Le lettere scritte da Rilke alla moglie Clara Westhoff nell'ottobre del 1907, al ritorno da visite compiute alla esposizione di Cézanne allestita nel Salon d'Antonine, sono di solito più citate che lette. Un poeta e narratore non ancora del tutto libero da scorie provinciali, anche se conosce l'Europa, con una cultura singolare, vasta, anzi vastissima, ma non di eguale qualità, trova nella mostra di Cézanne l'occasione per leggere in se stesso come mai gli era prima accaduto, e per formulare princìpi cui si mantiene fedele per il resto della vita. L'incontro sembra predestinato: Rilke cercava da anni quello che le due sale gli offrono di colpo, con tale intensità da renderlo, sulle prime, sconcertato. L'assimilazione, in ogni modo, è rapida: l'uomo che esce dall'ultima visita compiuta alla mostra non è lo stesso che vi era entrato due settimane avanti. Il Rilke che appartiene al nostro secolo sembra avere una seconda nascita nelle aule del Grand Palais, che Matisse e i suoi amici, quattro anni prima, avevano inaugurato in modo memorabile. (Dalla postfazione di Giorgio Zampa)
La storia dei saggi qui raccolti si svolge tra 1982 e 1998: è una storia tutta dedicata all’universo figurativo di Bisanzio interpretato dal punto di vista dell’iconografia e dell’iconologia. L’autrice individua e analizza, in modo sottile ed avvincente, le strategie messe in atto nell’Impero d’Oriente sia per dare espressione monumentale alla legittimazione e all’esaltazione del basileus sia per illustrare i testi del Vecchio e Nuovo Testamento nei preziosi manoscritti miniati a Costantinopoli e nei centri del Mediterraneo orientale. Il volume indaga magistralmente le modalità visuali e le motivazioni ideologico-religiose che, lungo il millennio bizantino, hanno connotato la sfera del potere e della fede nell’altra metà del mondo medievale.
Il potere delle immagini, oggi così ovvio da essere un luogo comune, ha storia antica. Ha la sua origine in tempi passati, soprattutto fra Medioevo ed età moderna, quando l'affidamento al senso della vista e alla capacità di vedere e di immaginare è totale. La vista diventa un atto potente soprattutto per costruire una relazione con il divino. È nelle immagini sacre che la capacità delle rappresentazioni figurate si manifesta in forma esplosiva. Ottavia Niccoli indaga la relazione, continuamente riformulata, tra i fedeli e le immagini. Nel tardo Medioevo esse sono considerate come totalmente reali e consentono a uomini e donne di costruire un rapporto intensamente affettivo con il mondo soprannaturale. Le immagini su tavola o su carta riempiono le case, sono oggetto di una devozione quasi passionale. Il loro potere è cosi intenso da provocare esperienze visionarie delle quali ci restano affascinanti descrizioni. A partire dalla seconda metà del Cinquecento, nel periodo critico della Controriforma, le immagini sacre sono oggetto soprattutto di reverenza e di omaggio. L'esperienza del "Vedere con gli occhi del cuore" è rigorosamente disciplinata dalla Chiesa tridentina e rifiutata nettamente dalla Riforma. È un passaggio che lascia un segno profondo nei modi di intendere le figure sacre, nel loro valore evocativ e sostitutivo, nella loro capacità di rendersi presenti e vive mediante lo sguardo.
Non è facile comprendere il monumento più caratteristico di Barcellona. Ciò nonostante, Gaudí lo disegnò non come un enigma irresolubile, ma come un libro aperto ai quattro venti. L’architetto desiderava che tutti vedessero la «sua» opera, e ci riuscì. Ma voleva anche che cantassero tutte e ciascuna delle pietre e degli elementi che la formano. L’autore della Sagrada Família lasciò la sua opera incompiuta e oggi, dopo 125 anni di lavoro, cominciamo a capire la profondità dei simboli, l’arditezza di un’idea, la forza di un progetto a lungo meditato che intende essere «nuova architettura». È un canto alla vita in tutte le sue dimensioni. La Sagrada Família vuole essere compresa: chi vi riesce intende il perché e il come di uno degli edifici più singolari al mondo. Questo libro fa da guida alla visita, ma soprattutto permette di capire l’uni- verso simbolico plasmato dalla «cattedrale d’Europa».
