Galati, misurano il patriottismo panellenico e la correttezza degli Elleni del passato.
Quando debbono consultare un'opera d'insieme, gli appassionati dilettanti di mitologia greca sono abituati a leggere "Gli dei e gli eroi" della Grecia di Karl Kerényi o "I miti greci" di Robert Graves. Sarebbe meglio che risalissero molto più indietro nel tempo: a un manuale di autore ignoto, la "Biblioteca" dello pseudo-Apollodoro, redatto tra il II e il III secolo dopo Cristo, che la Fondazione Lorenzo Valla pubblica nella traduzione di Maria Grazia Ciani e con l'introduzione e il commento di Paolo Scarpi. L'ignoto autore credeva ancora negli dei. Come un nuovo Esiodo, si sforzava di raccogliere tutte le tradizioni religiose greche e di sistemarle in un'architettura coerente, portando fino a noi l'ultimo messaggio della classicità declinante. Il lettore moderno vi ritrova, come in un'enciclopedia, tutti i miti greci; Urano e Zeus, Persefone e i Giganti, Meleagro e gli Argonauti, Glauco ed Eracle, Teseo e Odissee. Vi ritrova, soprattutto, una ricchezza straordinaria diversioni parallele o secondarie o locali, che hanno talvolta un interesse più appassionato delle tradizioni maggiori, contribuendo a disegnare quell'intreccio molteplice e risonante di voci, che è per noi la mitologia greca. Il testo dello pseudo-Apollodoro è completato dal ricchissimo commento di Paolo Scarpi: commento che è un secondo manuale, e getta sul testo antico la luce interpretativa degli studiosi moderni di mitologia classica.
Indice - Sommario
Introduzione
Abbreviazioni bibliografiche
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Libro primo
Libro secondo
Libro terzo
Epitome
COMMENTO
Libro primo
Libro secondo
Libro terzo
Epitome
Appendice I
Appendice II
Indice mitologico
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
Dalla lettura continua del testo conosciuto come la "Biblioteca" di Apollodoro emerge un grande e complesso paesaggio mitografico: non è stato facile, per quanto necessario, vincere la tentazione di offrire a titolo introduttivo un lungo discorso che indagasse ed esplorasse gli anfratti della mitologia greca se non, addirittura, della mitologia in generale. Le piccole dimensioni di questo "libriccino", come lo chiama Fozio, non sono commisurabili ai problemi di natura storico-religiosa e antropologica che il tessuto narrativo lascia trasparire in filigrana. Ma le dimensioni assunte dalla bibliografia relativa alle problematiche della mitologia greca, moltiplicatasi a dismisura negli ultimi decenni, avrebbero reso in ogni caso ardua l'impresa e sarebbe stato impossibile offrire un panorama completo. Cosi la bibliografia è stata ridotta all'essenziale, confidando sul fatto che ogni ulteriore informazione è ricostruibile sia attraverso le indicazioni fornite nel commento sia ricorrendo alla rassegna dell'"Année Philologique " (Paris).
Considerato per lo più un repertorio mitografico a cui attingere, la "Biblioteca" è stata per così dire condannata da Frazer a diventare un fossile, sia pure insostituibile; un museo in cui sono state conservate "senza un tocco di immaginazione o una scintilla di entusiasmo le lunghe serie di favole e di leggende che ispirarono le immortali produzioni della poesia e le splendide creazioni dell'arte greca".
Nonostante questo inappellabile giudizio, una lettura non frammentaria del testo lascia invece intravedere come la "Biblioteca" non sia banalmente un'opera di erudizione. E forse un'opera di volgarizzazione del patrimonio culturale greco, certamente è una intenzionale sistemazione e ricostruzione del tradizionale paesaggio mitico, che cerca di definire l'universo umano. E queste dovevano essere le intenzioni dell'autore, se è autentico l'epigramma con cui si apriva il testo letto da Fozio, sebbene non riportato dai manoscritti.
