"L'appartenere al pensiero immette ogni singolo atto della mente in una sconfinata totalità, dove ogni evento conoscitivo può essere accolto, alla condizione di essere precisato, definito. Non basta: ogni evento mentale deve serbare un rapporto intuitivo con la priorità dell''io penso'. Evidenza di ogni singolo atto e sconfinata apertura confortano la mente nel suo procedere, contribuendo ad accrescerne la suggestione. Nel rapporto con la corporeità, che sembra conferirgli evidenza e certezza, il pensiero conserva una parvenza enigmatica e misteriosa: la certezza di cui si riveste, può trapassare nel suo opposto, il dubbio che tutto minaccia di dissolvere. Singolare strategia, quella del pensiero, della ragione. Compresi nella corporeità, ne condividono la crescita progressiva, ma rimandano ad altro. E in me, la ragione che pensa e argomenta, ma non mi appartiene. È esente dal dubbio che voglia mettere in discussione l'essenza della razionalità. E mi costringe a rispettare illazioni e trasposizioni, che giungono fino a privarmi di quel che presumevo di avere saldamente conquistato. Il pensiero è un compagno di strada, del quale mai si finisce di stupirsi. Dobbiamo a lui la nostra aspirazione alla verità e alla certezza, e intanto alla certezza della verità."
L'italiano del nuovo millennio è una lingua pazzesca, perché chi la parla spesso è incapace di intendere quel che vuole dire. Trabocca di termini stranieri o falsamente familiari, usati a sproposito o usciti di senno, che significano tutto e il loro contrario, come l'aggettivo pazzesco: indica qualcosa di pazzo, straordinario o anormale, ma è così diffuso da essere diventato un'esclamazione universale che esprime indistintamente stupore, meraviglia, ammirazione, terrore. La colpa? È di Fantozzi e di Grillo, di un'aranciata amara e, ovviamente, nostra. Ma il dilagare di pazzesco è solo il sintomo più evidente dell'impazzimento generale di una lingua esasperata, esagerata ed esagitata, nei toni e nelle proporzioni, nel lessico e nella sintassi, per la continua e incrociata sovraesposizione mediatica alla ricerca di visibilità e condivisione, al bar come sui social network. In questo libro Luca Mastrantonio denuncia, nella prima parte, le mutazioni dell'italiano di oggi: il digitaliano, il new inglesorum, la neo-lingua di regime, il sinistrese di destra, l'antipolitichese, il politicamente ipercorretto, la porno-emotività, l'apatia critica, il battutismo cinico... Segue un dizionario che mette a nudo alcune parole pazzesche per demistificarne l'orrore e per favorire la comunicazione tra tribù italiane distanti: padri e figli, nativi digitali e tardivi analogici, chi usa emoticon, acronimi e faccine, e chi invece traduce Facebook in Faccialibro e campa di apericena.
Dopo anni di polveroso oblio, la pratica del riassunto è oggi riscoperta e riproposta come insostituibile strumento didattico. Questa utile guida illustra con chiarezza tale complessa abilità, basata sull'interdipendenza di lettura e scrittura, attraverso un ampio repertorio di testi letterari, scientifici, o di attualità storico-politica che vengono smontati, analizzati e trasformati con diversi livelli di riduzione.
Capita a tutti di commettere errori di grammatica. Per distrazione, per un riflesso condizionato, non necessariamente per ignoranza. A volte, strano ma vero, a sbagliare è proprio la lingua, coi suoi paradigmi incoerenti, le sue prescrizioni illogiche, le sue regole irragionevoli. Questo libro spigliato e vivace vi aiuterà a scoprire gli errori degli italiani, ma anche quelli dell'italiano, ricostruendone l'epidemiologia, ripercorrendone la storia e utilizzando esempi vivi e attuali. Lungi dal considerarli una malattia, De Benedetti ci ricorda che gli "errori" sono innanzitutto sintomi da comprendere e interpretare. E che ciò che è sbagliato oggi potrebbe non esserlo più domani. Un libro che vi aiuterà a fare pace coi vostri strafalcioni. E che vi riconcilierà finalmente con quella cosa "drammatica" di nome grammatica.
A volte la temiamo e la fuggiamo, più spesso la desideriamo e la ricerchiamo. La verità ci interessa. Ma che cos'è?
"Tu che stai leggendo queste mie righe sappi che nel presente libro userò la parola 'scrittore', almeno quando riferita a me, per pura e semplice convenzione, perché si sa che l'Italia pullula di scrittori, e chiunque abbia pubblicato non dico un romanzo o un racconto ma giusto una raccolta di poesie o anche solo una singola poesia si ritiene automaticamente tale. Anzi, di più: perché tra le Alpi e il Lilibeo esistono innumerevoli scrittori convinti di essere tali benché siano inediti, e questo nonostante da alcuni lustri si pubblichi ormai praticamente tutto." Questo libro è destinato a un pubblico potenzialmente molto vasto, visto che - com'è noto - in Italia sono più quelli che scrivono che quelli che leggono. Attenzione, però, non si tratta di un manuale di scrittura. No: "E così vorresti fare lo scrittore" è una sorta di guida a cosa gira intorno al mestiere di scrivere, passando per tutte le tappe che costellano la nascita e poi il consolidamento di uno scrittore: dalla correzione delle bozze al rapporto con l'ufficio stampa, dalla realizzazione della copertina alla costruzione del caso letterario, dalla prima presentazione in pubblico al dorato mondo delle Lettere italiane. Può darsi che ti possa tornare utile il giorno in cui sarai tentato/a di dire, alla tua prima intervista, che l'ispirazione ti arriva direttamente dal Cielo. Perché c'è chi lo dice, e con l'aria di crederci sul serio.
