La fine della Seconda guerra mondiale non fu immediata. Non ci fu nessun ritorno istantaneo alla pace: decine di milioni di profughi, sopravvissuti e prigionieri rimasero in preda alla fame, alle malattie, alle vendette dei vincitori. Le macerie delle città bombardate rimasero dov'erano per anni, soprattutto nella Germania sconfitta. Il primo anno del dopoguerra segnò anche il culmine delle tensioni tra Truman e Stalin, mentre in Cina vennero gettate le premesse per l'ascesa di Mao; si affermò il Congresso Nazionale Indiano di Gandhi, mentre in Medio Oriente prendeva corpo l'idea di uno Stato d'Israele. Quando comincia una guerra e quando finisce? Quali sono le tracce che non si possono cancellare? Ogni guerra genera altre guerre?
Nel marzo del 1933, appena due mesi dopo la presa del potere da parte di Hitler, Heinrich Himmler, il nuovo capo della polizia di Monaco, diede l'annuncio di aver scelto una fabbrica in disuso nei pressi di Dachau per farne un campo di concentramento per i prigionieri politici. Poche settimane dopo, le SS presero il controllo del posto, un capannone circondato da filo spinato, in grado di contenere non più di 223 prigionieri. Dopo questo modesto inizio, il sistema dei campi di concentramento crebbe fino a diventare un vastissimo panorama di terrore, che comprendeva 22 campi principali e l.200 satelliti sparsi tra la Germania e l'Europa controllata dai nazisti. All'inizio del 1945 i campi tedeschi contenevano circa 700.000 persone provenienti da tutta Europa. Lì morirono due milioni di uomini. In questo libro, lo storico tedesco Nikolaus Wachsmann ricostruisce la storia del sistema dei campi di concentramento tedeschi, le violenze, gli abusi, i massacri, facendo rivivere un'epoca atroce attraverso le vicende di quanti vi furono rinchiusi e lì tragicamente morirono.
È la sera della cena di gala, il momento clou della crociera sulla nave dei sogni, un immenso castello moderno che solca le onde celebrando il dominio dell'uomo sull'acqua. In comune con il Titanic però la Concordia ha solo lo sfarzo, perché la sua sicurezza è totale, affidata all'esperienza del comandante e alle macchine. È grazie alle macchine che la nave è viva. Senza di loro, quattromila persone andrebbero alla deriva. All'improvviso, l'acqua tracima dalla piscina per poi rientrarvi, quasi un avvertimento dell'elemento che l'uomo si illude di imbrigliare. Gli armadi si spalancano, i tavoli vacillano, gli ascensori impazziscono. Quando anche le luci si spengono e della nave rimane la sagoma cupa sullo sfondo più buio del cielo, dall'Isola del Giglio qualcuno coglie la tragedia, mentre a bordo comincia la notte più lunga. La notte del panico, delle speranze spezzate, delle vite intrecciate, dei codardi e degli eroi. Eroi come Russel Rebello, cameriere indiano, tanto fiero del suo lavoro che il suo bambino nella lontana India ha disegnato la nave chiamandola Russel II. Russel sa qual è il suo dovere: salvare i "suoi" ospiti. Attraverso i suoi occhi rivivono i divertimenti, gli svaghi e le storie di alcuni dei passeggeri imbarcati senza sapere che quel viaggio sarebbe stato il bivio della loro esistenza. Ed è sempre Russel a ricostruire in una sequenza mozzafiato le convulse ore dopo lo schianto. Perché lui è rimasto fino all'ultimo respiro della nave, è lui il vero capitano.
Nel 1972 il giovane diplomatico Enrico Calamai viene inviato dal Ministero degli affari esteri in Argentina con la carica di viceconsole. A Buenos Aires sembra di stare in Occidente, in Italia o in Spagna, e in effetti metà della popolazione è di origine spagnola e l'altra metà italiana. Sono tanti gli argentini con doppio passaporto, figli di emigrati che hanno la cittadinanza italiana. La comunità italoargentina è forte, variegata e ben integrata. Ci sono una miriade di associazioni italiane e non mancano quelle legate alla destra fascista, alla Dc, alla Cgil e al Pci. La situazione economica non è rosea, il clima politico è teso e sono molti i giovani impegnati. I militari aspettano e Isabelita Peron è sempre meno credibile. Nel 1974, poco dopo il golpe cileno, Calamai viene spedito a Santiago del Cile: l'ambasciata si è riempita di rifugiati di origine italiana (450 persone) che chiedono un asilo politico che il governo italiano non vuole concedere per non pestare i piedi all'esercito cileno e agli americani. Calamai, invece, aiuta i rifugiati: mette a punto una strategia che consente loro di scappare in Italia. Il periodo cileno è un'esperienza fondamentale per il giovane diplomatico. Nel 1976, quando i generali argentini prendono il potere, il governo italiano (siamo nel periodo non solo della guerra fredda ma anche della p2) è stato avvisato in tempo e l'ambasciata ha rafforzato i suoi dispositivi di sicurezza per impedire agli italoargentini in cerca d'asilo di entrare. La repressione argentina è più dura e subdola di quella cilena, ma Calamai riesce comunque ad aiutare molte persone, in maniera discreta, con una rete di soccorso e informazione che comprende l'inviato del ?Corriere della Sera”, il rappresentante della Cgil a Buenos Aires, un frate coraggioso, alcuni volontari dell'ambasciata e suo fratello, che lavora a ?Rinascita”. Ne salva tanti e cerca di avere notizie anche dei desaparecidos, fino a quando viene richiamato a Roma nel 1977.
