Un garage, una buona dose di genio e altrettanta di fortuna, un'idea rivoluzionaria destinata a cambiare il mondo. E poi soldi, successo, felicità. Una narrazione facile e seducente, che per anni ha alimentato la mitologia dorata delle startup da Silicon Valley. Ma la realtà delle statistiche riporta con i piedi per terra: nove startup su dieci non sopravvivono ai primi tre anni di attività. La retorica dell'ottimismo però ha spesso la meglio e delle startup che non ce l'hanno fatta non rimane traccia, soprattutto in quei paesi, incluso il nostro, in cui è assente una cultura positiva del fallimento, vissuto come un'onta personale che si fa stigma sociale. Ma studiare i fallimenti, propri o altrui, è strumento indispensabile per individuare gli errori da non commettere e ricavare lezioni sulle pratiche virtuose da seguire. E perché no, per imparare a essere felici. Andrea Dusi lo fa in questo libro in modo concreto e sistematico, analizzando centinaia di casi, letti e interpretati anche alla luce dei suoi fallimenti e dei suoi successi.
I monaci del monastero Shaolin in Cina sono famosi da centinaia di anni per la loro insuperabile abilità nel combattimento e da loro ha origine il nome del Kung-Fu Shaolin, progenitore di tutte le arti marziali tradizionali cinesi. Lo Shaolin però non è solo una pratica corporea, ma un modello di vita e di comportamento che si regge su principi specifici utili in ogni contesto, professionale o personale. I risultati sono straordinari. In questo libro sono restituiti gli insegnamenti dello Shaolin, spiegandoli e applicandoli alle nostre abitudini e relazioni quotidiane. Il lettore potrà così trarre ispirazione e aiuto da una sapienza antica, e allenare quella forza mentale che rende i monaci capaci di cose straordinarie ma che permette anche a noi di vincere le sfide che ogni giorno ci troviamo di fronte. Il segreto dei monaci Shaolin, noti per la loro imbattibilità, non sta tanto nella loro forza fisica, quanto piuttosto nel loro modo di pensare e nel controllo che esercitano sulla loro mente: è questo a renderli invincibili. E che renderà invincibili anche voi con l'aiuto di Bernhard Moestl, che sintetizza in questo agile libro i principi di un sapere millenario, attualizzandoli alla nostra quotidianità.
È un'ipertrofia dei diritti ciò che spiegai, il declino italiano: questa la diagnosi di Alessandro Barbano, direttore del «Mattino». Si tratta di un virus che ha infiltrato il discorso pubblico e da decenni blocca ogni tentativo della politica e della società di riscattarsi. Certo, in passato i diritti individuali sono stati il carburante che ha alimentato la nascita, la crescita e l'affermarsi delle democrazie a scapito di assolutismi e di totalitarismi. Ma quando quei diritti sono diventati princìpi guida delle società, è emerso anche il loro lato oscuro, favorito oggi dallo sviluppo di innovazioni tecniche che aprono inedite prospettive. Proprio la visione di queste nuove possibilità amplia lo spazio delle aspirazioni del singolo e dei gruppi, facendo perdere di vista il limite etico insito nel concetto stesso di libertà. È ciò che si definisce «dirittismo», malattia che esibisce un sintomo ormai sotto gli occhi di tutti: la crisi della delega, ossia la rinuncia a qualsiasi mediazione tra gli interessi di uno o di pochi e quelli di tutto il corpo sociale. È accaduto nel campo politico, dove il dirittismo si è tradotto in aperta diffidenza nella classe dirigente e nel diffuso astensionismo; nel campo del sapere, dove manca il criterio della meritocrazia; e nella sanità, dove vale per tutti l'esempio del movimento contro i vaccini. E, altrettanto grave, è accaduto nel campo dei media, dove strumenti come Internet, Facebook, Twitter hanno scalzato la mediazione della carta stampata, stravolgendo spesso il messaggio veicolato. La combinazione di diritti e tecnica si è così tramutata in un fattore di indebolimento e disgregazione della stessa democrazia. Quello di Barbano è un viaggio nel pensiero di un Paese tradito dalla libertà, in cui nessuna élite ha più il coraggio di dire il vero e di fare i conti con minoranze organizzate sotto la bandiera dei diritti acquisiti. Dal palazzo alla piazza, dai giornali alla Rete, dalla scuola alla giustizia, il discorso pubblico non è più al servizio della democrazia. "Troppi diritti" intende raccontare come ciò sia accaduto e che cosa fare per uscire da una simile crisi epocale.
