Quando nel 1977 Riccardo Patrese fa il suo esordio con la Shadow, la Formula 1 è un mondo parecchio diverso da quello che conosciamo oggi: stipendi tutt'altro che faraonici, condizioni di sicurezza relative, incidenti fin troppo frequenti. In diciassette anni - e 256 Gran Premi - la vedrà cambiare moltissimo, chiudendo la carriera alla Benetton nel 1993 al fianco di un giovane talentuoso, tale Michael Schumacher... Rombando a tutto gas dalla pit-lane alla memory lane, l'ex pilota riannoda il filo dei ricordi, a partire dagli inizi sui kart e in Formula Italia, per passare al debutto in F1, al primo Gran Premio vinto quasi per caso, fino ai giorni di gloria alla Williams con Nigel Mansell e Adrian Newey. Tra un valzer con Grace Kelly e una partita a golf col "Principone" Ranieri di Monaco, un Giro d'Italia di Endurance con Renato Pozzetto come navigatore, l'amicizia con De Angelis, Senna ed Ecclestone, le partite della Nazionale Piloti. Senza paura di togliersi qualche sassolino dalla scarpa, come il rapporto conflittuale con Flavio Briatore, gli screzi con Niki Lauda e James Hunt, e quell'occasione sfumata con la Ferrari... E, più di tutto, l'incidente fatale occorso nel 1978 a Ronnie Peterson, di cui per troppi anni Patrese è stato erroneamente ritenuto responsabile. La travolgente ed emozionante carriera di un grande protagonista dell'automobilismo degli anni Ottanta e Novanta, che ancora oggi dice di sé: «Sono un sopravvissuto».
«Beati gli ultimi perché saranno i primi. A sorridere della spudoratezza di Dio». È la vecchia storia della maglia nera che c'è stata al Giro d'Italia dal 1946 al 1951: a indossarla, e dunque a vincerla, era colui che si classificava ultimo. Era, chiaramente, l'esatto opposto della maglia rosa, quella indossata dal primo arrivato. Valeva tanto quanto. Uno che se ne intendeva era Luigi Malabrocca, famoso proprio per aver indossato una maglia così epica e strana. Non è mai entusiasmante, nel mondo degli uomini, arrivare ultimi. Quando, però, incontri un ultimo diventato primo, è l'attimo nel quale ti si svela l'evidenza di quell'apparente assurdità architettata dal Cristo: «Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Mc 10,44). Il Cristo che, quando voleva deteriorare alla base le verità dei presunti santi, insospettiva con creanza e savoir-faire: «Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi» (10,31). Detto e fatto. Detto e rifatto. Con lo stile dissacrante e profondo che ormai gli è proprio, il parroco del carcere di Padova, vicino da sempre a Papa Francesco, segue il Vangelo di Luca per andare in gita dentro le sue provocanti immagini, in un cammino mai prevedibile come quello di Gesù, per ritornarsene poi nella vita di tutti i giorni con un'evidenza più luminosa. Come se, specchiandosi nelle pagine dei Vangeli, la vita - quella che, sovente, fatichiamo a leggere nei minimi dettagli - si ripresentasse ai suoi occhi in alta definizione. È la magia di parole, quelle evangeliche, che non hanno mai finito di raccontare tutto ciò che sognano di raccontare ai loro innumerevoli lettori.
