Geoffrey Hill è tra i maggiori poeti inglesi del secondo Novecento. Insignita dei premi più prestigiosi e studiata dai maggiori critici viventi (tra cui Harold Bloom, che lo ha definito "il più intenso poeta inglese in attività"), la poesia di Hill viene offerta al lettore italiano in un'ampia antologia che ne rappresenta tutte le stagioni, nella traduzione e nella cura di Marco Fazzini, già traduttore degli "Inni della Mercia". Poeta integrale dei drammi della storia ("Ciò che non oso è devastare la storia / O invalidare la legge") e insieme della natura, Hill consegna in queste pagine una poesia tesa e affilata, che rappresenta una protesta radicale nei confronti della perdita collettiva di memoria e dell'avvilente banalizzazione del mondo e dei rapporti umani.
Un libro di poesia che esplora l'impossibile familiarità con il mondo e la propria vita, e lo fa proprio partendo dal terreno apparentemente più vicino e prossimo, che è il quotidiano. Non c'è infatti evento, per piccolo e banale che sia, capace di sfuggire del tutto all'ombra dell'insensatezza e dell'estraneità. Ed è proprio attraversando quest'ombra che la parola poetica cerca di ritrovare un possibile spessore dell'esperienza, di avvicinare quel reale da cui siamo perennemente esiliati. In un'epoca caratterizzata dall'industria dell'immagine e dell'informazione, la strada per il concreto è la più ardua e difficile che ci sia.
A sessantatré anni dall'uscita di "Esercizi. Poesie e traduzioni", Giovanna Bemporad si è finalmente persuasa a riconoscere quello che autorevoli interventi critici, disseminati lungo questo notevole arco temporale, hanno da sempre sostenuto: i suoi versi originali hanno una loro propria preziosa voce, che per essere meglio apprezzata necessitava dell'affrancamento dalle bellissime e ingombranti traduzioni. Rispetto alle precedenti edizioni molte sono le poesie aggiunte e non trascurabile è il numero delle varianti apportate ai testi già editi.
Quello che si ascolterà nel cd audio è Shakespeare / Venere e Adone in concerto, la versione dello spettacolo che ha debuttato nel dicembre 2007, ottenendo nel 2009 il premio della associazione Nazionale Critici di Teatro (ANCT).
L’alta densità musicale dello spettacolo, grazie anche al lavoro sul suono del premio UBU 2104 G.u.p. Alcaro, ci ha convinto a tentare di proporne una versione senza scena, se non quella, ricchissima, sonora.
In un tempo in cui siamo quotidianamente costretti a par- lare di violenze e sopraffazioni nei confronti delle donne, il bellissimo spettacolo che Valter Malosti ha ricavato da un poemetto di Shakespeare si pone come un ideale manifesto contro ogni sorta di fenomeni del genere con un’illuminante analisi dei meccanismi che li generano e delle loro deva- stanti conseguenze. — Renato Palazzi
In modo delicato, a cominciare dalla magnifica sua traduzione [...], egli rende plastico e verosimile il dramma d’amore. Malosti... è sempre solo, ovvero uno e trino: è il pacato narratore, è il riluttante oggetto del desiderio, è l’invasata Vene- re, un femminiello napoletano-pasoliniano, ora gentile, ora pazzo, furioso, possente. — Franco Cordelli
I saggi raccolti in questo volume costituiscono un’indagine sul piacere e sulla memoria dello spettatore. Le performance di Totti e Cruijff, i videogiochi, le vetrine e lo choc delle immagini, vengono letti a partire dalle modalità di percezione di chi guarda, di cui il replay, funzione materiale e sguardo retrospettivo, costituisce il tempo e l’attualità.
Il calcio, i videogiochi, la pornografia, le vetrine e le immagini della rete sono i momenti essenziali su cui si dispiega l’esperienza quotidiana dello spettatore, il suo piacere attua- le e la sua memoria vivente. Questo libro presenta i diversi momenti menzionati come una costellazione al cui centro si trova la riflessione sul replay e le sue maggiori implicazioni estetiche o sociologiche.
