In un'epoca di crisi, cosa significa appartenere e trasmettere? Contrariamente a ciò che affermano i fondamentalismi, la trasmissione di un retaggio non deve essere una replica dell'identico. Oggi come ieri, per far emergere l'inedito essa dipende da una parziale infedeltà. Coniugando filiazione e rottura, la tradizione ebraica si rinnova nutrita dal suo incontro con gli altri. Ciò implica l'apertura allo straniero, così come l'apertura al femminile. Questo libro è dunque prima di tutto un'esortazione a fertilizzare i testi sacri con letture inedite. Con questa visione aperta della religione, Delphine Horvilleur rivisita alcuni episodi della Genesi, in particolare quelli di Adamo ed Eva, Caino e Abele: la storia biblica dei primi genitori e dei primi figli dell'umanità. Tre sono poi i temi affrontati: come si forma, secondo l'ebraismo, un genitore, una identità e un desiderio, ossia la possibilità di generare il futuro. Con chiarezza e humour, citando la Torà e II Talmud, ma anche Romain Gary e Amos Oz, la Horvilleur conclude il suo libro con una analogia tra il testo sacro e il femminile, dotati entrambi della capacità di crescere e moltiplicare.
La tradizione mistica ebraica insegna che Adamo ed Eva, quando si trovavano nel giardino dell'Eden, possedevano dodici sensi.
Dopo la “caduta”, assieme al rapporto diretto con il divino, l'essere umano vide attenuarsi anche la sua “sensibilità edenica”.
Molti dei sensi posseduti nel giardino vennero celati sotto una “tunica di pelle” e poi, con il passare del tempo, smarriti nelle profondità della coscienza.
Un giorno un uomo, guidato dall'ispirazione divina, ritrovò i sensi perduti.
La sua scoperta fu così importante che decise di inciderla in un libro.
Quell'uomo era Abramo, il primo ebreo, e quel libro era il Séfer Yetzirà, primo e fondamentale testo cabalistico.
Abramo, perché non andassero di nuovo persi, legò quei sensi a dodici sacre lettere dell'alfabeto ebraico e ai dodici segni dello zodiaco.
Questo libro ci porta alla scoperta di quei sensi, di quelle lettere e di quei segni, dimenticati dall'essere umano ma indelebilmente impressi nella millenaria tradizione ebraica.
Per ognuna di queste “Sacre Chiavi” sarà offerto un racconto, una vera e propria storia iniziatica che accompagnerà il lettore in un personale percorso interiore.
Per ognuno dei 12 sensi, attraverso la storia proposta, il lettore avrà l’opportunità di andare oltre le "barriere" della propria parte razionale al fine di ottenere informazioni preziose per il proprio percorso evolutivo.
Il nonno polacco di Eduardo Halfon arrivò in Guatemala nel 1946 dopo essere sopravvissuto alla Shoah e non tornò mai in Polonia. Aveva sempre proibito alla sua famiglia di andarci. I polacchi, diceva, ci hanno tradito. Ma poco prima della sua morte Eduardo disse ancora una volta al nonno che voleva visitare Lodz, la sua città natale. Ma lui ancora una volta si arrabbiò e sbatté la porta. Però, poco dopo, tornò con un foglietto dove c'era scritto l'indirizzo della sua casa a Lodz e lo dette al nipote come un ordine o un'eredità. Questo racconto è la storia di dove quel foglietto ha finalmente portato Eduardo: in Polonia, nelle vecchie strade di Lodz.
La bellezza del pensiero e dell'opera filosofica della Stein è tutta nella sua vita, iniziata, non a caso, in uno Yom Kippur (Giorno dell'Espiazione) del 1891 e conclusasi mirabilmente con la sua offerta in espiazione per il popolo ebraico e per la Chiesa, ad Auschwitz, il 9 agosto del 1942. Parafrasando il libro del Siracide, secondo il quale «un uomo si conosce veramente alla fine», si può dire che un vero filosofo si conosce alla fine, in quanto quest'ultima costituisce il coronamento di una vita e di un pensiero ricolmi di amore per la sapienza.