Oggi siamo testimoni dell'affermarsi di una nuova ideologia totalitaria: il wokismo o liberal progressismo. Un'ideologia intransigente il cui carattere intollerante è la negazione e, anzi, l'antagonista di un autentico spirito di libertà e di convivenza civile. A partire da questa analisi, questo libro compie un passo in più e suggerisce che il liberal progressismo ha anche superato i confini stessi dell'ideologia e si presenta come un vero culto religioso. Con il suo neo-linguaggio da iniziati e il suo pensiero magico, attraverso un surreale e feroce normativismo moralistico e punitivo, punta a plasmare la società per trasformarla nella civiltà del post-umano, un mondo post-moderno dove ogni riferimento al reale, compreso il corpo, si trasforma in opinione. Di fronte a questa aggressione al buon senso e alla logica, diventa urgente tornare alla natura delle cose e assumersi la responsabilità di tutelare la nostra libertà di espressione, il rispetto dell'etica e della giustizia, la sacralità delle relazioni e la comunità. L'approccio radicalmente ideologico alla crisi dell'Occidente e delle religioni, al cambiamento climatico, alle trasformazioni sociali, conseguenza di uno sviluppo tecnologico e scientifico senza freni, a temi complessi come il fine vita o l'identità di genere ci porta a conservare ciò che amiamo con maggiore urgenza. Emerge un coraggioso sentimento di cura per ciò che ci appare fragile e prezioso: la cultura e la tradizione, il legame con la terra, la memoria, i valori che riteniamo fondamentali. Lungi dall'essere una battaglia di retroguardia e reazionaria questa è, al contrario, una sincera battaglia di libertà e un impegno fondamentale per restituire ancora un senso al vivere, e per trasmettere questa sacralità a chi verrà.
La Chiesa è storicamente davanti ad un bivio decisivo: ostruire (il soffio dello Spirito) o costruire (guidata dallo Spirito); continuare con dinamiche ormai obsolete e adagiarsi nel torpore di un'età di decadenza comatosa o avviare, con coraggio ed entusiasmo, una svolta radicale e aprire a una "forma" nuova di cattolicesimo. Vi è oggi un problema generale che non è solo di una parte dei fedeli: si tratta di considerare qual è il "blocco" o i "blocchi", che fanno resistenza allo Spirito e intristiscono l'ambiente ecclesiale. Tutti ostacoli che vanno superati con scelte chiare ed efficaci, ma non dettate da ingegneria canonico-ecclesiastica, né decise a colpi di maggioranza, come in un braccio di ferro politico. Queste pagine offrono riflessioni per compiere scelte ormai ineludibili e, anzi, già in forte ritardo.
Una scritta rossa sul portone della chiesa di Montone, un pittoresco paesino ai piedi dell'Appennino umbro, preannuncia l'efferato omicidio di don Lucio Bessa, il parroco della comunità. Pochi giorni dopo, sempre a Montone, Santo Bianconi, giornalista della Gazzetta dell'Umbria, viene mandato fuori strada mentre indaga proprio su quel caso, e finisce in coma. Per l'ispettore della questura di Perugia Domenico Montemurro, Santo è quasi un fratello; mentre la sua vita privata va in pezzi, si getta perciò in quell'indagine nella quale ha molto da perdere e poco da guadagnare, con una frenesia che sfiora l'ossessione. Ad aiutarlo, più giovane di lui, c'è l'agente Nicola Russo. Ma quella che all'inizio sembra un'inchiesta su un'infermiera che condanna a morte i malati terminali si trasforma ben presto in una discesa agli inferi disseminata di cadaveri. I nuovi omicidi sembrano quasi delle punizioni divine, e a Montone richiamano alla memoria una maledizione: la regola del tre, secondo la quale in paese non si muore mai da soli, ma tre alla volta. Un thriller d'esordio teso e potente che richiama le atmosfere cupe e inquietanti di True Detective e disegna con precisione una provincia italiana dove la superstizione si intreccia con la diffidenza e l'avidità. Con la prima indagine dell'ispettore Domenico Montemurro, Roberto Rossi trascina il lettore in un vorticoso ottovolante di emozioni e colpi di scena, scandagliando i lati più oscuri delle relazioni e dei sentimenti umani: amore, amicizia, gelosia, vendetta.
"Le strade si ramificano in strade più piccole e in sentieri ancora più piccoli", ha scritto Milan Kundera. "Per i sentieri vanno i boscaioli. Sulle strade ci sono panchine dalle quali si vede un paesaggio pieno di pecore e mucche al pascolo. È l'Europa, è il cuore dell'Europa, sono le Alpi." Daniele Zovi in questo libro si mette in cammino tracciando un itinerario che è anche interiore, alla scoperta di un mondo vicino e al tempo stesso lontano, simbolico e reale. Racconta gli erbari di Camillo Sbarbaro, lichenologo di fama internazionale oltre che poeta: dei veri e propri "campionari del mondo" perché, come scriveva, "far raccolta di piante è farla di luoghi"; e poi il passo del Monginevro, quello probabilmente attraversato da Annibale e i suoi elefanti; la luce del Monte Bianco descritta da Goethe; la comunità walser a Macugnaga; le sculture di Marco Martalar: leoni, aquile, draghi costruiti con i resti dei boschi devastati dalla tempesta Vaia. Osserva la natura, ascolta gli animali, scopre il silenzio, immagina le vite degli altri: quello che racconta è un percorso sentimentale e conoscitivo che appare inesauribile.