La prima guerra mondiale fu una guerra strana. Nessun combattente sul campo di battaglia aveva un quadro preciso delle ragioni che lo avevano portato lì. E ancora oggi, sui libri di storia, si elencano molte concause, ma nessuna di esse sembra essere sufficiente per scatenare una guerra che costò quasi 10 milioni di morti e 21 milioni di feriti. Fu una guerra combattuta con armi moderne e strategia ottocentesche, in cui le borghesie occidentali di lanciarono con entusiasmo salvo poi rimanere sconvolte e cambiate per sempre. In questo volume si analizzeranno gli scenari prebellici, le strategie e le tattiche utilizzate sui vari fronti, gli armamenti, le ricadute psicologiche sui combattenti e i mutamenti economici e sociali che avrebbero portato al ventennio delle grandi dittature con, sullo sfondo, il secondo conflitto mondiale.
Il volume offre un quadro completo ed aggiornato dell'intero periodo che va dalla Preistoria all'età contemporanea, proponendosi come ottimo supporto per quanti si apprestano ad affrontare un esame di Storia. In linea con le tendenze più avanzate della ricerca storica, il testo non solo fornisce un accurato commento dei maggiori eventi e protagonisti politici e militari, ma svolge anche un'efficace analisi dei principali aspetti che hanno caratterizzato l'evoluzione storica, dalle origini fino all'epoca attuale, sotto il profilo sociale, economico, religioso, culturale. La trattazione, integrata da carte storiche e tavole cronologiche per fissare più agevolmente le coordinate spazio-temporali degli accadimenti descritti, si articola in cinque sezioni, corrispondenti ad altrettante fasi storiche.
La guerra civile spagnola (1936-1939) è stata spesso considerata la sanguinosa prova generale della seconda guerra mondiale. I nazionalisti di Francisco Franco, insorti contro il governo repubblicano del Fronte popolare, vinsero grazie all'assistenza militare fornita dalla Germania nazista e dall'Italia fascista, un chiaro esempio - sembrò - della comune lotta al bolscevismo internazionale condotta da regimi politicamente e ideologicamente affini. Lo storico Pierpaolo Barbieri ribalta questa interpretazione dell'intervento delle forze dell'Asse, sostenendo che furono ben altri i motivi che spinsero il Führer nella penisola iberica: decisi a esercitare l'egemonia economica sull'Europa, i tedeschi volevano sperimentare in Spagna, paese ricco delle materie prime di cui avevano assoluta necessità, le tecniche di sfruttamento da utilizzare nelle future colonie. Il Terzo Reich offrì, quindi, alle truppe franchiste aerei, carri armati e uomini, con il segreto obiettivo di assoggettare gradualmente il paese in una sorta di "impero informale" e di impadronirsi delle sue risorse minerarie per alimentare la propria industria bellica. L'attuazione di questo piano fu in gran parte resa possibile dall'opera di Hjalmar Schacht, ministro delle Finanze e direttore della Reichsbank, le cui politiche (riarmo, disinvolta gestione del debito, promozione dell'export e controllo assoluto dello Stato sull'economia) furono alla base della rinascita della Germania tra le due guerre.
Il 10 giugno del 1940 scocca l'ora "segnata dal destino": dal balcone di palazzo Venezia Benito Mussolini annuncia al paese l'entrata in guerra. La folla che si accalca, festosa e urlante, è l'immagine di un popolo orgoglioso e pronto a tutto pur di guadagnare prestigio e rilevanza internazionale, lasciandosi alle spalle un destino minoritario. Nei cinque anni successivi, però, l'entusiasmo cede pian piano il passo all'angoscia dell'attesa, ai primi disagi, alla fame montante, al senso di precarietà, alla paura per il futuro e poi, con i bombardamenti e l'approssimarsi del fronte, al vivo terrore del presente. Eppure, dopo quel 10 giugno l'attenzione degli storici di solito si sposta, per inseguire la guerra sui vari fronti o nei gabinetti di dittatori, politici e generali, disinteressandosi di quella gente comune che aveva acclamato la guerra. Arrigo Petacco decide invece di fermarsi sulla soglia del cosiddetto "fronte interno", di cui racconta nei dettagli la vita quotidiana, fatta di piccole e grandi tragedie, di speranza e sconforto, al ritmo delle notizie che arrivano da lontano, filtrate dalla propaganda. Non solo: ricostruendo quel periodo mese per mese e persino giorno per giorno, Petacco ci ricorda che la vita, comunque, continuava. Nonostante la guerra, si andava ancora al cinema e a teatro (quelli rimasti aperti, almeno), si canticchiavano le nuove canzoni passate alla radio, si leggevano i giornali, si mandavano i figli a scuola, si lavorava... Con e-book scaricabile fino al 30-06-2016.