Molte sono le opere di Rembrandt con oggetti tratti dalla Bibbia ebraica e numerosi sono i suoi ritratti di notabili ebrei. Ma quali furono i concreti legami tra Rembrandt e la comunità ebraica? Steven Nadler documenta i rapporti quotidiani, non sempre facili, tra il pittore e i suoi vicini di casa a Vlooienburg, nel cuore del mondo ebraico di Amsterdam. E ben presto, partendo dal lavoro del grande artista, il rinomato studioso di Spinoza estende il campo d'indagine, per descrivere alcune pagine centrali della vita dei sefarditi e degli ashkenaziti all'indomani del loro insediamento presso lo Zuiderzee: l'assimilazione da parte di una società cosmopolita di queste comunità di migranti, oggetto di interesse intellettuale e sospetto, curiosità e pregiudizio, e talvolta ammirazione. L'attento esame di dipinti, incisioni e di segni sfocia nell'analisi della vita culturale e sociale del Secolo d'oro olandese, e approfondisce le fondamentali questioni di carattere spirituale, teologico e politico dell'epoca. Un viaggio lungo i canali e sotto i cieli annuvolati dell'affollata Amsterdam, tra personalità fuori del comune, accese discussioni e splendidi capolavori artistici.
Nella primavera del 1961 Hannah Arendt viene inviata dal settimanale «New Yorker» a seguire il processo ad Adolf Eichmann, il gerarca nazista rifugiato nel 1945 in Argentina, rapito dal Mossad nel 1960, processato per genocidio l'anno successivo e condannato a morte per impiccagione nel 1962. In quella circostanza Arendt diviene amica di Leni Yahil, storica di origine tedesca e studiosa della Shoah. Inizia così una corrispondenza che alterna questioni personali, filosofiche e politiche. Nel 1963, dopo la pubblicazione degli articoli sul processo Eichmann, riuniti poi nel volume «La banalità del male», il rapporto tra le due donne si interrompe bruscamente. Nella più controversa delle sue opere, Arendt sostiene che il male perpetrato da Eichmann sia da attribuire a una completa inconsapevolezza sul significato delle proprie azioni e solleva il tema della responsabilità dei capi delle comunità ebraiche nell'aver agevolato la politica di sterminio nazista. Il tentativo di Yahil di far rivivere la corrispondenza con Hannah Arendt otto anni più tardi è destinato a fallire. L'amicizia tra le due donne non riesce a reggere la polemica suscitata dal processo e dal libro.
La Bibbia non è nata già fatta. Né l'Antico né il Nuovo Testamento hanno avuto una storia anche solo vagamente lineare. In effetti, tutta la vicenda di come la Bibbia è giunta a essere il testo che noi oggi conosciamo - fissato nel canone ebraico e in quello cristiano - è molto più affascinante di quanto ci si potrebbe aspettare. Quella che narra Michael Satlow è dunque la storia altamente romanzesca di un certo numero di testi, scritti in periodi storici differenti, da persone differenti, in lingue differenti e per scopi differenti, che per una serie di contingenze storiche alla fine sono diventati il primo libro dell'umanità. In maniera inaspettata e unica, questi testi dopo secoli di dibattiti e di intricate vicende, e dopo essere rimasti dormienti e impolverati negli archivi di un tempio periferico del Medio Oriente - sono stati infine riconosciuti come vera "parola di Dio" da ebrei e cristiani. Ma questo è avvenuto solo molto tempo dopo: almeno mille anni dopo le prime composizioni. I protagonisti di questa epopea sono molti e spesso oscuri e anonimi; ci sono gli scribi, i traduttori, gli stranieri e le guerre, i sacerdoti, i re e i profeti, i babilonesi, gli assiri, gli egizi, i greci e i romani. Finché, per motivi sostanzialmente politici, il partito dei sadducei decise di dare alle parole rinvenute nel Tempio di Gerusalemme un valore di legge, coinvolgendo in questo anche il neonato movimento cristiano, fino ad allora pressoché inconsapevole dell'esistenza delle Scritture.
Frutto di un'approfondita ricerca tra le fonti della Cabbalà, compresi testi difficilmente accessibili e mai tradotti, questo nuovo libro di Yarona Pinhas si presenta come una raccolta di insegnamenti e suggestioni legati alla tradizione spirituale che ruota attorno all'alfabeto ebraico. Citando Gershom Scholem, le lettere ebraiche sono nella tradizione mistica le configurazioni della forza creatrice di Dio e non esiste un mondo spirituale se non a partire dal linguaggio e dai segni potenti che gli danno voce. La comprensione della Creazione e delle sue energie passa necessariamente dai misteri che si celano nelle lettere; al tempo stesso la nostra presenza nel mondo, il saper vivere pienamente ed eticamente passa dalla consapevolezza della forza insita nella singola lettera e dell'importanza di un uso corretto del linguaggio. Questo libro vuole essere uno strumento per lo studioso di Cabbalà ma anche una porta d'ingresso, fatta di allusioni e fascinazioni, per chiunque percepisca il richiamo della mistica e la potenza delle lettere con cui l'universo è stato creato.