Il volume raccoglie due opere, Pensiero e poesia nella vita spagnola e Filosofia e poesia, composte da María Zambrano durante l'esilio, nel 1939. Per far fronte alla sconfitta dei repubblicani nella guerra civile spagnola e al trionfo del razionalismo nella filosofia moderna e contemporanea, l'autrice muove alla ricerca dell'essenza della Spagna, della sua tradizione viva e di un diverso tipo di ragione, più vicina alla poesia e all'esperienza religiosa. Comincia qui a prender forma la teoria della "ragione poetica" come nuovo metodo di conoscenza: nell'attitudine del poeta, il filosofo riscopre il contatto diretto con la realtà e una forma di pensiero che non pretende di dominare il mondo, ma sa lasciarsi possedere dalla sua varietà. Poesia e filosofia, che hanno un'origine comune nella meraviglia, sono complementari: non c'è poesia senza pensiero né ragione senza poesia e solo la loro unione può indicare il cammino verso la verità.
«Parlare al telefono con Michela, anche solo chattare, oppure passare ore sul divano di casa mia a inanellare discorsi impegnativi mai portati a termine, o a casa sua, davanti a un piatto di zuppa di pesce, o anche al ristorante Il cambio di Trastevere sedute a quel tavolino che era diventato ormai "suo": tutto questo è stata una delle gioie più grandi degli anni in cui Michela Murgia e io ci siamo frequentate. Dieci: troppo pochi per tutto ciò che avevamo da dirci. Per questo tanti discorsi sono rimasti in sospeso, solo accennati. Almeno, questa era l'impressione, perché con lei si poteva andare avanti per ore in un gioco di continui richiami e di cambi di rotta, di balzi in avanti e di soste. A volte sembrava che a fare da filo conduttore fosse un tema, altre volte che fossero le parole stesse a disegnare la tessitura del pensiero. L'assenza della sua voce ha reso il dibattito pubblico più povero. In me continua a risuonare, invece, anche se so molto bene che i nostri colloqui di un tempo non sono più possibili.» Quando qualcuno ci lascia, spesso rimane il rimpianto di ciò che non abbiamo avuto il tempo di dire; i pensieri che avremmo voluto condividere restano sospesi in un vuoto incolmabile. Tuttavia, quella dell'assenza è una dimensione trascendente e feconda in cui ciò che non è più possibile diviene, a volte, possibile. È questa la dimensione in cui si muove la teologa Marinella Perroni per riprendere il filo delle conversazioni avviate con l'amica Michela Murgia sui temi più disparati, sempre guidate da quella ricerca di Dio che le ha accomunate fino all'ultimo. Dal loro confronto scaturiscono riflessioni di respiro tanto ampio da risuonare al di fuori dello spazio e del tempo, capaci di illuminare e orientare il nostro presente.
Tra israeliani e palestinesi chi ha torto e chi ha ragione? Chi sono i 'buoni' e chi i 'cattivi'? Gli israeliani, che 'da vittime si sono trasformati in carnefici'? O i palestinesi, che 'non vogliono altro che distruggere Israele'? E quando comincia il conflitto? A fine Ottocento, con la nascita del sionismo, negli anni Venti del Novecento o nel 1948, quando Israele viene attaccato dai paesi arabi 'con l'obiettivo di annientarlo', o quando si verifica la 'pulizia etnica dei palestinesi'? E perché la pace non è mai stata raggiunta? Si tratta di un 'odio atavico' che rende questo conflitto 'insanabile' oppure è solo questione di tempo e la pace sarà a portata di mano? Questo libro vuole provare a rispondere a tutte queste domande, mettendo in discussione una serie di luoghi comuni, la stragrande maggioranza dei quali del tutto errati. L'obiettivo è presentare la realtà di Israele/Palestina nella sua complessità, con l'ulteriore ambizione di farlo in modo semplice, senza tuttavia cadere nel semplicismo. Solo comprendendo le legittime rivendicazioni delle due parti è possibile orientarsi lungo le tante vicende, spesso violente e dolorose, che costituiscono la storia del conflitto.
