Giorgio La Pira, uomo di ardente fede, profeta di pace, politico, è stato un mistico prestato alla politica e di cui il 9 gennaio 2024 ricorrono i 120 anni dalla nascita a Pozzallo, nel sud della Sicilia. Nel luglio 1918 papa Francesco ha concesso l'autorizzazione alla Congregazione delle cause dei santi per promulgare il decreto sulle sue virtù eroiche di servo di Dio. I testi pubblicati in queste pagine tracciano idealmente il percorso umano, religioso e politico di Giorgio La Pira, uomo di eccezionale cultura e di profonda vita spirituale, che fu membro dell'Assemblea costituente, deputato nella prima Legislatura, sottosegretario al ministero del Lavoro e sindaco di Firenze. In un XXI secolo dominato dalle guerre - anche in Europa - i suoi interrogativi e le sue prospettive assumono un interesse nuovo. La freschezza e la forza della sua testimonianza sono un'utile bussola per tutti noi che abbiamo bisogno di orientamento per la nostra vita personale e di cittadini. Con testi di La Pira e contributi di: Patrizia Giunti (presidente Fondazione Giorgio La Pira), Giovanni Spinoso e Claudio Turrini, Padre Gianni Festa, Piero Meucci e Mario Primicerio, Andrea Riccardi, Agostino Giovagnoli.
Mons. Luigi Novarese nasce a Casale Monferrato il 29 luglio 1914. Il 17 dicembre 1938, viene ordinato sacerdote nella Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma. Il 17 maggio 1947 fonda, coadiuvato da Sorella Elvira Myriam Psorulla, il Centro Volontari della Sofferenza e, l'anno successivo, i Silenziosi Operai della Croce che verranno elevati a Pia Unione Primaria da Papa Giovanni XXIII con il Breve Apostolico "Valde probandae" il 24 novembre del 1960.
Se resta ancora aperta- verosimilmente non destinata a chiudersi mai - la discussione su quanto la canzone d'autore sia imparentata con la poesia, impossibile è invece negare che essa abbia saputo interpretare al meglio sogni e bisogni, ansie e difficoltà del nostro paese, a partire dalla stagione del boom economico. Uno dei protagonisti di tale fenomeno è stato senza dubbio Enzo Jannacci, milanese doc, nato nel 1935 e morto nel 2013, che per quasi sei decenni ha alternato la professione di medico chirurgo alla musica cosiddetta leggera. Sapendo coniugare, come nessun altro nel panorama artistico nazionale, il gusto irriverente per lo sberleffo e una sensibilità geniale e stralunata, con una vena poetica tendente alla malinconia e alla nostalgia per un mondo arruffato ma ancora capace di riconoscere la purezza.
Una racconto della vita e delle opere di Jérôme Lejeune. Per scrivere questa biografia, l'autrice ha lavorato undici anni consultando migliaia di archivi, ha incontrato a lungo la moglie Birthe Lejeune, primo e indispensabile sostegno di suo marito, i suoi parenti più stretti, molte famiglie di pazienti e di collaboratori francesi e stranieri. Il frutto di questo intenso e lungo lavoro ci consegna un libro che ci invita a scoprire oggi un ritratto fedele e inedito di un Jérôme Lejeune scienziato geniale, pieno di umorismo, marito e padre di cinque figli, vicino ai grandi e di questo mondo e difensore dei più piccoli.
Se dovessimo dar credito a “Gomorra”, Scampia sarebbe una terra senza speranza; dominata da spietati boss della camorra e abitata da uomini e donne conniventi e destinati – spesso – a una morte violenta. Ciro Corona racconta però un’altra storia, una storia di riscatto e impegno dal basso, di sogni concreti e di lotte per realizzarli. Corona è la “faccia bella di Scampia”, insieme a quella di tante altre persone pulite e sane che lavorano per il territorio. È anche ideatore dello sportello anticamorra, fondatore dell’associazione (R) esistenza Anticamorra con cui gestisce dei beni confiscati alla camorra; il lavoro di Ciro e dei suoi compagni ha permesso a centinaia di ragazzi di trovare un impiego onesto e di entrare in un circuito economico virtuoso che li ha allontanati dalla strada e dalla delinquenza. Negli anni non sono mancati soprusi e minacce da parte della camorra sia verso Ciro che verso l’associazione: consegna di proiettili, danneggiamenti e attentati, ma il sostegno delle forze dell’ordine, della magistratura e soprattutto dei cittadini di Scampia ha permesso all’associazione di andare avanti, crescere e sperare in un futuro migliore.
