I saggi raccolti in questo volume costituiscono un contributo alla storia dell'averroismo. Di questa complessa tradizione filosofica, che trasmette e sviluppa l'opera di Averroè (1126-1198) all'interno del pensiero ebraico e latino, vengono qui esaminati alcuni momenti salienti, non più circoscritti al Medioevo, ma estesi a pensatori rinascimentali (Elia del Medigo, Agostino Nifo) e moderni (Uriel da Costa, Spinoza e Adriaan Koerbagh). Al tempo stesso, gli studi qui presentati aprono ulteriori orizzonti per indagare l'influenza dell'averroismo nella formazione del pensiero di Spinoza e del movimento libertino europeo. Prefazione di Filippo Mignini.
Il pensiero di Sergio Quinzio ha trovato in quattro direttrici fondamentali l'approfondimento ricercato: escatologia, senso della fede come critica del sacro, presenza della morte e superamento dei saperi tradizionali. Tali linee si intrecciano con il profilo biografico e con l'analisi delle diverse opere per abbracciare da più parti la scrittura religiosa quinziana. Sergio Quinzio (1927-1996) ha incarnato nella sua scrittura religiosa l'attualità del pensiero della fede ma anche la critica nei confronti di un mondo alla fine della storia. Autore che parla il linguaggio della filosofia e della teologia, dell'ermeneutica biblica e della sapienza ebraica, ha riportato l'attenzione sulle cose ultime per dare dei fatti una lettura escatologico-apocalittica, attraverso una polifonia di interessi e stili. Tra le sue pubblicazioni: "Diario profetico" (1958); "La fede sepolta" (1978); "La croce e il nulla" ( 1984); "Mysterium iniquitatis" (1995).
Gli scritti raccolti in questo secondo tomo del volume dedicato al "Pensiero delle pratiche" riprendono sotto una nuova luce temi centrali nel lavoro dell'autore sin dagli anni Settanta e Ottanta. Da un lato è in questione la relazione tra semiotica ed ermeneutica; da un altro lato il pensiero delle pratiche e la sua relazione col tema della scrittura. Il punto di approdo è quella declinazione etica del conoscere e della funzione genealogica della filosofia che assume, nei lavori qui presentati, i tratti seducenti e sconcertanti del salto nell'abisso. Il pensiero delle pratiche dissolve infatti i punti di appoggio consolidati nella tradizione filosofica e impone di slanciarsi verso forme inedite del filosofare, non per amore di novità, ma di verità. Come già era emerso nel percorso "abissale" di Archivio Spinoza (in Opere, voi. IV, tomo I), vita e sapere si intrecciano in modalità essenzialmente problematiche e nondimeno feconde. Qui l'intreccio assume come tema una domanda tipicamente gnoseologica: come è possibile la corrispondenza di mente e mondo, che è la condizione stessa del conoscere? Questa domanda è il filo rosso che lega strettamente "Idoli della conoscenza" con "Gli abiti, le pratiche, i saperi" e con i sei testi, più recenti e più antichi, raccolti nelle appendici.
Viviamo in una condizione di profonda sofferenza della politica e della democrazia, una crisi che nasce da radicali cambiamenti economici e sociali ma presenta contestualmente i caratteri di una crisi etica. È possibile un rapporto tra etica e democrazia? Riflettendo sul concetto di democrazia e sulla complessità del nostro tempo, il testo propone un'idea di democrazia che renda fecondo tale rapporto, tracciando i lineamenti di un'etica per la società democratica.
Seguendo le due categorie della ragione e della follia, l'autrice rilegge la storia del pensiero occidentale, mettendo in luce il processo attraverso il quale l'una si rovescia nell'altra. Percorrere la filosofia come un itinerario di potenziamento e de-potenziamento della ragione mette in luce come la follia ne costituisca l'eccesso, che comincia quando la ragione cessa di essere il mezzo esplorativo per diventare logos costitutivo, non più strumento del sapere, ma suo oggetto. L'ampio orizzonte del libro si apre allora su diversi momenti-chiave di questa alternanza, da Aristotele a Nietzsche, da Machiavelli a Hannah Arendt, fino ad addentrarsi nei territori oscuri dove si radicano le fondamenta filosofiche del nazismo. Dalla ciclica impasse dell'oscillazione tra ragione e follia nasce infine la necessità di introdurre una terza categoria: l'agostiniana follia della croce, la proposta di una fede che non esclude la razionalità, ma ne ridimensiona l'aspetto fondante e la logica dominatoria. "Prendi e leggi!", la voce interiore che l'ancora neoplatonico Agostino sente dentro di sé quando è alle prese con le Lettere di san Paolo, rappresenta allora l'invito a riconfigurare la relazione tra fede e sapere nel segno di una follia salvifica che apre nuovi orizzonti.