Non si tratta dunque di una condensazione erudita del materiale mitologico prodotto dalla civiltà greca, variamente raccolto da fonti diverse, di cui irregolarmente l'autore rende conto, e ordinato secondo un superficiale schema genealogico. Di fronte a una tradizione che ignorava ogni ortodossia, sprovvista di un clero specializzato che avesse proceduto a definirla, e che aveva affidato ai poeti il ruolo di "teologi", la "Biblioteca" si presenta, dopo la "Teogonia" di Esiodo, quale prima opera sistematica. Il registro genealogico su cui è costruito il racconto riprende lo stesso principio di legittimazione che costituiva il fondamento della cultura greca e che conduceva a definire lo statuto umano. E quella cultura, la paideia di cui si fa portatore l'autore nell'epigramma trasmesso da Fozio, che appare alla fine intenzionalmente sopravvalutata, forse per compensare la perdita dell'identità determinatasi con il predominio di Roma. L'autore, senza dubbio arcaizzante, non nomina mai Roma, ne quando parla di Enea o di Antenore, e nemmeno quando descrive l'itinerario occidentale di Eracle. Lo sforzo di recuperare la tradizione mitica è tanto più evidente quanto più appaiono fuori luogo espressioni che possono essere riconducibili a una penetrazione del vocabolario cristiano, come in II 5,12. [124] e 7,7 [157], ma che possono egualmente essere un riflesso della lingua dell'epoca. Quindi sembra del pari frutto di una caduta d'attenzione il solo caso in cui compare la "provvidenza" (II 7,4 [147]), e lo stesso forse si può dire per "mago" (II 8,3[174]). La "Biblioteca" si rivela in ultima istanza portatrice dell'ultimo messaggio della classicità declinante, soffocata dall'imperialismo romano e dalle spinte disgregatrici dei numerosi movimenti esoterici e filosofico-religiosi. Questi movimenti erano protesi alla ricerca di una identità extraumana e al superamento della stessa condizione umana per guadagnare un caeleste habitaculum; erano fortemente sessuofobi e antisomatici, in aperta opposizione con il principio della generazione, da cui era caratterizzata l'antica religiosità olimpica.
Così la "Biblioteca" raccoglie e ordina il sapere mitico, rivivendo nostalgicamente quell'antica liturgia della parola per diffonderla, non diversamente da quanto stava compiendo il mondo giudeo-cristiano. Attraverso l'intreccio e la combinazione di tre registri narrativi, descrittivo, mirice-fondante e favolistico, che intersecano l'ossatura genealogica, essa si propone di "giustificare le strutture e il funzionamento dell'universo nella sua genesi e nella sua dimensione spazio-temporale", divenendo il libro mitologico per eccellenza ma anche per certi aspetti, come riconosceva Frazer, una sorta di "Genesi" pagana.
Mentre leggiamo le Storie, vediamo Erodoto, animato da una curiosità insaziabile verso la totalità dell'esistenza, entrare nei templi e "osservare, conversare, porre domande, ascoltare, riflettere, paragonare, sollevare problemi, ragionare, talvolta concludere". Egli considera con attenzione e rispetto tutto ciò che fa l'uomo - tutte le nostre imprese gli sembrano degne di interesse o memorabili. E, insieme, sparge un'onnipresente ironia sugli orgogli, le vanità, le pretese, le follie, la hybris dell'uomo.
Prima o dopo di lui, nessuno ha mai saputo orchestrare così perfettamente una storia totale: i fatti politici, economici, militari, i costumi, le leggende, le favole, il folclore, la geografia, i monumenti si equilibrano in quest'opera che respira l'immensità e la libertà degli spazi aperti.
Con il quinto libro delle Storie, tradotto e commentato da uno dei più noti studiosi europei di Erodoto, entriamo in un nuovo mondo, rispetto ai primi quattro libri. Non ci sono più i grandi spazi asiatici e nordafricani, che ci avevano condotto sino ai confini della terra conosciuta, e ci avevano dato la vertigine dell'infinito. Il nostro spazio è la piccola Grecia, sia asiatica che europea. La storia unitaria di tutta la Persia si frantuma in molteplici storie locali di città greche (sullo sfondo, Atene e Sparta), le quali però si richiamano e riecheggiano a vicenda, come parti di una storia non meno universale di quella persiana. Come sempre, il racconto è impareggiabile per freschezza, intelligenza, ironia. Erodoto cerca le minime cause degli eventi; studia le doppie motivazioni; e spiega il contrasto tra la concezione greca e quella persiana della geografia. Egli mostra come gli uomini architettino grandi progetti, che credono di poter realizzare; mentre poi giunge il caso, che si diverte a scompigliare tutti i progetti umani. Mai Erodoto è stato meno nazionalista che in questo libro. La rivolta ionica, che faceva ormai parte dei miti eroici della Grecia, viene rappresentata come un'avventura inutile e sciagurata, nata dall'eccesso di benessere e dalle oscure ambizioni di qualche dubbio personaggio.