La figura di Franco Battiato ha rappresentato un unicum. Non esiste un precedente simile nella storia dello spettacolo contemporaneo in Occidente. Il cantautore siciliano possedeva e trasmetteva agli ascoltatori "la percezione del divino e della sua eterna assenza". In queste pagine Massimo Granieri vuol ricordare l'amico e soprattutto il maestro di parole e musica. Un artista, Battiato, proiettato alla continua ricerca dell'infinito. La canzone Centro di gravità permanente ad esempio è forse una delle esperienze più profonde che il maestro ci ha consegnato, una preghiera laica da ascoltare restando accovacciati nel silenzio della sera. Attraverso la rilettura delle canzoni più famose, i ricordi della loro amicizia e il racconto di come la musica di Battiato abbia influenzato la sua vita, così come quella di milioni di italiani, Granieri traccia un ritratto a tutto tondo del grande artista. Il volume è arricchito da interviste ad artisti e giornalisti che hanno intrattenuto un rapporto speciale con Battiato e la sua musica. Prefazione di padre Antonio Spadaro Sj. Postfazione di Cristiano Massimo Parisi. Con un saggio di Gianluca Veltri.
Se la devozione a santa Rita, la santa delle cause impossibili, ha raggiunto distanze infinite, lo si deve alla beata Maria Teresa Fasce: una donna di slanci e ideali, eppure prudente, con uno spiccato senso della giustizia divina, prima che umana. Forte, temperante, innamorata di Cristo. Una beata che ha trascorso la propria esistenza a imitazione di una Madre. Cascia com'è oggi - con il santuario, le opere di carità, la spiritualità senza rughe - non sarebbe esistita senza Maria Teresa Fasce. Il perché lo scoprirete immergendovi nella lettura di un testo agevole, affidabile per l'approfondita ricerca storica, anche inedita. Il volume è diviso in due parti: nella prima si descrive la vita della Beata; nella seconda si approfondiscono gli aspetti principali della sua spiritualità anche attraverso testimonianze di chi l'ha conosciuta e brani tratti dalle sue lettere.
È stato scritto moltissimo sulla vicenda del sequestro di Aldo Moro e della strage degli uomini della scorta, molto sulla sua attività politica e qualcosa sulla sua spiritualità. Questo libro prova a definire cosa debba intendersi per spiritualità e a delinearne i tratti in Aldo Moro analizzando le lettere che egli scrisse nei giorni della sua prigionia. Ne emerge un uomo animato da una profonda spiritualità, dagli anni della formazione, attraverso la vita politica, fino agli ultimi, drammatici giorni e al tragico epilogo che cambiò la storia d'Italia.
Nonostante il celebre esempio plutarchiano, la «biografia parallela» è un genere poco frequentato dalla storiografia, e soprattutto da quella moderna. Eppure esso si rivela estremamente fecondo nelle mani di uno studioso quale Alan Bullock, in cerca di un quadro di riferimento per avviare una disamina incrociata dei due sistemi di potere, staliniano e nazista, che, se a prima vista sembrano «inconciliabilmente ostili», mostrano in realtà svariati elementi comuni. «La loro apparizione contemporanea e la loro interazione mi apparivano il tratto più nuovo e sconvolgente della storia europea della prima metà del XX secolo, le cui conseguenze hanno a lungo dominato anche la seconda» scrive Bullock. E quel quadro di riferimento è appunto lo studio comparato delle vite dei due dittatori, Hitler e Stalin, ricostruite cronologicamente in parallelo. L'autore esamina e confronta il Partito Nazionalsocialista e il PCUS, gli stati di polizia tedesco e sovietico, le scelte dei due «Signori della Guerra», senza trascurare l'indagine psicologica, laddove essa possa contribuire a una migliore comprensione dei personaggi. Il libro estrapola così gli elementi-chiave delle due esperienze - rivoluzione, dittatura, ideologia, diplomazia, guerra -, mettendoli in relazione con le personalità dei due uomini responsabili di avere dato al Novecento l'impronta di una ferocia che non va dimenticata.