"Del governo dei viventi" costituisce un passaggio cruciale nella storia dei regimi di verità che Michel Foucault sviluppa nell'insieme dei corsi al Collège de France. Dopo aver esplorato il campo giuridico e giudiziario e quello politico si rivolge qui alle pratiche e alle tecniche del sé, al campo dell'etica che d'ora in avanti non lascerà più. Si domanda: "Come accade che, nella cultura occidentale cristiana, il governo degli uomini richiede a coloro che sono diretti, oltre ad atti di obbedienza e di sottomissione, anche 'atti di verità' che hanno di particolare il fatto che al soggetto non solo si richiede di dire il vero, ma di dire il vero riguardo a se stesso, alle sue colpe, ai suoi desideri, allo stato della sua anima ecc.?". La questione lo conduce da una rilettura dell'Edipo re di Sofocle all'analisi degli "atti di verità" del cristianesimo primitivo, attraverso le pratiche del battesimo, della penitenza e della direzione di coscienza. Foucault si interessa agli atti tramite i quali il credente è chiamato a manifestare la verità a proposito di sé, in quanto essere indefinitamente fallibile. Dall'espressione in pubblico della propria condizione di peccatore, nel rituale della penitenza, alla verbalizzazione minuziosa dei propri pensieri più intimi, nell'esame di coscienza, si vede disegnarsi l'organizzazione di un'economia pastorale centrata sulla confessione. Questa è la prima delle indagini che Foucault condurrà in seguito nel campo dell'etica.
Vengono qui presentate per la prima volta tutte le lettere disponibili dello scambio epistolare intercorso fra Henri Bergson e William James fra il 1902 e il 1910, anno della morte di James, integrate dai testi (lettere ad altri corrispondenti, saggi, articoli) che documentano la storia di una straordinaria amicizia filosofica. L'incontro fra il filosofo francese e lo psicologo e filosofo americano non fu dettato soltanto dalle affinità concettuali ed esistenziali, ma soprattutto dall'esigenza di ripensare su basi rinnovate il programma di ricerca della filosofia. A unirli con un legame profondo erano il rifiuto dell'intellettualismo, la critica della metafisica di scuola come dello scientismo positivista, ma anche l'idea che per la filosofia fosse venuto il tempo di ritornare a parlare la lingua viva dell'esperienza. Solo così la filosofia si sarebbe potuta mostrare all'altezza del secolo che si stava aprendo e delle nuove esigenze teoretiche che proprio la nuova scienza aveva posto sul tappeto. Il dialogo Bergson-James è una pietra miliare nella storia intellettuale del Novecento, di cui solo oggi si comincia ad apprezzare la straordinaria portata.
Quando entriamo in relazione con gli altri, non ne usciamo mai indenni. La nostra affettività si scontra con la realtà del mondo. Con la materialità del nostro corpo. Con la resistenza che gli altri oppongono al nostro desiderio. E il mondo non esita ad addomesticare la vita obbligandoci, molto spesso, a reprimere i nostri sentimenti, a renderci conformi alle aspettative degli altri, a sottometterci al giudizio collettivo. E se la nostra verità fosse proprio lì, in quell'imperfezione che ci portiamo dentro e che cerchiamo a tutti i costi di negare? E se fosse solo nel momento in cui rinunciamo alla perfezione che possiamo vivere pienamente?