Indice - Sommario
Introduzione ai Libri V-IX
Bibliografia
Abbreviazioni bibliografiche
Introduzione al Libro V
Sommario del Libro V
Tavola cronologica
Cartine
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Nota al testo del Libro V
Il Libro V delle Storie
Scolî
LEXEIS
COMMENTO
Indice dei nomi
Prefazione / Introduzione
Dall'introduione ai libri V-IX, di Giuseppe Nenci
E opinione diffusa che le Storie si possano idealmente suddividere nelle due parti corrispondenti agli attuali libri I-IV e VI-IX, fra le quali farebbe da cerniera il libro V.
Alla base di questa convinzione troviamo però motivazioni divergenti: una cosa è infatti sostenere che la diversità derivi da un rimaneggiamento profondo dei primi libri in funzione della storia delle guerre persiane; un'altra cosa è ritenere che la materia degli ultimi libri esigeva una trattazione diversa. Per i fautori della cosiddetta teoria dei logoi, che risale allo Schoell e fu teorizzata dal Bauer nel 1878, le varie parti dell'opera sarebbero state composte separatamente, ubbidendo ogni logos allo stesso schema, dopo di che Erodoto avrebbe più o meno abilmente legato fra loro i vari nuclei tematici: di qui la disorganicità dell'opera, le sproporzioni fra le diverse parti, le digressioni. Ripresa dal Jacoby nel 1915, che ripete le tesi dei logoi scritti per essere resi noti separatamente e rimaneggiati poi in uno scritto unitario per lumeggiare la storia delle guerre persiane, la teoria ha infine trovato nel De Sanctis lo storico che l'ha portata alla sua più coerente teorizzazione. Per il De Sanctis, avendo Erodoto davanti a sé modelli quali gli Annali (come quelli di Carone di Lampsaco), le Periegesi e le Genealogie (come quelle di Ecateo) o monografie sui barbari (i Persikà di Carene di Lampsaco o i Lydiakà di Xanto di Lidia), non avrebbe potuto fare un'opera assolutamente nuova. Per questa ragione Erodoto avrebbe scritto a sua volta alcuni logoi (sui Lidi, gli Egizi, gli Sciti e i Libi) e poi avrebbe pensato di inquadrarli in una storia della Persia, che facesse da cornice, trattandosi di popoli tutti combattuti o incorporati dai Persiani. Una simile narrazione avrebbe poi comportato anche la storia della "grande guerra" fra Grecia e Persia, e specialmente quella di Serse. Sempre secondo il De Sanctis, avvicinandosi alla storia della grande guerra, Erodoto avrebbe sentito crescere l'interesse del pubblico, comprendendo la grandezza della materia che aveva la possibilità di trattare e dando alla sua opera la forma attuale. Di qui lo spostamento dell'interesse dall'etnografia alla storia: di qui la preponderanza della narrazione della guerra fra Grecia e Persia tale da mutare radicalmente il piano della sua opera.
La teoria dei logoi, che è stata il Leitmotiv della critica erodotea dal secolo scorso fino agli anni trenta del Novecento', porta perciò con sé la considerazione che i libri V-IX siano una sorta di coda che avrebbe finito col trasformare geneticamente il resto. Per chi viceversa ritenga che la struttura dell'opera non sia tale da giustificare la teoria dei logoi, che ha alla sua radice una visione formalistica della struttura di un'opera letteraria e fu influenzata dal parallelo dibattito sui poemi omerici fra analisti e unitari, i libri V-IX non si differenziano affatto dai precedenti, salvo che per ragioni legate al loro contenuto. Come è stato osservato, nella seconda parte delle Storie Erodoto non poteva più usare la sua percezione materiale di viaggiatore, ma soltanto paragonare le fonti: in questo senso, "la narrazione della guerra è perciò più derivativa e di conseguenza in un certo senso inferiore"2.
Per questo motivo il nesso unitario fra la prima e la seconda parte delle Storie, più volte richiamato da Erodoto, va visto nella storia dell'espansionismo persiano e nella ricerca della causa del conflitto fra Greci e Persiani. E un nesso esplicitamente dichiarato nella nota premessa delle Storie, che giustifica nello stesso tempo l'interesse per tutto ciò che (in quanto umano e grande) diviene degno di ammirazione, nonché la genesi del conflitto greco-persiano. L'umanità diventa con Erodoto soggetto e oggetto della storia, lasciati al loro destino gli dei delle Teogonie: questo è il laico messaggio di Erodoto; nelle Storie la divinità sovrasta come sempre gli uomini, ma non interviene più direttamente, come nell'immaginazione omerica.