Papa Francesco gode di vasta popolarità. Tanti vedono in lui un grande pastore. Ma c’è chi pensa che abbia poco da dire al mondo della cultura, in particolare europea. In realtà, le sue parole, apparentemente semplici, nascondono una profonda densità di pensiero. È quanto mette in luce questo libro che evidenzia la rilevanza anche culturale della leadership morale da tanti oggi riconosciuta a Francesco.
Il suo umanesimo – che i contribuiti qui raccolti fanno emergere muovendo da prospettive diverse: teologica, storica, filosofica, sociologica e giuridica – è rivelatore di una rara capacità di lettura del mondo globalizzato e post-moderno e mostra un’acuta comprensione dei riferimenti storici, antropologici e morali più importanti del nostro tempo.
È eloquente in questo senso la sua opzione preferenziale per i poveri, di cui non sono state ancora colte le profonde implicazioni anche culturali. “Non siamo più nella cristianità”, spiega il papa e, dopo aver a lungo privilegiato una cultura organica e gerarchica, sistematica e deduttiva, funzionale a “occupare spazi” piuttosto che a “promuovere processi”, è tempo di una cultura che parta dal “basso” e che provenga dalle “periferie”. Francesco pone in questo modo una sfida importante anche alla cultura europea, facendo emergere nodi e problemi vitali per il futuro del Vecchio continente ma che spesso gli europei non hanno il coraggio di affrontare. È una sfida che tocca anche il cattolicesimo italiano, sollecitato da Francesco ad abbandonare calcolate mediazioni o misurati equilibri, scegliendo aperture radicali, impegno generoso e visioni lungimiranti.
Contributi di: Maurizio Ambrosini, Mauro Ceruti, Luciano Eusebi, Nunzio Galantino.
Nell'età delle masse la politica deve parlare a tutti e adottare un linguaggio semplice e persuasivo; il parlare figurato, per metafore e apologhi, è strumento principe della propaganda. Così non stupisce che la politica ami, alla lettera, raccontar favole. Non tanto (o non solo) nel senso di dire panzane, ma in quello di riusare strutture narrative proprie della tradizione favolistica, mescolando al dato reale elementi di satira, leggende, miracolistica, zoologia, fisiognomica, profezia. Ecco allora Pinocchio diventare campione fascista ma anche comunista, il lupo di Cappuccetto rosso impersonare Togliatti e Truman e Stalin vestire i panni dell'Orco mangiafuoco. Il grottesco mondo della propaganda politica riportato alla luce in un divertente e istruttivo campionario di favole che la politica, soprattutto negli anni della guerra fredda, ha propinato agli italiani.
Le 'stragi nere' iniziano il 12 dicembre 1969 con Piazza Fontana e terminano il 4 agosto 1974 con l'attentato al treno Italicus. Alcuni giorni dopo la bomba di Milano, il settimanale britannico "The Observer" parlerà di 'strategia della tensione', riferendosi non solo alle bombe ma al modo in cui sono stati strumentalizzati attentati e disordini sociali, chiamando in causa la stampa e i politici. La stagione dello stragismo, ignota ai Paesi dell'Europa occidentale, ha minato le istituzioni democratiche e la convivenza sociale dell'Italia, con l'aggravante che in quarantanni non sono stati condannati né i mandanti né gran parte degli esecutori. Solo in sede storica si è fatto un po' di ordine. Mirco Dondi ricostruisce gli episodi stragisti, soffermandosi in particolare sul loro impatto immediato.
L'immagine predominante di Napoli, tra il 1860 e i1 1915, è quella di ex-capitale di un grande regno, 'città regià' in decadenza incapace di trasformarsi in 'città borghese', metropoli tra le più popolose d'Europa, il cui fascino è compromesso dalle miserabili condizioni di vita della gran parte dei suoi abitanti. Ma Napoli, fino alla grande guerra, non è solo questo: è anche una metropoli europea moderna, una città dall'elevato livello culturale dove si realizzano esperienze di rilievo sul piano professionale, sul terreno commerciale, nel conflitto sociale tra industriali, per lo più stranieri o settentrionali, e operai organizzati sindacalmente. La Belle Époque napoletana non è solo fatta di luminosi café chantant ma di iniziative economiche e progetti politici e delle prime originali forme della cultura di massa. Le classi dirigenti hanno, per lo più, una loro dignità e si preoccupano degli interessi pubblici. Questa fase di grande fervore e di grande vitalità si interromperà con lo scoppio della prima guerra mondiale. La guerra, infatti, si sarebbe rivelata un pessimo affare per la città e per tutto il Mezzogiorno, sempre più sfavoriti dalla spesa pubblica rivolta al Nord. Fino al 1915 Napoli è ancora una capitale europea. Dopo non lo sarà più.