In un tempo difficile, definito da alcuni "privo di valori forti" e da altri "del lungo tramonto dell'Occidente", questo volume tenta di tenere aperto il dibattito su alcuni importanti nodi della nostra vita sociale e del nostro ordinamento civile. Interrogandosi sul rapporto tra etica ed economia, etica e scienza, etica e politica, Remo Bodei, Elena Cattaneo, Maurizio Franzini, Giulio Giorello, Giovanni Moro, Giuseppe Pignatone, Mario Tronti suggeriscono idee inedite, indicano fattori determinanti e segnalano nuove strade da percorrere per nutrire la nostra coscienza civica.
Le nozioni di bene e male sono indispensabili per vivere e, al tempo stesso, sempre insidiate da fraintendimenti e pregiudizi. Orlando Franceschelli - filosofo, impegnato da anni nella definizione di un'etica laica fondata sul radicamento dell'uomo nella natura - non si sottrae alla sfida di trovare risposta a una domanda radicale: in nome di quale bene e di quale male sarebbe auspicabile agire come singole persone e come gruppi sociali? In società come le nostre, investite da trasformazioni epocali, dal fanatismo terrorista, da nuove sfide poste dai dilemmi bioetici e dai progressi della ricerca scientifica, eludere questo interrogativo equivale a incamminarsi sul sentiero pericoloso dell'indifferenza e della deresponsabilizzazione. L'autore sceglie la via opposta a ogni disimpegno e chiarisce fin da subito la propria visione: l'identificazione del bene con la tensione verso la possibile felicità terrena - la propria e quella degli altri esseri senzienti umani e non umani - e del male morale con l'indifferenza egoistica verso la sofferenza. Una visione non condizionata da prospettive soprannaturali, in sintonia con una tradizione di pensiero che da Democrito arriva fino a Spinoza, Hume, Darwin, Leopardi, e si scontra con l'esaltazione della volontà di potenza proposta da Nietzsche. Nel ripercorrere il cammino dei grandi teorici del pensiero naturalista, Franceschelli mostra come dalla definizione di nozioni quali natura, male fisico o morale, bene individuale e beni comuni (inclusa la bellezza), felicità e sofferenza, si possa approdare a una concezione di bene e male condivisibile e compatibile con il rispetto del mondo naturale, sempre più minacciato, con la convivenza civile nelle società multiculturali e con i principi delle nostre Costituzioni liberali e solidali. La conclusione dell'autore è che la virtù della laicità - la sola che può garantire un dialogo alto tra credenti e non credenti - ci educa a praticare anche la più efficace solidarietà samaritana, ossia a soccorrere chi ne ha bisogno non solo per umana pietà, ma perché anch'egli aspira alla propria felicità e ha diritto a cercarla.
Tutta la nostra vita biologica è il risultato di una continua integrazione tra diversi settori che si relazionano, si scambiano informazioni, sia in condizioni di salute che di malattia. La terapia oncologica integrata non esclude nessun tipo di intervento: ritiene utile la terapia farmacologica e la chirurgia, ma la integra con agopuntura, fitoterapia, omeopatia e l'alimentazione. Tutto questo per ridurre gli effetti collaterali delle terapie e potenziare l'efficacia dei farmaci, migliorare la qualità della vita del paziente e aumentare le possibilità di guarigione. Ma non è vero che un paziente oncologico può mangiare di tutto o assumere di tutto: nella fattispecie non deve adottare una dieta iperproteica e deve tenersi lontano da alimenti come i carboidrati raffi nati, carne, pesce di grossa taglia e latticini. Di cose da sapere ce ne sono molte come per esempio che l'aloe vera, la curcumina e il tè verde rappresentano un valido aiuto durante la chemioterapia mentre sono sconsigliati l'iperico e il ginkgo biloba, il pepe o la soia.
