La metafora medica ricorre di frequente nei testi di Seneca, la cui riflessione si muove secondo la distinzione tradizionale che accostava alla chirurgia altri due specifici settori di ricerca: la dietetica e la farmaceutica. “Cibo e cura” e “cibo e malattia” sono del resto due binomi tipici della riflessione ippocratica.
L’opera del medico avviene tuttavia nell’orizzonte più ampio della precarietà della salute e della finitezza della condizione umana. Talvolta, di fronte al male, neppure il dottore basta perché «la salute del corpo è temporanea e il medico, anche se la restituisce, non la può garantire». In questo modo riaffiora un’altra qualità del medico, quella di essere filosofo, poiché riflette sulla condizione umana e la sua fragilità, adotta sobrietà e temperanza e considera la malattia sempre a partire dall'uomo.
Da dove vengono figure e miti della nostra vita quotidiana? Molto spesso da fonti greche e latine. - I conflitti e le ambivalenze nei rapporti tra genitori e figli, le gelosie tra fratelli, la contrapposizione tra il ruolo maschile e quello femminile nella società, gli entusiasmi generosi dell’adolescenza si rispecchiano nelle antiche vicende di Edipo e Clitennestra, di Atreo, degli eroi, delle Amazzoni, ecc. - L'attualità del mito è resa evidente dal suo persistere nel linguaggio quotidiano, con espressioni come: “la tela di Penelope,” “il letto di Procuste”, “il tallone di Achille”. - Un libro per tutti, con 16 immagini a colori.
Capolavoro del XII secolo a lungo misconosciuto, di cui qui si offre la prima traduzione italiana, il poema Architrenius (1184 ca.) di Giovanni di Altavilla narra il viaggio di un uomo alla ricerca della Natura quale responsabile dei mali umani. Il protagonista visita luoghi emblematici del vizio – la dimora di Venere, la taverna, l’università, la corte, il chiostro – e giunge infine all’isola di Tylos, dove le orazioni di antichi filosofi precedono l’aspro dialogo con la Natura matrigna. In un latino vivido e pluristilistico, quest’opera, vero prototipo della Commedia, integra le molteplici forme della letteratura coeva, dalla vena comico-realistica alle sottigliezze metafisiche, dal romanzo di formazione all’allegoria didascalica. Con sorprendente modernità, il protagonista discute le tesi del provvidenzialismo antropocentrico, assumendo accenti lucreziani e manichei, e prefigurando il Leopardi del Dialogo della Natura e di un Islandese.
«E in questa conversazione milesia io intreccerò per te storie di ogni genere e incanterò le tue orecchie benevole con un dolce sussurro.» Così, in tono apparentemente leggero, si aprono le Metamorfosi di Apuleio, conosciute anche come L'asino d'oro, il secondo grande romanzo latino dopo il Satyricon di Petronio e prima dell'anonima Storia di Apollonio. Riprendendo un perduto originale greco, Apuleio narra le avventure di Lucio, un giovane animato da insaziabile curiosità che viaggia attraverso la Tessaglia. Trasformato per errore in asino, dovrebbe mangiare delle rose per tornare uomo, ma viene portato via da una banda di ladroni e usato come bestia da soma. Nel covo dei briganti conosce Carite, una giovane rapita a scopo di riscatto; la vecchia governante dei malfattori, per consolarla, le racconta la favola, poi celeberrima, di Amore e Psiche: la quale non è che la più lunga delle tante digressioni, le affascinanti storie che arricchiscono le Metamorfosi e diverranno tesoro della novellistica, dalle avventure narrate dai rapitori alle storie noir dello schiavo fedifrago e della donna assassina, ai divertenti adulteri delle mogli del mugnaio e del tintore. Le peripezie di Lucio, l'una più mirabolante dell'altra, continuano a lungo, sino a sfociare nell'undecimo e ultimo libro, che stupisce per la nuova dimensione filosofico-religiosa, ancor oggi discussa. Lucio prega la Luna di liberarlo dalle sue disgrazie. Comparsa nelle vesti di Iside, la dea gli preannuncia la salvezza: il giorno dopo, durante una processione, un suo sacerdote gli porgerà una corona di rose. Nuovamente essere umano, Lucio si fa adepto della divinità egizia ed è iniziato ai suoi misteri. Ma il suo viaggio e il suo percorso iniziatico non sono ancora finiti. In sogno, Iside gli ordina di recarsi a Roma, dove lo attendono due nuove iniziazioni misteriche e una luminosa carriera di retore. Apuleio, il colto africano maestro della lingua, autore delle sfavillanti orazioni dei Florida, dell'apologia giudiziaria de magia, e delle operette filosofiche de deo Socratis e de Platone et eius dogmate, si rivela così il «Signore delle innumerevoli connessioni» tra tutte le cose. La Fondazione Valla pubblica una nuova edizione critica delle Metamorfosi in quattro volumi.