L'autore
Armand Puig i Tàrrech, nato a La Selva del Camp nel 1953, è professore di Nuovo Testamento presso la Facoltà di Teologia della Catalogna e sacerdote dell’arcidiocesi di Tarragona, dove dirige l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Sant Fructuós. È codirettore del Corpus Biblicum Catalanicum e coordinatore della Bíblia Catalana Interconfessional, nonché autore di numerose opere di esegesi neotestamentaria e di storia medioevale. Presso le Edizioni San Paolo ha pubblicato Gesù. La risposta agli enigmi (20082) e I Vangeli apocrifi (2010).
Qual è il destino delle immagini nelle nostre società? Siamo davvero di fronte a un flusso iconico che si moltiplica esponenzialmente o piuttosto, nella sottomissione acritica ai programmi visivi di propaganda e pubblicità, non rimane nulla di ciò che sono veramente le immagini? Che cosa significa vedere un'immagine e dire quello che si vede? Chi è che decide che cosa dobbiamo vedere e ciò che invece deve restare nascosto? La questione dell'immagine non è un fenomeno recente, ma ha alle spalle una lunga storia che affonda le proprie radici nell'ebraismo biblico, nella filosofia greca e nel pensiero cristiano. Nei quattro studi contenuti ne "Il commercio degli sguardi" Mondzain non solo ripercorre le tappe salienti di questo percorso (il divieto antico-testamentario, la riflessione platonica e aristotelica, la crisi iconoclastica), ma ne mostra anche tutta l'insospettabile contemporaneità. Al centro di questa ricostruzione c'è evidentemente il cristianesimo e la sua capacità di assumere la natura passionale delle immagini e di governarne gli effetti politici attraverso la parola. L'immagine diventa quindi una questione di "commercio" dove esseri dotati di parola non cessano di far circolare i segni che producono il loro mondo comune. Commercio ambiguo però, che può costruire una libertà dello sguardo o trasformarsi in un mercantile programma di dominio. Commercio che ha bisogno di voci libere, come quella di colui che ha il coraggio di gridare "il re è nudo".
Provare meraviglia davanti a un'opera d'arte, a un paesaggio, o a qualsiasi manifestazione della natura e dell'uomo che trascenda l'ordinario, è un dono che dovremmo tutti coltivare come il primo passo verso la conoscenza. Partendo dalla domanda "che cos'è la bellezza?", Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, ci conduce da una sorprendente analisi dei capolavori dell'arte, a toccare i temi del turismo culturale, dell'arte futura, della tutela e dell'incuria, in un testo che è dichiarazione di amore appassionato per l'arte e lucido resoconto di cosa significa avere cura dei beni culturali.
Chi si accosta alla cultura indiana non può che essere subito assalito da interrogativi: a quali canoni artistici obbediscono le immagini, che paiono di proposito così poco naturalistiche? Come mai, quasi sempre, non si sa nulla della biografia degli autori di opere d'arte e componimenti letterari? Quali sono le basi di una musica così rigorosamente improvvisata? Su quali presupposti si fonda l'assetto, scandalosamente non egualitario, del sistema delle caste? Perché la donna è così sottomessa e al tempo stesso così celebrata? Come possono convivere l'uso dei matrimoni combinati e l'esaltazione dell'amore? E ancora: come possono stare fianco a fianco aspetti ascetici e altri di prorompente sensualità? Nella raccolta di saggi che qui presentiamo Coomaraswamy risponde a ciascuna di queste domande, delineando un mondo remoto in cui l'artista non si propone di esprimere se stesso né ambisce all'originalità, e in cui l'organizzazione sociale non mira a soddisfare le pulsioni di ciascuno, a incoraggiare la competizione e massimizzare il profitto economico: un mondo dove la perfezione consiste nel trascendere se stessi, nel superamento dell'io, nell'abbandono dei desideri, sicché lo svolgimento impeccabile della propria funzione all'interno della società diventa occasione di esercizio spirituale, e l'arte e l'amore mezzi per attingere quella realtà divina da cui sgorgano ogni bene e ogni bellezza - e che è accessibile solo dimenticando se stessi.