La diversità fra i libri I-IV (in cui prevale la storia degli ethne) e V-IX (caratterizzati da storie di poleis) è se mai da cogliere nel diverso modo, più serrato, di trattare gli eventi, nel venire meno della necessità di pagine etnografico-scientifiche (non era necessaria una etnografia greca), e nella scoperta del concetto unificatore di Hellenikòn, che Erodoto individua nell'unità di sangue, di lingua, di religione, di costumi e istituzioni simili fra Greci, e non nell'abitare una terra chiamata Hellàs. Inoltre, nei libri V-IX, se si eccettua la voluta inserzione della storia arcaica di Sparta e di Atene, le digressioni si fanno più rare sia ratione materiae, sia per l'esigenza di collegare più strettamente fra loro eventi ben connessi anche cronologicamente - cosi la rivolta ionica e le due spedizioni persiane in Grecia -, mentre il loro spazio viene in qualche modo riempito da discorsi ora più frequenti come fra protagonisti più ravvicinati.
In sostanza, è più agevole cogliere ciò che accomuna fra loro le due parti delle Storie, se tali vogliamo che siano, che non ciò che le distingue. E cosi le accomuna l'identica cura nell'affrontare i problemi, la stessa tensione morale, la stessa visione della vita e del mondo: un mondo in cui l'etica delfica della moderazione e i primi spunti di uno spirito laico convivono in Erodoto, sempre presente col suo io narrante, se è vero che "leggerlo è come sentirlo parlare", perché di fatto egli scrive come parla. Il vero nesso unitario dell'opera erodotea sta nel fatto che la sua storia è funzione della sua storiografia, ovvero del modo in cui Erodoto concepiva il mestiere e il lavoro dello storico.
Nato a Gerusalemme nel 37 dopo Cristo, Flavio Giuseppe discendeva da una famiglia di grandi sacerdoti ebrei. Per qualche tempo, diresse la resistenza del suo popolo contro i romani: poi cadde prigioniero, collaborò con i nemici, predisse l'ascesa al trono di Vespasiano ; e per tutta la vita fu combattuto fra il profondo amore per il Dio di Israele, il tempio di Gerusalemme, i riti amorosamente coltivati e conservati, e la convinzione che la Provvidenza aveva ormai scelto l'immenso, maestoso e armonico impero di Roma.
La guerra giudaica, scritto prima in aramaico poi in greco, è uno dei libri più drammatici della storiografia universale. Il lettore moderno vi trova lo stesso paesaggio di città, di campagne e di deserti, dove pochi decenni prima aveva predicato Gesù Cristo : penetra nel Tempio, apprende i riti e le abitudini degli Esseni, la filosofia politica degli Zeloti, conosce lo stesso mondo che ci è stato recentemente rivelato dai manoscritti del Mar Morto. La prima parte del libro è dedicata ai delitti che funestarono la famiglia di Erode ; e l'intreccio tra la passione per il potere e gli amori e gli odi egualmente sanguinari fra parenti ricorda le tragedie storiche di Shakespeare. Ma il cuore dell'opera è la lotta del piccolo popolo ebreo, guidato dalla fazione degli Zeloti, contro le legioni di Vespasiano e di Tito. Una delle più terribili tragedie della storia di ogni tempo rivive davanti ai nostri occhi: esempi di coraggio disperato, di straordinaria astuzia guerriera e di folle fanatismo rivoluzionario : scene di battaglia, lunghissimi assedi, fame, saccheggi, prigionieri crocifissi, inermi massacrati, gli ultimi difensori che si uccidono a vicenda con le spade, fino al momento - che Flavio Giuseppe rievoca lacrimando - in cui il Tempio, simbolo della tradizione ebraica, viene avvolto dalle fiamme di un incendio inestinguibile.
Questa edizione traduce, nell'appendice a cura di Natalino Radovich, anche i frammenti dell'antica versione russa della Guerra giudaica, che mancano nel testo greco. In alcuni di questi frammenti, appare Gesù Cristo : secondo alcuni studiosi, si tratterebbe della più antica testimonianza d'ambiente ebraico intorno al Messia.
Indice - Sommario
TESTO E TRADUZIONE
Libro quarto
Libro quinto
Libro sesto
Libro settimo
Commento
Libro quarto
Libro quinto
Libro sesto
Libro settimo
Cartine
Tavole genealogiche
Appendice
IL TESTO RUSSO ANTICO DELLA "GUERRA GIUDAICA", a cura di Natalino Radovich
Introduzione
Abbreviazioni bibliografiche
Testi
Libro primo
Libro secondo
Libro terzo
Libro quarto
Libro quinto
Libro sesto
Libro settimo
Indice dei nomi propri di persona e di luogo