Il presente volume, terzo della serie dei Nuovi studi aristotelici, raccoglie gli scritti concernenti la "filosofia pratica" di Aristotele, contenuta nelle due Etiche autentiche (Nicomachea e Eudemea), e la filosofia politica, contenuta nella Politica. Come è noto, per Aristotele queste ultime due discipline sono parti di un'unica scienza, da lui chiamata più volte "scienza politica" e, almeno una volta, "filosofia pratica". Perciò non ho diviso il volume in sezioni, come invece ho fatto nei volumi precedenti. Ho scelto, come sottotitolo dell'intera raccolta, "filosofia pratica", perché questa espressione è diventata attuale dopo la cosiddetta "riabilitazione (o rinascita) della filosofia pratica", movimento sviluppatosi nel corso degli anni Settanta del Novecento e ancora non del tutto esaurito.(dalla Prefazione)
Filosofia della religione, alla sua pubblicazione nel 1968, apparve nel contesto culturale italiano ed europeo come una svolta, sia per l'incidenza della teologia evangelica tedesca (in primis Karl Barth) sul concetto di religione proposto, sia per l'assunzione dell'ermeneutica filosofica come centrale dal punto di vista metodologico. Di qui la reazione di alcuni critici alle tesi di Mancini. Secondo l'apologetica che si era sviluppata dal secolo XVIII in poi, compito precipuo della filosofia della religione era quello di giustificare razionalmente la religione naturale, di cui si cercava di dimostrare sia il fatto sia il contenuto (i preambula fidei). La religione naturale diveniva in tal modo oggetto di una teologia naturale, mentre spettava alla teologia soprannaturale (interessata all'intellectus fidei) penetrare e sistematizzare scientificamente la verità rivelata. Al contrario, per Mancini, la filosofia della religione come ermeneutica della rivelazione, poteva, anzi doveva, avere come oggetto la religione in senso forte, identificata appunto con la rivelazione storicamente data. Con una precisazione: tutte le religioni storiche si presentano come rivelazione, come messaggio di salvezza. Una tesi che rende quest'opera un classico del Novecento. Più volte ristampata, Filosofia della religione inaugura la pubblicazione delle "Opere scelte" di Mancini.
Negli ultimi anni abbiamo sperimentato e vissuto la vicenda sconcertante in cui Dio è stato messo di nuovo in questione anche nell'ambito della teologia. In questo volume curato da Joseph Ratzinger nel 1971, e per il suo carattere pioneristico divenuto un classico, otto eminenti teologi tedeschi si esprimono discutendo questo problema che riveste una importanza di vita o di morte per la teologia e il cristianesimo.Il tema viene dapprima sviluppato come questione filosofica, nel confronto col positivismo contemporaneo e le sue pregiudiziali antimetafisiche, viene indagato in rapporto agli impulsi centrali da cui deriva l'ateismo dei nostri giorni, e nelle sue motivazioni entro la stessa aporetica teologica; di contro, però, viene presentato criticamente anche il punto d'avvio del discorso cristiano su Dio, sulla base dell'esperienza di Dio dell'Antico e del Nuovo Testamento. Solo allora viene affrontato il concreto problema teologico: quello di comunicare il concetto di Dio della tradizione ecclesiale in modo che le esigenze della Sacra Scrittura, gli interrogativi della filosofia odierna e il patrimonio di cognizioni accumulato dalla tradizione filosofico-teologica trovino una complementarietà e convergenza intrinseche e oggettivamente fondate. I due ultimi contributi trattano del come svolgere la predicazione, l'annuncio su Dio, quale questione della teologia sistematica e di quella pratica.
Dopo oltre un ventennio di lavori preparatori, Hubert Jedin, studioso di fama internazionale nel campo della storia della chiesa, presentava nel 1949 il primo volume della Storia del Concilio di Trento. Questo volume è diviso in due parti: la prima tratta del sec. XV, valorizzando molte fonti inedite; la seconda parte è interamente dedicata alle complesse e appassionanti fasi della “lotta per il concilio” nel primo quarto del sec. XVI, mentre nasce e si consolida la grande scissione religiosa protestante, e delinea una ricca panoramica degli avvenimenti ecclesiastici e delle controversie delle potenze dell’epoca.
DESCRIZIONE: Ha i lineamenti di una costellazione un catalogo storico: alcuni autori come stelle polari, collane che tracciano cammini intrapresi o interrotti, libri che, col tempo, assumono i tratti della classicità o un volto sfocato. Una miriade di nomi e titoli, dalla cui ricorrenza si possono trarre indicazioni sulle idee che hanno orientato l’attività editoriale. Un nome ritorna, in forme varie, sfogliando queste pagine: Romano Guardini. Il suggerimento di Mario Bendiscioli – accolto dai fondatori Fausto Minelli, Alessandro Capretti, Giulio Bevilacqua – di pubblicare nel 1930 Lo spirito della liturgia ha assunto una valenza simbolica che si riverbera sull’intera storia dell’editrice. Cosa significava pubblicare Guardini in quegli anni se non affrontare, in forma mediata, la sfida della modernità? Ovvero, pensare una cultura cattolica non indifferente alle istanze costitutive del Moderno: scientificità e criticità della ricerca, libertà della coscienza. Un confronto di cui il pensatore tedesco era uno dei maggiori rappresentanti nell’ambito della teologia europea. Sintomatico è che nel medesimo decennio venissero pubblicati testi di Karl Adam, Peter Lippert, Marie Joseph Lagrange, Gilbert Keith Chesterton, Hilaire Belloc, Jacques Maritain – e dello stesso Guardini apparisse un titolo quanto mai programmatico: La coscienza.