Intorno al 1596 sia Caravaggio sia Giordano Bruno respirano l'aria di Roma: l'uno è sulla strada per intraprendere una brillante carriera artistica, l'altro è prigioniero dell'Inquisizione pontificia già dal 1593. Se è poco probabile che Caravaggio si dedicasse a letture filosofiche, è sicuro che Bruno, nella sua cella delle carceri del Sant'Uffizio, non vide mai un quadro di mano del Caravaggio. Eppure, a dispetto di esistenze cosi separate, l'autrice ben ci racconta come i due uomini furono accomunati da un approccio al reale in contrasto col principio d'autorità vigente nella cultura coeva e incentrato sull'esperienza personale e diretta del mondo, trasformato in un universo di immagini, che adombrano verità più profonde. Per il filosofo, il pensiero umano è come un pittore. Per l'artista, le immagini sono un modo di pensare. Prefazione di Claudio Strinati e Michele Ciliberto.
Di fronte al trittico delle Tentazioni di sant'Antonio di Bosch, lo sguardo si smarrisce e si disperde, travolto dal diluvio di immagini grottesche, curiose, singolari, inquietanti che si affollano attorno al Santo. Mille forme del demoniaco lo circondano, lo tentano, lo afferrano. Il male che esplode in tutte le sue forme diventa in questo quadro l'emblema di un immaginario e di una riflessione dell'arte sull'oscuro, il demoniaco, il perturbante che genera incubi nella mente dell'uomo. Il lettore dei saggi di André Chastel, Pierre Francastel e Hans Sedlmayr raccolti in questo libro ha l'occasione di vedere all'opera su questo tema tre maestri della storia dell'arte e di riconoscerne immediatamente stili e sensibilità differenti. Francastel indaga le forme del demoniaco nell'arte medievale, vedendo nelle sacre rappresentazioni l'origine di alcuni suoi tratti tipici. Partendo dal tema del "Congresso di Studi umanistici" promosso da Enrico Castelli nel 1952, Chastel rilegge le paure della cultura europea alla fine del '400, incarnate dalla figura dell'Anticristo. Sedlmayr coglie in alcune esperienze pittoriche del Novecento la presenza viva e dirompente del demonio nella estetica contemporanea. Letture assai diverse, ma dipanate attorno a un unico grande dubbio: è possibile riconoscere l'impronta del tempo nei modi con cui l'umanità ha immaginato la realtà del demoniaco, oppure è quest'ultima che, entrando nella quotidianità, ne ha incrinato le basi metafisiche ed etiche?
Questo libro è una rilettura dell'arte contemporanea vista dalla prospettiva di ciò che, a oggi, sappiamo sul sistema nervoso umano. Il nostro cervello, per permetterci di sopravvivere in un mondo che cambia incessantemente, è alla ricerca perenne di proprietà costanti. La ricerca di stabilità si manifesta non soltanto nell'attribuire un significato ai segnali che ci raggiungono dal mondo circostante, ma anche nella costruzione, percezione ed espressione del proprio corpo e delle proprie emozioni, in ultima istanza della propria identità. In queste pagine esploreremo come la ricerca, forse irraggiungibile, di questa stabilità abbia spinto il cervello umano, fin dalle origini della storia, verso la creazione artistica e sia diventata la protagonista stessa dell'arte contemporanea.
Ludovica Lumer lavora al Department of Anatomy and Developmental Biology dell'University College di Londra, dove fa ricerche in Neuroestetica.
Semir Zeki, pioniere nello studio della funzione visiva del cervello, è professore di Neurobiologia e di Neuroestetica presso l'University College di Londra, dove dirige il Laboratorio di Neurobiologia.
Il 16 novembre 1817 Goethe realizzò uno scritto sul Cenacolo di Leonardo da Vinci partendo da uno studio di Giuseppe Bossi, considerato il primo serio tentativo di analisi tecnica ed estetica del dipinto, nonché un potente stimolo al consapevole riconoscimento dell'unicità di quell'opera leonardiana. Pur rimanendo debitore alla sua "guida" italiana, Goethe non interpretò però il Cenacolo alla luce della sensibilità indagatrice e "antiquaria" dell'età neoclassica, ma innalzando il capolavoro a icona del genio universale con un coinvolgimento emotivo e un'enfasi retorica ormai decisamente romantici.