Il Mediterraneo, il nostro oceano in miniatura, così piccolo e così diverso nei paesaggi, sta attraversando una trasformazione vorticosa per effetto del surriscaldamento globale e dell'impatto delle attività antropiche. Dalle specie aliene che proliferano alla plastica che lo soffoca, dall'eccesso di pesca all'estrazione di idrocarburi, è diventato lo specchio dell'azione nefasta dell'essere umano sul suo habitat. Oggi in questo nostro mare si intrecciano e si evidenziano tutti i nodi problematici della contemporaneità: cambiamento climatico, sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, inquinamento e collasso degli ecosistemi. Stefano Liberti, reporter di lunga esperienza, viaggia tra le sue isole e le sue coste - da Linosa a Cipro, da Tunisi alle Kerkennah, da Mazara a Samos - interrogando chi, vivendoci a contatto diretto, può testimoniarne e spiegarne la sorprendente metamorfosi.
All'origine di questo libro c'è un viaggio che comincia in Israele e nei territori occupati della Palestina al principio del 2023 e prosegue - nella riflessione - nei mesi seguenti l'eccidio del 7 ottobre. Roberta De Monticelli vede rappresentato nella Palestina il luogo in cui prende forma esemplare e tragica uno dei paradossi su cui si regge la civiltà. Da quando esiste, il diritto è in tensione costante con la giustizia e con la forza e vige in virtù della politica che pure ne è vincolata e regolata - salvo farsi non solo cieca ma criminale. È questo il paradosso della legge, che si rivive in tutta la sua tragica profondità nella terra dove tre religioni riconoscono alla legge scritta un'origine divina. Molti sono gli interrogativi: dove può arrivare la forza? Quale la giustizia da difendere? C'è una Legge più alta delle altre? Come può intervenire la politica per immaginare un futuro di pace? Il libro si interroga sulla possibilità stessa della giustizia, del diritto, della convivenza umana, in un confronto che tiene insieme lettura del presente e storia del pensiero e si propone di rompere il muro dell'indifferenza: tutti noi abbiamo compiuto un atto di rimozione, ignorando l'arbitrio, la violenza, l'ingiustizia di un'occupazione militare che dura da 57 anni.
Lungo tutto il secolo breve, una donna bellissima e fortissima pensa, scrive, agisce, lotta. Viaggia prima per studio, poi attraversando fronti e frontiere dell'Europa occupata dai nazifascismi: Parigi, Lisbona, Londra, Marsiglia, Roma, il Sud dell'Italia dove sono arrivati gli Alleati. Documenti falsi, missioni segrete, diplomazia clandestina. Joyce, insieme al marito Emilio Lussu e ai compagni di Giustizia e Libertà, sostenuta nelle sue scelte dalla sua famiglia di origine, è in prima linea nella Resistenza. Poetessa, traduttrice, scrittrice, ha sempre coniugato pensiero (prefigurante, modernissimo) e azione. Azione che prosegue nel dopoguerra con la ricerca di poeti da tradurre per far conoscere le lotte di liberazione degli altri paesi, in particolare dell'Africa e del Curdistan. Nazim Hikmet, Agostinho Neto, i guerriglieri di Amílcar Cabral che compongono canti di lotta durante le marce, sono alcuni degli autori che Joyce 'scopre' e propone attraverso traduzioni rivoluzionarie. Rievocando le scelte, gli incontri, le occasioni, ripercorriamo l'esistenza di questa donna straordinaria (laica, cosmopolita, 'anglo-marchigiana') e il suo essere, da sempre, riferimento per molte donne e molti giovani.