Il metodo progettuale del più importante regista italiano, Federico Fellini, lo avevano visto Le Clézio e Deleuze: “Il tra- velling di Fellini è un mezzo di décollage, prova dell’irrealtà del movimento”. E ancora: “Il suo cinema non è mezzo di riconoscimento ma di conoscenza, scienza delle impressioni visive, che ci obbliga a dimenticare la nostra logica e le abi- tudini retiniche”. Di questa conoscenza per strappi e lace- razioni abbiamo molte testimonianze in Fellini, dai ricordi d’infanzia agli appunti di regia di Fare un film: “Finire con parti via via più monche, lacerate, frammenti [...] per una magmatica liberazione di immagini”.
In questo libro Paolo Fabbri analizza le sceneggiature dei film più importanti dell’amico riminese (Fellini è nato nel 1920, Fabbri nel 1939) tramite il metodo dell’indagine se- miologia tentando alcune incursioni per chiarire qualche segreto, senza togliere il mistero originario.
Un’analisi di libri, fumetti, sceneggiature, disegni, fotogram- mi, musiche del grande regista per comprendere meglio l’approccio creativo, per capirne di più di un’epoca in cui il cinema italiano era una scuola nel mondo.
Paolo Fabbri uno dei maggiori studiosi di semiologia, ha in- segnato a Parigi in particolare con Roland Barthes, Lucien Goldmann, A.J. Greimas, e ha assunto negli anni numerosi incarichi di insegnamento nelle università italiane di Firen- ze, Bologna, Milano, Siena, Roma e all’estero presso L’Eco- le des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, le uni- versità di Berkeley, Toronto, san Diego, UCLA; Barcellona, Madrid, Bilbao, São Paulo, Buenos Aires, Istanbul, Ciudad de Mexico. Ha insegnato con Umberto Eco Semiotica e Fi- losofia del linguaggio a Urbino.
Ha diretto dal 1992 al 1996 l’Istituto italiano di Cultura di Parigi e dal 2011 è direttore della Fondazione Federico Fel- lini di Rimini. Dirige la collana “La tradizione del nuovo”.
Cronologia delle lesioni assume purtroppo un profilo testa- mentario per la recente scomparsa dell’autrice, ma è stato concluso e licenziato più di tre anni fa, come del resto si può ricavare dal periodo cronologico 2008-2013 indicato accanto al titolo.
Insana mette in primo piano fatti e misfatti della storia e della cronaca, versi all’impronta di una poesia ‘civile’: testi dedicati alla madre nella cornice della seconda guerra mon- diale, altri relativi al parlatorio nelle alture del Golan, dove i megafoni portano brandelli di notizie familiari da villaggio a villaggio, o la commemorazione del terremoto di Messi- na del 1908. E ancora, il poemetto Bocca immonda contro il femminicidio e il tema dei migranti, che porta appresso quello dell’ipocrisia dell’occidente e la brama insaziabile di guadagno, in un paesaggio con rovine la cui cenere assedia la coscienza e tende a ottunderla.
Che cos’è la cultura? Sembra facile rispondere, ma tentare una risposta significa accettare di intraprendere una scalata su una parete molto scivolosa. Nelle ricerche di carattere semiotico-tipologico il concetto di cultura è assunto come primitivo. Si deve distinguere, al riguardo, la considerazione della cultura secondo il punto di vista a essa proprio, dalla considerazione della stessa secon- do il punto di vista da cui ci si propone la costruzione di un metasistema scientifico che la descriva.
Una semiotica della cultura non può concepirsi estranea a un rapporto tra natura e storia. Michel Serres, il filosofo francese, interrogato un giorno sul perché il mondo non fosse circolare, ma i pianeti avessero orbite ellittiche, rispose: l’ellissi ha due fuochi, e non un cen- tro soltanto. Le ellittopedie, a differenza delle enciclopedie, hanno due fuochi. Così, la semiotica si colloca all’interno, da una parte, della natura, dall’altra, della storia, della cultura.