Il Nord-Est italiano: non solo motore economico e imprenditoriale del Paese, ma ultimo baluardo contro l'avanzata delle principali organizzazioni criminali, ormai da decenni partite alla conquista dell'intero Stivale. Sono in tanti a pensarla così, coltivando l'immagine dell'isola felice nonostante la crisi e le difficoltà crescenti. Eppure, la storia e le cronache giornalistiche parlerebbero di un paesaggio profondamente diverso. In effetti, la mala del Brenta di Felice Maniero - un gruppo capace di lavorare al fianco di Cosa nostra, e per il quale il reato di associazione mafiosa ha trovato la prima applicazione fuori dal Meridione - non ha rappresentato l'inizio né la fine della criminalità organizzata in Triveneto. Anzi. Anche lì la Piovra ha trovato terreno fertile, tra banditismo, case da gioco, industriali senza scrupoli, politici disonesti e boss al confino. Luana de Francisco, Ugo Dinello e Giampiero Rossi squarciano il velo di silenzio interessato che da troppo tempo lascia campo libero all'azione dei clan e dei loro alleati, raccontando senza tabù i loschi interessi che mafia e imprenditori locali condividono: dal riciclaggio di denaro sporco al pericoloso mal costume del "nero", dal traffico di droga e armi ai disastri ambientali, dall'infiltrazione nelle ditte appaltatrici di Fincantieri al business del tarocco.
Con sguardo analitico don Luigi Ciotti racconta cosa sono diventate nel tempo le mafie, in Italia e a livello internazionale, alla luce della conoscenza acquisita sul campo in oltre vent'anni: dalla denuncia delle narcomafie alle prime campagne di sensibilizzazione in Sicilia, dopo le stragi Falcone e Borsellino, fino alla fondazione e diffusione di "Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie". Ciotti ha accettato di violare la promessa che aveva fatto a se stesso - di non offrirsi mai a libri dal sapore autobiografico per parlare soprattutto dei tanti compagni di viaggio che in questi anni lo hanno sostenuto: giovani, uomini e donne di buona volontà, molti di loro parenti delle vittime di mafia. Lungo la narrazione don Luigi si lascia andare a ricordi commoventi e a tante rivelazioni, anche sulle minacce ricevute. Eppure, il suo sguardo è proiettato con speranza sul futuro. Per il sacerdote la mafia non è un destino ineluttabile a cui siamo condannati, c'è possibilità di scegliere. Fare cultura della legalità significa promuovere assunzione di responsabilità da parte di tutti: cittadini e istituzioni. La prima riforma da fare oggi è la "riforma delle coscienze".
Questo libro si propone di affrontare in modo nuovo la questione del crimine organizzato italiano nella seconda metà del XIX secolo, utilizzando la categoria di "classi pericolose". Questa impostazione è diversa dalla prospettiva, comunemente adottata, che punta viceversa a studiare il crimine organizzato ottocentesco ex post, per cosi dire, "dall'oggi", e cioè a partire dalle forme e dalle strutture che la criminalità organizzata si è data durante il secondo dopoguerra. Vi è al fondo di questa prospettiva un residuo di un pregiudizio di stampo romantico, l'idea per cui vi siano dei soggetti separati, "i criminali", intesi come un popolo a parte, portatore di inequivocabili stigmate comportamentali e attitudinali che li rendono sempre uguali a sé stessi malgrado il tempo trascorso. L'adozione del modello delle "classi pericolose" consente invece di muoversi in direzione opposta, basandosi sulla concezione del crimine condivisa nell'Ottocento. Tutto ciò ha conseguenze importanti. Piuttosto che considerare, ad esempio, l'analisi della mafia delle origini come una sorta di premessa utile a sceverare le radici lunghe di pratiche criminali che daranno poi luogo nel XX secolo a "Cosa nostra", esso invita invece a immergersi nella confusione dei discorsi e delle pratiche di quell'epoca.