Ci sono molti libri che spiegano come bisognerebbe scrivere in teoria. Questo, invece, punta tutto sulla pratica. Per riuscirci, bisogna innanzi tutto partire da un modello (come i diversi tipi di testo che troveremo in queste pagine: dall'articolo di cronaca a quello di divulgazione scientifica). Poi scomporre quel modello nelle sue componenti, analizzandolo movimento per movimento (come si fa qui nel commento linguistico che segue ogni testo). E poi esercitarsi: fare tanti esercizi pensati per sviluppare ognuna delle abilità necessarie a quel risultato. Esercizi per rafforzare il nostro vocabolario, imparando a scegliere la parola giusta per completare una frase (anche ricostruendola a partire dalla definizione di un dizionario). Esercizi per allenare la nostra capacità di collegare le frasi con i giusti nessi logici, andando a cercare l'intruso, l'elemento sbagliato che altera il senso del testo. Il tutto senza trascurare il divertimento: perché scrivere è una cosa seria, non seriosa.
L'Italia vive da tempo una questione della lingua che tocca problemi d'identità e orgoglio nazionali. Ma il dominio dell'inglese è ormai un dato di fatto. Il linguaggio quotidiano ne fa un uso disinvolto e invasivo, mentre sempre più numerosi sono i corsi universitari tenuti in lingua inglese. Che cosa implica per il nostro patrimonio culturale l'ascesa dell'inglese come lingua veicolare? Un destino di subalternità? O viceversa l'opportunità di un arricchimento? Sul tema discutono uno storico contemporaneo e un italianista. Il primo prende atto del tramonto delle lingue nazionali come lingue scientifiche, ma coglie in questo processo anche la possibile, vitale affermazione di un plurilinguismo europeo. Il secondo difende con vigore l'uso dell'italiano a tutti i livelli, come dispositivo utile a promuovere una comunicazione diffusa e non solo d'élite.
Il libro, qui presentato in una nuova edizione ampiamente rivista e aggiornata, offre un corso completo e integrato per lo studio della storia della lingua italiana. La prima parte contiene le informazioni di base utili per chi si accosta alla disciplina. La seconda parte, organizzata per secoli, ricostruisce le diverse fasi della storia culturale, sociale e politica della nostra lingua. Per ciascuna di queste fasi il lettore troverà una serie di testi selezionati, dai primi documenti in volgare all'italiano contemporaneo, corredati di nozioni filologiche oltre che di un ricco apparato di note storico-linguistiche.
Dal latino all'italiano, dalla lingua popolare alla lingua poetica, dalla grammatica storica all'influenza dei contesti culturali e sociali. In questa "Prima lezione", un grande maestro della linguistica guida il lettore in un percorso puntuale, sostanziato di fatti e di esempi (e perché no, di qualche curiosità), attraverso la disciplina fondamentale per capire la storia e l'evoluzione della nostra lingua.
Il silenzio personificato come nell'"Orlando furioso" di Ariosto; il silenzio meravigliato del montanaro che - in una similitudine della "Divina Commedia" "ammuta" quando vede per la prima volta la città; il religioso silenzio di Chiara d'Assisi e quello "sfavillante" che Elsa Morante coglie nello stupore infantile; il silenzio "di chiostro e di caserma" di Gozzano e il silenzio "che tutto nega e tutto comprende" di Lalla Romano. Il silenzio come reazione all'indicibile crudeltà in Primo Levi. Quante parole può nascondere un silenzio? Moltissime, soprattutto quando è d'autore, carico di significati che vanno oltre quelli veicolati dalla lingua. Bice Mortara Garavelli attraversa le pagine letterarie più note sul silenzio, dalla classicità greco-latina fino alla letteratura dei nostri giorni, lungo un percorso che rivela ciò che l'assenza di parole può dire.
L'associazione fra l'italiano e la bellezza ricorre da secoli fra le persone colte di tutto il mondo. Nel corso del tempo, la nostra lingua è stata definita armoniosa, delicata, dolce, elegante, gentile, gradevole, graziosa, melodica, piacevole, seducente. "Gli angeli nel cielo parlano italiano", fa dire Thomas Mann al protagonista di un suo romanzo. Tutto cominciò nel Trecento, con i capolavori di Dante, di Petrarca e di Boccaccio. La "Divina Commedia", il "Canzoniere" e il "Decameron" rappresentano il momento di fondazione di un modello linguistico e letterario a lungo ritenuto insuperato. Giuseppe Patota riscopre per noi la bellezza della lingua inventata e usata dai grandi del nostro Trecento, illustrandone le opere e svelandone i segreti. Scopriamo così, pagina dopo pagina, un Dante capace di tendere l'italiano come se fosse un elastico, fino all'estremo della sua capacità espressiva, un Petrarca che domina i numeri e il sistema binario al pari di un genio dell'informatica, un Boccaccio straordinario prestigiatore linguistico che estrae meraviglie verbali dal cilindro del suo "Decameron".