La prima parte risulta la più interessante: vivere secondo natura, godere della libertà interiore, esercitare la razionalità, avere come guida la virtù, ricercare il sommo bene sono argomenti sui quali anche il più spensierato degli uomini di tanto in tanto riflette. La seconda parte del dialogo invece risulta più sottile che convincente; l'intento è fin troppo scopertamente autodifensivo: è vero che la saggezza si può praticare sia nelle difficoltà sia negli agi, ma è molto meglio essere ricchi che mendicanti, godere di buona salute che essere cagionevoli, abitare in una casa confortevole che sotto un ponte e potremmo continuare. Infine nella polemica contro l'Epicureismo, che diventa l'alibi filosofico di ogni sfrenatezza e contro le dottrine che tentano di insinuare nello Stoicismo motivi edonistici travestiti da amici della virtù, troviamo un serio ammonimento: non cediamo ai facili accomodamenti fra le grandi scuole di pensiero - una specie di trasformismo etico - ma ancor più dobbiamo saper dire "no" ai piccoli e grandi compromessi che avvengono nel chiuso della nostra coscienza.
«Voglio che questa gioia diventi un tuo possesso: non ti verrà mai meno, una volta che ne avrai scoperto l'origine. »
Il 1° settembre del 100 d.C., in occasione della sua nomina a console, Plinio pronunciò in Senato un discorso di ringraziamento all'imperatore Traiano. Capolavoro dell'oratoria antica, testo esemplare per lo stile ampio e ricercato, il "Panegirico" da un lato esalta le virtù e i meriti dell'imperatore contrapponendo loro i vizi e i difetti degli imperatori precedenti, in particolare del crudele Domiziano; dall'altro magnifica e accresce le virtù reali di Traiano fino a trasformarle in paradigmi ideali ai quali un imperatore dovrebbe conformarsi. L'elogio a Traiano diventa così un ritratto dell'"optimus princeps" destinato ad attraversare i secoli.
L'epistolario di Plinio il Giovane è uno dei capolavori della prosa latina e una miniera di informazioni sul periodo a cavallo fra il I e il II secolo d.C. Delle oltre 350 lettere che lo compongono, questo volume presenta una selezione che attinge sia alle missive private destinate a parenti, amici e colleghi, sia a quelle ufficiali indirizzate all'imperatore. Alcune sono pietre miliari della storia e della cultura dell'Occidente - come quelle sull'eruzione del Vesuvio o sui processi a carico dei cristiani, di cui costituiscono la prima testimonianza -, altre illuminano usi e costumi di Roma o i rapporti fra intellettuali e personaggi di spicco nella politica del tempo, e altre ancora sono, semplicemente, biglietti ancora oggi esemplari per gusto ed eleganza.