Le lettere qui raccolte, note come Cartas de La Pièce, rappresentano uno dei fondamentali epistolari dell'immensa produzione della filosofa Maria Zambrano, la quale intrattenne una lunga corrispondenza con il teologo Agustín Andreu. Iniziato negli anni '50 intorno alle ferite lasciate dalla Guerra Civile, lo scambio profondo tra il giovane teologo e la già autorevole pensatrice, si intensificò soprattutto negli anni '70, quando Andreu inizia a elaborare una teologia "del Logos e dello Spirito nelle loro reciproche relazioni". Il tema del Logos e dello Spirito rappresentava allora un nuovo modo di sentire e concepire il divino., con molte e decisive conseguenze, ed è il vero tema dell'epistolario; in questo tema Maria Zambrano trova un congeniale terreno di lotta filosofica, e un'affine esperienza teologico-metafisica. Dall'esilio a La Pièce (tra Francia e Svizzera), grazie allo scambio con Andreu, la filosofa ha modo di scrivere intorno a sant'Agostino, alla natura, alla gnosi, al matrimonio, alla syzygia (piccola comunità), all'amicizia, all'esilio, ai Maestri, alla Ragione Vitale... facendo affiorare tutto il suo mondo spirituale. L'epistolario è costituito dalle sole lettere di Maria Zambrano e copre il periodo dal 1973 al 1976. In questo primo volume si arriva al febbraio '75. L'opera sarà completata con un secondo volume contenente anche un'Appendice critica curata da Agustín Andreu e un Indice dei nomi. Introduzioni di Lucia Vantini e Agustín Andreu.
Questo libro è un'avventura nel significato profondo e multiforme della parola "cura", in un arco che attraversa quotidianità, pratica medica, mito, filosofia e Scrittura.
In un arco che attraversa quotidianità, pratica medica, mito, filosofia e Scrittura, questo libro è un’avventura nel significato profondo e multiforme dell’essere, pensare e agire cura. «Cura è desiderare che la verità prenda forma». Accade che ci prendiamo cura, di noi e degli altri, dei corpi, delle parole, del creato. Accade che gesti e parole di cura trabocchino in noi, o che percepiamo sulla nostra pelle la compassione degli altri e di Dio.
Autore
PAOLO CATTORINI, professore ordinario di bioetica all’Università degli studi dell’Insubria, offre consulenza etica e formazione permanente in bioetica clinica e medical humanities a operatori, staff, istituzioni sanitarie. È autore di numerosi articoli scientifici e pubblicazioni, tra le quali: Estetica nell’etica. La forma di un’esistenza degna (EDB 2010), La libertà del cervello. Neuroscienze, etica e cinema (EDB 2013), Il desiderio di salute. Bioetica nella clinica, nella società, nello sport (Edizioni Camilliane 2013).
Il potere è fragile e oneroso. È fragile, perché dipende dagli "altri", che pur deve materialmente dominare. È oneroso, perché l'obbedienza ha un suo prezzo: la minaccia o la lusinga, la paura o il consenso. Appartiene all'uomo, alla sua ambizione e alla sua ignoranza. L'ambizione lo spinge alla conquista, l'ignoranza gli cela la causa della precarietà di ciò che ha ottenuto. Tutto dipende dall'uomo, dalla sua mente, dal suo carattere, dalla sua psiche, dalla sua immaginazione, dalla sua parola, dai suoi muscoli, dalla sua destrezza: dalla sua "testa" e dal suo "corpo". Vi sono epoche in cui l'uomo onora l'esistenza, pur vivendo in mezzo alla miseria ed alle persecuzioni; e tempi nei quali non sperimenta altro, ad ogni livello, che la propria mediocrità. Il saggio è pensato, dunque, in una chiave, che definisco "antropologico-esistenziale": il potere, infatti, è una dimensione esclusivamente umana, che ha la sua cifra nel non accettare la propria finitudine. Non è effettivo se non si pensa "assoluto", ma la tensione dell "io" per realizzare quell'assolutezza incontra sul suo percorso l'"alterità"; e la incontra sempre di nuovo, nonostante ogni tentativo per eluderla, schiacciarla, renderla inoffensiva e impotente. Di qui una ineliminabile "fragilità": il potere che l'"io" accumula, quali che siano le forme materiali in cui si manifesta, incrocia strutturalmente l'"alterità" e da essa, oggettivamente, dipende.
Attraverso la lettura del "De pace fidei" Monaco affronta il tema della pace tra le religioni in Cusano. Per il filosofo tedesco il riconoscimento della stessa ricerca di Dio è il fondamento per la pacificazione tra le religioni che non sacrifichi la pluralità dei riti, ma anzi che l'esalti, vedendovi le molteplici manifestazioni di una stessa umana ricerca e preghiera all'unico Dio.