Da oltre vent'anni Nino Di Matteo è in prima linea nella lotta a Cosa nostra. Titolare di un'inchiesta che fa paura a tanti - quella sulla trattativa Stato-mafia, che si sviluppa nel solco del lavoro di Chinnici, Falcone e Borsellino - è lui il magistrato più a rischio del nostro Paese. Le indagini che ha diretto e continua a dirigere, ritenute scomode persino da alcuni uomini delle istituzioni, lo hanno reso il bersaglio numero uno dei boss più influenti: Totò Riina e Matteo Messina Denaro. Le parole del pm, raccolte dal giornalista Salvo Palazzolo, offrono una testimonianza diretta e autorevole sulle strade più efficaci per contrastare lo strapotere dei clan. E lanciano un grido d'allarme: Cosa nostra non è sconfitta, ha solo cambiato faccia. È passata dal tritolo alle frequentazioni nei salotti buoni, facendosi più insidiosa che mai; anche se le bombe tacciono, il dialogo continua: tra politica, lobby, imprenditoria e logge massoniche si moltiplicano i luoghi franchi in cui lo Stato è assente. Con una semplicità unica, Di Matteo condivide con il lettore la propria profonda comprensione del fenomeno mafioso di oggi. Così, tra denunce e proposte, questo libro permette di gettare uno sguardo ai meccanismi con cui Cosa nostra si è insinuata nelle logiche economiche, sociali e politiche del nostro Paese. Un'opera che si rivolge a tutti, perché è dalle azioni di ciascuno che deve partire il contrasto alla criminalità...
Negli ultimi anni la Lombardia, regione locomotiva dell'economia italiana, non ha cercato di fermare l'avanzata mafiosa. Al contrario, molti (troppi) imprenditori hanno spalancato le porte delle loro 'fabbrichette' a manager e mediatori che in altri tempi avrebbero definito 'poco raccomandabili'. Hanno scelto la 'ndrangheta come socio, finendone puntualmente stritolati. La mafia calabrese è quella più presente, potente e, per certi versi, accettata. Per anni la politica ha cercato di minimizzare, ma adesso anche gli ultimi negazionisti si sono arresi alla drammatica evidenza. Anni di indagini hanno rivelato il progressivo radicamento dei clan calabresi e la ramificazione dei loro insediamenti e dei loro interessi economici. Soprattutto nella filiera dell'edilizia e nel grande cantiere dell'Expo. Giampiero Rossi racconta l'avanzata del potere mafioso e il suo più recente salto di qualità, attraverso gli atti giudiziari, le valutazioni (sempre più allarmate) degli investigatori, le tardive confessioni di imprenditori, manager e politici che hanno accettato il patto col diavolo e - soprattutto - attraverso la viva voce dei boss e dei picciotti della 'ndrangheta del Nord, ascoltati in milioni di ore di intercettazioni telefoniche e ambientali.
Secondo l'Unodc, l'ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, nel 2012 nel mondo 243 milioni di persone fra i 15 e i 64 anni hanno assunto almeno una volta sostanze illecite. Fra tutte, la cocaina è la più richiesta e la più venduta dalla 'ndrangheta. Per i boss della mafia calabrese, la "neve" è profitto, guadagno, flusso costante di liquidità che capovolge il pensiero economico classico, secondo cui la criminalità non "produce" perché distrugge, e non genera ricchezza. In queste pagine, frutto di un lavoro di ricerca e sul campo senza precedenti, Nicola Gratteri e Antonio Nicaso ricostruiscono i grandi traffici di cocaina nel mondo in un viaggio che dalla Colombia ci porta fino in Calabria, seguendo le tappe del business planetario che arricchisce i narcotrafficanti, impoverisce e uccide i tossicodipendenti, contamina il sistema bancario, corrompe le classi dirigenti. Hanno visitato le piantagioni di coca in Colombia e sono entrati nei laboratori dove dalla foglia della pianta viene ricavata la "pasta base", sono stati in Bolivia, Perú, Argentina, Brasile, Canada, Messico, Stati Uniti, ma anche in Africa e in Australia. E poi in Germania, Austria, Spagna, Portogallo, Irlanda, Belgio, Olanda, per ricostruire le rotte di aria, mare e terra lungo le quali la cocaina passa dal produttore al consumatore. Un libro tragicamente vero ma, al tempo stesso, capace di riaccendere la speranza di poter debellare, prima o poi, questo vero e proprio flagello mondiale.