Traduzione di Federico Lopiparo
«Se l’evoluzione è vera, c’è ancora spazio per Dio?». Questa è la domanda, complessa, da cui muove il testo di Francis Collins, genetista di fama internazionale e scienziato tra i maggiori degli ultimi decenni. Accennando al proprio personale percorso di vita, che lo ha condotto dall’agnosticismo alla scoperta di Dio, Collins afferma che tra scienza e fede – pur così diverse tra loro – può esistere una profonda armonia, ed esprime con il termine “BioLogos” (da Bios, ‘vita’, e Logos, ‘Parola’) la convergenza tra la comprensione offerta dalla scienza contemporanea del mondo della vita e l’idea di un Logos, di una Parola creatrice che la fondi.
FRANCIS COLLINS (Staunton, 14 aprile 1950)
Genetista statunitense. È celebre per essere stato direttore dello Human Genome Research Institute, che ha elaborato l’ambizioso Progetto Genoma Umano. Nel 2009 è stato nominato da Papa Benedetto XVI membro della Pontificia Accademia delle Scienze. Dallo stesso anno è direttore dei National Institutes of Health negli Usa. In italiano è tradotto Il linguaggio di Dio, in cui Collins ha proposto il concetto di BioLogos.
Per capire chi siamo, e dove andiamo, dobbiamo sondare il passato profondo. È lì che si trovano le ragioni del presente e le premesse del futuro. La tecnologia è entrata nella nostra vita quando abbiamo costruito i primi strumenti. Da allora essa ha modificato l’evoluzione del nostro corpo e della nostra mente. Abbiamo generato mondi fantastici che ci hanno unito ed emozionato. Narrazioni che ci hanno esaltato, ponendoci al centro dell’universo. Sistemi di relazioni che hanno reso la nostra vita più interessante. Contenendo e coordinando le pulsioni individuali, siamo diventati un grande e potente organismo sociale. Ora però l’umanità deve affrontare nuove sfide. Fra queste la convivenza reciproca, e il rapporto con il mondo “naturale”, su un pianeta che si fa sempre più piccolo e sempre più segnato dalle tracce del nostro passaggio. Toccherà alla nuova intelligenza artificiale, costruita a nostra immagine e somiglianza, portare a termine quel lungo processo di autodomesticazione che abbiamo iniziato decine di migliaia di anni fa, quando abbiamo creato società piramidali, fondate prima sul dominio delle conoscenze e poi sulla fascinazione del potere?
Perseguitati, discriminati, vittime. Sui media e nel discorso pubblico, i popoli minoritari del Medio Oriente vengono spesso associati a categorie che sono diventate ormai quasi delle etichette. Ma in questo sguardo manca qualcosa di molto importante. Perché le numerose e sfaccettate minoranze che abitano la zona mediorientale sono, prima di tutto, resistenti, "anime fiere". Comunità eccezionali e preziose, che nel corso dei secoli hanno saputo conservare intatta la propria identità. Qualche volta nel nascondimento, altre combattendo a viso aperto, non solo hanno difeso usanze e anche religioni considerate blasfeme dal potere di turno, ma hanno rivendicato il proprio insostituibile contributo alla prosperità delle loro società. E continuano a farlo. Dai copti agli aleviti, dai curdi ai maroniti, sono questi popoli indomiti, più di tutti, a tenere alta oggi la bandiera di chi è convinto che la convivenza tra diversi sia l'unico futuro possibile per un Medio Oriente paurosamente avviato verso dinamiche di disgregazione. È per questo che le loro storie, infarcite di suggestive leggende, di peripezie epiche e troppo spesso di sangue, ci riguardano tutti. Guidati dall'autrice, immergiamoci dunque nelle loro vicissitudini, alla scoperta di terre affascinanti dai colori e profumi inconfondibili, all'incontro di persone con un ricco passato, una quotidianità spesso difficile ma un futuro colmo di speranze.