Scritto a partire dal momento del ritiro di Seneca dalla politica nel 62 d.C., il lungo dialogo De beneficiis in sette libri è un trattato sul rapporto tra il dare e il ricevere e, contestualmente, sul ‘criterio’ che deve regolare il comportamento e le relazioni tra gli uomini organizzati in società. Seneca lo individua nella voluntas o animus dandi beneficia, ossia nella ‘volontà’ o ‘intenzione’ di beneficare i propri simili. In questo concetto del dare beneficia dove la ‘volontà’ sostanzia e dirige la conoscenza, il filosofo vede il motore di una società, quella imperiale, che egli ha voluto rifondare sul piano etico e politico quand’era precettore e poi ministro di Nerone, e di cui ora intende tramandare, quasi si trattasse di un suo personale beneficio alla posterità, i principi ispiratori.
La traduzione italiana e la cura sono di Martino Menghi su testo critico messo a punto da François Préchac per la “Coll. Budé” (Les Belles Lettres, Paris 2003).
Iliade e Odissea raccontati come una grande avventura.
«Versi capaci di svelarci l'enigma del domani e di chi, ancora, non siamo diventati» – Andrea Marcolongo
L'Iliade e l'Odissea sono, non per caso, i più antichi longseller della storia: la loro voce continua a parlarci di un'umanità che sentiamo infinitamente più vicina dei duemilacinquecento anni che ci separano da quando sono stati composti. Come possono rimanere così impassibili allo scorrere del tempo? Come può l'avvicendarsi delle epoche lasciare da sempre intatta la loro attualità? Per scoprirlo, Sylvain Tesson si è ritirato per qualche mese in un isolotto delle Cicladi, immerso nella luce che riverbera sull'intonaco bianco delle case e nel vento, primo sostegno ai naviganti che solcano il mare, con la sola compagnia dell'aedo e delle sue Muse. Il risultato è al contempo romanzo, studio e viaggio, animato da eroi che sono prima di tutto uomini, divinità che scendono al fianco dei loro protetti e poi gli altri grandi protagonisti: la hybris, la volontà di superare i limiti umani; il fato, la bellezza, la forza, il lutto, la guerra, l'amore. Tematiche universali che ci mostrano come in realtà l'uomo sia da sempre uguale a se stesso e che i sentimenti che agitano gli eroi in battaglia non sono diversi da quelli che sperimentiamo anche noi, tutti i giorni.
La civiltà greca, forse più di ogni altra cultura antica, sembra aver avuto una particolare predisposizione a iscrivere quasi qualunque oggetto, prodotto, spazio utili a contenere lettere, frasi, veri e propri testi articolati, finanche componimenti poetici di altissima fattura. Centinaia di migliaia sono le testimonianze di epigrafi che la Grecia antica ci ha lasciato. Fra queste, un posto di rilievo occupano le epigrafi di carattere sepolcrale, e, fra queste, le epigrafi in versi. Commissionate soprattutto dalle famiglie più colte e facoltose, queste testimonianze aprono un orizzonte tutto da scoprire sulla civiltà antica: greca, ma non solo, visto che in lingua ellenica, sentita come la lingua della cultura e della poesia, sono realizzati anche epitaffi per uomini e donne romani, italici, o di altre aree del mondo antico. Sfogliare le “pagine di pietra” di questo affascinante repertorio mette di fronte il lettore a migliaia di individui: uomini e donne, bambini e anziani, che vissero e morirono nelle più diverse situazioni. Mette di fronte il lettore, in una parola, alla vita. I casi che ci rivelano colpiscono, a volte per la drammaticità degli eventi, altre volte per la serenità di chi ha saputo affrontarli, spesso per la disarmante attualità di tante sventure, di allora e di oggi. Testi reali, composti da poeti sconosciuti, per uomini e donne che hanno lasciato in tal modo il loro ricordo nei secoli: anziani che hanno concluso la vita con una vecchiaia serena e giovani morti