Don Giuseppe Diana fu ucciso il 19 marzo del 1994 nella sua chiesa a Casal di Principe. A vent'anni da quel delitto di camorra, il libro racconta, attraverso il dialogo tra don Diana e il padre Gennaro, cosa è avvenuto dopo la morte del sacerdote. Una storia tra romanzo e cronaca che descrive le tappe più significative di una vicenda che ha fortemente segnato un territorio che oggi tenta il riscatto proprio nel nome di don Diana. I capi camorra sono tutti in carcere e le nuove generazioni cercano altri punti di riferimento. La camorra e la violenza sono i protagonisti di ieri. I giovani e le associazioni che gestiscono i beni confiscati sono i protagonisti di oggi. L'eredità del passato è pesante e la crisi sociale non aiuta a scegliere nuove strade. Il rischio di tornare indietro è concreto. Un argine lo sta faticosamente costruendo un popolo nuovo. È il popolo di don Peppe, che vuole trasformare quelle che una volta erano conosciute come le terre della camorra, nelle terre di don Diana.
Palermo, gennaio 1981. Il capitano Angiolo Pellegrini assume il comando della sezione Anticrimine dell'Arma dei carabinieri. Un ruolo scomodo: la mafia in Sicilia ha seminato una lunga scia di cadaveri eccellenti e tiene l'isola sotto scacco. Molto più di quanto si voglia ammettere. Unica speranza, un giudice palermitano che con alcuni colleghi ha fatto della lotta alle cosche la sua missione: Giovanni Falcone. Ha bisogno però di uomini fidati che portino avanti le indagini a modo suo. E Pellegrini non si tira indietro: mette insieme una squadra di fedelissimi - la banda del "capitano Billy The Kid" - e va a infilare il naso dove nessuno ha mai osato, guadagnandosi l'amicizia e la stima del magistrato. Mentre i "viddani" di Totò Riina e Binnu Provenzano falcidiano a colpi di kalashnikov le vecchie famiglie, carabinieri, polizia e magistrati si alleano in un'azione congiunta che culmina nel rapporto dei 162 e nell'estradizione di Tommaso Buscetta. Il maxiprocesso potrebbe essere il colpo decisivo, e invece... Questo libro ricostruisce dall'interno, a ritmo serrato, il periodo più drammatico ed eroico della guerra a Cosa Nostra: quello che vide uno sparuto gruppo di uomini coraggiosi combattere davvero e dare nuova speranza alla Sicilia; ma anche quello che vide cadere Dalla Chiesa, D'Aleo, Chinnici, Cassarà, Montana. Forse inutilmente, perché il vero nemico rimase senza volto: un oscuro, ambiguo potere politico... Prefazione di Attilio Bolzoni.
Il clan dei casalesi non esiste più. È stato sconfitto con l'arresto dei suoi capi e dei latitanti storici Antonio Iovine e Michele Zagaria. "Lo Stato non ha vinto" è il racconto in presa diretta di come questo è avvenuto e delle indagini condotte dal Pubblico Ministero della Direzione distrettuale antimafia di Napoli Antonello Ardituro che per anni ha indagato sugli affari illeciti del clan. È lui che ha coordinato le ricerche che hanno portato alla cattura dei boss latitanti Mario Caterino, Giuseppe Setola e del capo Antonio Iovine, collaboratore di giustizia dal maggio 2014. Leggendo il suo racconto, scritto con Dario Del Porto, scopriremo come si è sgretolata la rete di comando della più potente famiglia di camorra, la trama complessa del suo sistema, i delitti, i protagonisti. Scopriremo che i casalesi hanno perso ma che lo Stato non ha vinto. Perché è stato troppe volte complice, troppe volte connivente, altre volte distratto. I boss sono in carcere, ma il groviglio delle relazioni, dei rapporti, delle trame indicibili, è ancora lì, forte. Per sconfiggere la camorra che va oltre i casalesi e continua a fare affari, non basta arrestare boss e affiliati. E neppure portargli via i beni. Il trono è vuoto ma lo Stato non ha vinto. Non ancora.