Un fare i conti con la modernità che può ben dirsi la ragion d’essere della Morcelliana.
Il filosofo si misura con i temi di "giusto" e "ingiusto" e del loro reciproco richiamarsi nella storia odierna delle città, obbedendo non più alla legge dell'"evidenza" ma forse piuttosto a quella della "contraddizione" (come mostrano gravi ingiustizie della storia, Kolyma e Auschwitz ...) resa più drammatica dalla "Babele" dell'informazione.
Una lettura del libro più dibattuto della Bibbia, il Qohelet, che ne tocca i temi speculativamente più difficili, da parte di una di una voce del pensiero filosofico contemporaneo, a confronto anche con Kierkegaard.
Costante, nella tradizione filosofica, è stata l'argomentazione della teodicea: discolpare Dio dei mali del mondo, per giustificarne la bontà. Il Novecento - accanto a un ritorno di quell'argomento trasformato in domanda sull'assenza di Dio ad Auschwitz - sembra consegnare al pensiero un'altra sfida: demitizzare il concetto di male assoluto, per far fronte agli orrori che gli uomini procurano a se stessi e ai propri consimili. Quelle sofferenze causate dalle ideologie protese alla realizzazione nella storia di un valore assoluto. E la filosofia, distanziandosi criticamente dalle tentazioni idolatriche, è invitata a trasformarsi in "etica del finito", "cura di sé": un sapere dove gli uomini trovino, a partire dalle tradizioni anche religiose dalle quali provengono, le parole per gli enigmi del male - quelle parole che offrano loro disincanto, responsabilità e amore del prossimo. Amore che è insieme custodia e pietas degli altri e di sé.
Giovanni Bazoli è Presidente della Banca Intesa e Presidente della Fondazione Cini, esponente di rilievo della vita economica e civile italiana, nonché professore di Diritto costituzionale all'Università Cattolica di Milano. In questo libro offre una lettura, in chiave cristiana, dei problemi sociali, politici ed etici posti dalla globalizzazione.
DESCRIZIONE: Gli Atti degli Apostoli, la seconda grande narrazione neotestamentaria di cui siamo debitori a Luca, il "caro medico", sta godendo ai nostri giorni di una rinnovata attenzione per gli incitamenti ad affrontare, quale comunità del Salvatore risorto, l’incontro con una temperie sociale analoga, nell’abissale lontananza bimillenaria, a quella della koine ellenistico-romana. È un testo tuttavia che per la ricerca esegetica fino a oggi suscita domande sul suo valore storico: ad esempio, il problema dei rapporti cronologici tra eventi riportati negli Atti e riferiti o accennati nelle Lettere di Paolo. Non vi è da stupirsene, se è vero che Luca, secondo una concezione ancora prevalente, è considerato "il primo storico cristiano" (M. Dibelius): il problema si ridimensiona quando si comprenda che gli Atti, proprio come il Vangelo dello stesso autore, intendono esporre la Storia della salvezza. Quindi l’opera ha inequivocabilmente un orientamento teologico, è annuncio e predicazione in forma di racconto storico: tale aspetto è messo in risalto in questo commento. Di conseguenza l’impostazione d’esso, secondo la concezione del Regensburger Neues Testament, si articola in tre passi ormai collaudati: I. Analisi (letteraria della storia della tradizione e della redazione); II. Esegesi (versetto per versetto); III. Evidenziazione degli aspetti importanti teologici e parenetici, anche in vista dell’omelia o dell’approfondimento del messaggio biblico nel nostro tempo. Sono poi importanti gli excursus (per esempio, sull’ascensione di Gesù, sull’apostolato e le testimonianze, sul battesimo cristiano, sulle origini e la gioventù di Saulo-Paolo, sulla morte di Stefano, sulla Chiesa-comunità, sul ministero e i suoi titolari...).
COMMENTO: Un limpido commento agli Atti degli Apostoli scritto da uno dei maggiori specialisti. Un libro di riflessione, esegesi, e attualizzazione del testo evangelico.
DESCRIZIONE: La Morte di Mosè, il primo libro di Paolo De Benedetti, aveva dischiuso come orizzonte di ricerca l’ambivalenza del Dio biblico tra il sacro e il santo, tra idolatria e fede, quasi invitando ad approfondire questa oscillazione nel testo di riferimento del giudaismo rabbinico, il Deuteronomio. È quanto accade ne La chiamata di Samuele, dove ad essere interrogato è il concetto stesso di Legge (Torà). In quanto Legge del Dio dell’esodo, la Torà accompagna, illuminandolo, il cammino dell’uomo. La Legge non uccide ma, ascoltata e osservata, libera. È la ragion d’essere, suggerisce l’autore, della halakhà («via» o «norma di comportamento»): interpreta e attualizza i precetti nei quali si manifesta, permanendo misteriosa, la volontà di Dio; il precetto custodisce, nonostante il differirsi della redenzione, l’attualità dell’alleanza, «della benedizione e dell’amore di Dio».
Un’interpretazione del Deuteronomio, e di altri testi biblici, che accompagna il lettore alla scoperta di quel senso – «il settantunesimo» – nascosto, proprio per lui, nel testo. Come a dire: la Legge, in forza della sua esteriorità, è l’epifania di un Dio che ha dismesso le vestigia sacrali. Un Dio con il quale, come mostra l’episodio di Samuele, «l’incontro è facile e difficile insieme: impossibile e pur necessario, offerto e pur nascosto, come un dono che l’uomo deve solo vedere e prendere».
COMMENTO: Nuova edizione rivista e ampliata dell'ormai classico libro di De Benedetti, dove l'autore mostra il significato attuale, liberatorio, della legge - Torah - ebraica.