Chi è un multipotenziale? Se da bambino non hai mai saputo dare un’unica risposta alla fatidica domanda “cosa vuoi fare da grande?”, e oggi non sai che cosa scrivere sul tuo biglietto da visita, molto probabilmente sei tu. E come te – basta guardarsi intorno per rendersene conto – ci sono milioni di persone che vivono perennemente in bilico fra l’ansia di non avere ancora trovato la propria strada e il piacere di imboccarne sempre diverse con facilità, interesse e profitto. Ispirato dalla celebre Ted Conference Perché alcuni di noi non hanno un’unica vera vocazione di Emilie Wapnick, Fabio Mercanti ha approfondito il tema della multipotenzialità riconoscendo come persone con molti interessi e occupazioni creative quelle che con ogni probabilità imprimeranno la spinta più forte all’innovazione nei prossimi decenni. Per la prima volta in Italia un libro affronta questo argomento attualissimo, che sintetizza questioni cruciali del mondo del lavoro e getta una nuova luce sul concetto di identità professionale. Con uno stile diretto e colloquiale e partendo da concrete esperienze di vita e di lavoro, Fabio Mercanti – egli stesso un multipotenziale cronico – ci mostra l’importanza delle qualità fondamentali di chi ha più di una carriera, individuando nella multipotenzialità una delle risorse più promettenti della società contemporanea.
Rwanda, aprile 1994. Per cento giorni, a partire dal 7 del mese, nel Paese delle mille colline viene perpetrato uno spaventoso genocidio preparato minuziosamente a tavolino, il più grave della storia del Novecento dalla fine della seconda guerra mondiale. In quella primavera di sangue almeno 800.000 persone trovarono la morte per mano degli estremisti hutu, nella totale inazione della comunità internazionale. Un quarto di secolo dopo il genocidio dei tutsi, il Rwanda è un Paese dinamico che, seppur con molte contraddizioni, guarda con fiducia al futuro. La comunità internazionale, invece, non ha ancora riflettuto su quello che è stato il suo più grande fallimento: il non aver impedito un genocidio, pur avendo i mezzi e il tempo per farlo, in stridente contrasto con quel "mai più" solennemente dichiarato dopo gli orrori di metà del secolo.
Nessun popolo lo ha eletto, non vi è stata alcuna votazione democratica in alcun parlamento. Ma un consesso di oligarchi si è sostanzialmente autonominato Senato del mondo in base al censo e alla classe sociale. Il ruolo del popolo è più o meno di ratificare, attraverso quello che si è ridotto a un rito formale - le elezioni -, decisioni già prese e comunque separate dalle politiche economiche, che si muovono su binari diversi dalla politica vera e propria. Noam Chomsky è un acuto conoscitore delle dinamiche del potere, e un infallibile premonitore dei mali che affliggono le società occidentali. Quasi trent'anni fa aveva predetto il disastro della speculazione finanziaria, che negli anni ha sostituito l'economia di investimento, e il progressivo sgretolamento delle democrazie da parte delle ricche élite che più di tutto odiano essere intralciate da istanze sociali. Queste pagine rappresentano una sorta di "viaggio illuminante" nella società, nei media e nelle stanze del potere di un sistema che rischia di trovare la sua prima ragion d'essere nel metodo di spartizione del bottino fra potentati economici e conniventi politici. Demolitore delle ipocrisie del politicamente corretto, Chomsky è stabilmente nella lista dei dieci autori più citati di sempre (in compagnia di Shakespeare e di Aristotele, di Marx e della Bibbia), ma benché sia trattato come un'autentica celebrità in Europa e sia senza dubbio un critico sociale di enorme valore, appare l'equivalente moderno dei profeti del Vecchio Testamento: gli si addice il detto "nessuno è profeta in patria". Eppure le sue analisi e previsioni si rivelano quasi sempre sorprendentemente esatte. Per questo, per capire come va il mondo, per capirlo davvero, è bene partire da Noam Chomsky.