prematuramente; naufraghi sfortunati e soldati gloriosi; fanciulle appena sposate che Ade ha strappato agli affetti e medici che, dopo aver curato altri, non hanno potuto curare se stessi. Il quadro che emerge dalle oltre duemila testimonianze è quello di una società multiforme e, per molti aspetti, simile alla nostra: una vera e propria Spoon River dell’antichità. Nel 1955 il grande epigrafista tedesco Werner Peek pubblicò la più importante raccolta, a tutt’oggi, di epigrammi sepolcrali greci, dall’età arcaica all’epoca cristiana. In oltre dieci anni di lavoro, Franco Mosino, grecista e linguista scomparso nel 2015, tradusse e commentò, per la prima volta al mondo, la raccolta del Peek. Emanuele Lelli, in collaborazione con un gruppo di studenti del Liceo Tasso di Roma, ne ha curato la revisione, l’aggiornamento e l’introduzione. La Prefazione di Giulio Guidorizzi poi apre orizzonti di lettura suggestivi, antropologici e letterari. Un’opera, dunque, che rende finalmente disponibile al pubblico italiano un materiale imponente per quantità, e particolarissimo per contenuti: un insostituibile strumento per ogni studioso di antichità classiche, ma anche un affascinante viaggio nel quotidiano dei Greci, per il lettore curioso di oggi.
Tutti vogliamo essere felici. Ma appena ci fermiamo a riflettere iniziano i guai: cos'è davvero la felicità? Cosa vuol dire essere felici? La felicità è uno «stato» o un «processo», è oggettiva o soggettiva? In questi casi conviene rivolgersi a chi per primo e meglio di tutti ha messo la felicità al centro delle proprie riflessioni: Aristotele. È quello che fa Edith Hall, una delle classiciste più importanti al mondo, che nelle dieci sapienti lezioni di questo libro ci mostra come il grande filosofo sia ancora la guida migliore per orientarsi nel caos della vita di ogni giorno. Le parole «felice» e «felicità» - happy e happiness - vanno alla grande. Potete comprare un Happy meal, o bere un cocktail a un happy hour. O magari prendere una «pillola della felicità» per tirarvi su, o postare una faccina felice sui social. Sulla felicità, tuttavia, abbiamo le idee confuse. D'accordo, tutti pensano di volere essere felici, ma cos'è, davvero, la felicità? È uno stato psicologico duraturo nel tempo o un attimo così effimero che, appena ci rendiamo conto di viverlo, è già passato? È qualcosa di oggettivo, riconducibile a determinati parametri (ad esempio godere di buona salute, essere liberi da preoccupazioni finanziarie o dall'angoscia esistenziale) o è qualcosa di soggettivo, che non può essere misurato né osservato, qualcosa che non va accostato al «benessere» ma alla «soddisfazione» o alla «letizia»? Aristotele fu il primo filosofo a chiedersi davvero cos'è la felicità e cosa possiamo fare per diventare persone felici: un programma che mantiene ancora intatta la sua validità. Edith Hall, una delle classiciste più importanti al mondo, presenta l'antica e veneranda etica aristotelica in un linguaggio contemporaneo. Applica cioè gli insegnamenti di Aristotele a svariate sfide pratiche della vita reale: prendere una decisione, scrivere una domanda di lavoro, parlare in un colloquio, usare la tabella dei Vizi e delle Virtù per un'analisi del proprio carattere, resistere alle tentazioni, scegliere gli amici e i partner. Sono pochi i filosofi, i mistici, gli psicologi e i sociologi che hanno fatto molto di più che riformulare le fondamentali intuizioni di Aristotele. Ma lui le ha dette per primo, meglio, più chiaramente e in modo più olistico di chiunque le abbia successivamente riprese. Ogni parte delle sue prescrizioni per essere felici si riferisce a una diversa fase della vita umana, ma al tempo stesso le interseca tutte. In qualsiasi periodo della vita vi troviate, le idee di Aristotele possono rendervi più felici.