La legalità, banco di prova della credibilità della cultura di un popolo e della sua Chiesa, è il nuovo nome della carità, afferma don Giacomo Panizza, un prete bresciano che da oltre trent'anni vive in Calabria, dove ha dato vita a una comunità autogestita insieme a persone disabili. È nel mirino delle cosche dal 2002 per essere stato testimone di giustizia contro un clan mafioso e per aver preso in gestione un edificio confiscato. Da allora vive sotto scorta e anche di recente una delle "sue" case è stata vittima di un attentato (cf. Avvenire del 11/10/2014). Dalle regioni del Sud le mafie hanno accresciuto la loro influenza anche nel resto del Paese e in molti luoghi del mondo mandando in frantumi la coesione sociale, provocando l'impoverimento materiale e spirituale dei territori, lasciando una scia di sangue e di povertà. "È difficile per qualsiasi prete vivere in Calabria senza incontrarle, senza doverci fare i conti, senza denunciarle in qualche predica o inserirle miratamente nella catechesi". Le frasi vigorose pronunciate contro i mafiosi da Giovanni Paolo II e da papa Francesco e gli omicidi di don Pino Puglisi a Palermo e di don Peppe Diana a Casal di Principe ribadiscono un'urgenza non più rinviabile: vincere l'indifferenza e la paura educandoci ed educando all'onestà e alla trasparenza. Un compito che chiede alla società di organizzarsi con pratiche attive della legalità e alla Chiesa di sperimentare interventi corali e una pastorale adeguata.
Sono vent'anni che la Campania è sommersa dai rifiuti. Una politica corrotta o incapace, poteri criminali e interessi economici hanno determinato un disastro ecologico di enormi proporzioni. Si è scelta una comunità "debole" per trasformarla nella discarica finale di ogni scarto. Ma la convinzione che quella comunità sarebbe rimasta apatica si è rivelata sbagliata. Si è formata, invece, una comunità resistente capace di battersi per la giustizia ambientale, di proporre soluzioni alternative, di gridare le sue ragioni. In Campania sono le donne a svolgere un ruolo di primo piano. Questo libro racconta le storie di alcune di loro nella convinzione che costruire la memoria significa lottare contro la fine della storia e il ricatto di un presente senza alternative. Raccontare le storie di Teresa e le altre è un antidoto potente, un tassello di una resistenza collettiva, un progetto di guerrilla narrative. Perché la resistenza ha bisogno di voci e di reti. Perché raccontare è (r)esistere. Con un intervento di Erri De Luca.
La prima parte del volume contiene un saggio introduttivo dello storico Giuseppe Carlo Marino, che analizza - in maniera "diacronico-sincronica" tutte le varie forme dell'antimafia, da quella istituzionale a quella sociale, da quella giudiziaria a quella popolare. La seconda parte del volume, scritta dal giornalista Pietro Scaglione, descrive analiticamente un secolo di storia (dai Fasci Siciliani all'uccisione di padre Puglisi) e si muove lungo tre linee direttrici. In primo luogo, si analizza il tema delle origini della mafia e si demoliscono miti, stereotipi e pregiudizi sul fenomeno. Una seconda linea direttrice approfondisce il tema del movimento antimafia, delle lotte contadine e delle lotte sociali, valorizzando il ruolo del mondo cattolico. La terza linea direttrice si occupa dei misteri siciliani dietro a cui ruota tutta la storia d'Italia.