È impossibile scrivere la parola fine al romanzo di Berlusconi. Non è scandito da capitoli o da vicende che seguano una logica temporale, i personaggi appaiono elusivi, i periodi sono pieni di incisi e subordinate, le note a margine in continua evoluzione. Il lavoro di un editor ne uscirebbe sconfitto. La storia di Arcisilvio è piuttosto un affastellarsi di scene, di performance, di brevi novelle dove è possibile affermare una verità e il suo contrario. Pietrangelo Buttafuoco, uomo di teatro, sa disvelare tutti i ruoli di Silvio: drammaturgo, scenografo, suggeritore, datore luci, interprete e regista. Il sipario non scende mai, il protagonista continua e continuerà per sempre a calcare il palcoscenico perché ogni sua asse l'ha immaginata, costruita e levigata lui. Buttafuoco si trova quindi, da grande capocomico qual è, a raccontare la commedia del Cavaliere, la cui unicità coincide con l'Italia stessa. Ogni giorno è il giorno giusto per far uscire questo libro ma ogni giorno il testo è da rimettere a posto, e dunque non esiste altro criterio che quello dell'arte, dell'improvvisazione teatrale, e giammai del giornalismo, per poter ricostruire la macchina scenica e raccontare la straordinaria epopea del Cavaliere. Tutti i generi gli si addicono, tutti i generi sono limitanti. Da Totò contro Maciste all'Armata Brancaleone, dall'Elisir d'amore al Riccardo III di Shakespeare, da Molière a Goldoni. Pietrangelo Buttafuoco, grande acrobata della parola e cultore della mistica, e quindi dell'invisibile, identifica e ricuce le pezze d'appoggio, individua e unisce nuovi puntini che ritraggono il personaggio più contemporaneo della contemporaneità, colui che come Mary Quant inventò la minigonna e cambiò per sempre i tempi. Facciamocene una ragione.
Giornalista tutto d'un pezzo, reporter infaticabile, amante della vita e della bellezza, Matteo Scanni è morto a soli 51 anni, lo scorso 27 gennaio 2022. Il padre Alberto, oncologo di fama internazionale, ripercorre la storia della malattia di Matteo, fino all'esito fatale, raccontando il dramma e lo strazio di vedere il proprio figlio morire proprio per un tumore. «Da questo accadimento ho capito che essere coraggiosi si può. Che devo dare sempre più ascolto ai malati, che chiacchierare non basta, ma che bisogna fare. Che coi malati bisogna essere "gentili" e che gentilezza non sono solo le buone maniere, ma che è una disponibilità interiore sublimata da un comportamento. Che la medicina deve essere, per sua natura, una professione "gentile" che ha nel malato, un oggetto prezioso e delicato».
Lucio Domizio Aureliano (Sirmio, 9 settembre 214 /215 - vicino Bisanzio, 25 settembre 275) apparteneva a una famiglia di agricoltori. La sua carriera militare venne favorita dall'imperatore Valeriano e si affermò durante l'impero di Gallieno. Era di spirito pronto, d'indole impetuosa e inesorabile, tanto che i compagni d'arme gli rifilarono il nomignolo di "mano al ferro [spada]". Nel 270 le truppe lo acclamarono Imperatore. L'Impero pareva prossimo allo sfacelo: regnavano disordine, miseria ed epidemie; lo stato era finanziariamente fallito; l'esercito in continua rivolta; i confini, per tutta la distesa dal Reno al Danubio, in preda a Iutungi, Alamanni, Vandali e Goti; la Gallia e la Britannia ormai s'erano costituite in uno stato, romano di forma, ma autonomo; i territori d'Asia soggetti ai sovrani di Palmira, in particolare a Zenobia, erano legati a Roma in apparenza. Aureliano riuscì nei primi tre anni a rinsaldare la compagine dello stato romano e a salvarlo e poté celebrare un trionfo (274 d. C.) dei più fastosi che Roma abbia veduto e uno dei più meritati, ricevendo il titolo di restitutor orbis (riunificatore dell'Impero). L'opera restauratrice di Aureliano ebbe largo campo anche nella pubblica amministrazione e in particolare nella parte finanziaria. La sicurezza e gli abbellimenti di Roma, il mantenimento e l'igiene della popolazione occuparono molta parte dell'attività di questo imperatore che, inoltre, diede inizio alla costruzione di quelle mura attorno a Roma che portano ancora il suo nome. La sua opera militare e politica fu compiuta con coscienza romana, volta a rafforzare il potere centrale. I trionfi militari gli conferirono l'autorità necessaria a intraprendere l'opera di restaurazione della disciplina dell'esercito che portò avanti col solito rigore inflessibile, cosa che finì con alienargli il sostegno di alcuni ufficiali che ne decretarono la morte.