"Un'ebrea". Così rispondeva Hannah Arendt alla domanda "chi sei?", rivoltale quotidianamente nei tempi bui e ripresa nel 1959 per il conferimento del premio Lessing. "Un'ebrea" dunque. Lei, come tante altre. Lei, come le altre. Lei, come le donne presentate in questo libro. Ora, la prospettiva arendtiana relativa a tale condizione, situazione, imposizione - o come dire diversamente? - di essere "un'ebrea" è applicata anche alle intellettuali ebree del Novecento che sono state scelte come guide, come protagoniste o semplicemente come compagne di viaggio, ma anche come oggetto di studio di questo volume. Tale prospettiva è infatti qui utilizzata come prisma di lettura per una ricerca in comune e condivisa, volta a comprendere e a raccontare l'ebraismo nella differenza, seguendo diversi percorsi, molteplici, differenziati e singolari, sia filosofici che letterari, o semplicemente percorsi di vita, di un ebraismo declinato "al femminile". Questo libro esamina in quale modo l'origine ebraica di alcune pensatrici, scrittrici e figure femminili difficilmente classificabili abbia caratterizzato non solo le loro vite e i loro destini durante le guerre, l'esilio, le persecuzioni, lo sterminio e nel "dopo", ma come tale origine abbia anche segnato i loro percorsi intellettuali, spesso radicalmente diversi, fin dentro la scrittura delle loro opere. Allo stesso tempo, esso si propone di accostare e studiare queste autrici a partire dal punto di vista della differenza, ovvero, non tanto, non solo a partire dalle lotte per il riconoscimento della differenza sessuale e dei suoi diritti ma, soprattutto, più problematicamente, a partire dalle lotte per il riconoscimento della differenza in quanto tale. Esso si interroga quindi sul modo in cui la condizione di essere donne, di essere magari anche donne differenti e nella differenza, le abbia perfino guidate nelle loro riflessioni e nelle loro scelte di vita, a volte esplicite e di adesione, altre volte più implicite e critiche o addirittura di radicale rifiuto proprio nei confronti dell'ebraismo. In quanto donne e in quanto ebree, queste intellettuali hanno dovuto necessariamente confrontarsi (anche per la via negativa), a volte senza volerlo, con la loro nascita, con la loro appartenenza a una comunità e a un genere. In particolare, hanno dovuto ripensare, riformulare, ridire, perfino rinnegare, disdire o decostruire l'ebraismo stesso, con un'attenzione, una sensibilità e intelligenza tutte femminili, così come hanno dovuto necessariamente confrontarsi, nelle loro vite e nelle loro opere - opere nutrite di vita - con la storia, fino a farne materia del loro agire, pensare, scrivere.
Nonostante la civiltà e la cultura europea affondino le radici nella tradizione ebraico-cristiana, le vicende del popolo ebraico e le sue esperienze accumulate nell'arco di alcuni millenni sono poco conosciute. Attorno alla figura dell'ebreo, ancora e nonostante il tragico passato - o forse proprio a causa di esso - si aggirano i fantasmi del pregiudizio o del sospetto. Eppure il pensiero elaborato dai rabbini e dai filosofi ebrei è molto originale e fecondo; il mondo ebraico è ricco, articolato, spesso contradditorio e solo attraverso la conoscenza se ne possono cogliere gli aspetti apparentemente paradossali. «Essere ebrei - scrivono Riccardo Calimani e Giacomo Kahn - è doppiamente difficile: è difficile essere se stessi, è difficile essere accettati. È un problema stimolante che offre motivi di riflessione. Costanti e sempre nuovi».
Gli ebrei italiani sono un gruppo numericamente modesto eppure presente sul territorio della Penisola da ventun secoli. Attivi in tutti i campi della società, non necessariamente con posizioni di primo piano, hanno conosciuto l'oltraggio delle leggi razziste destinate a far sprofondare molti di loro in quel gorgo terribile che va sotto il nome di Shoah. Lungi dal possedere un'unità monolitica, questo libro vuole presentare a un pubblico non solo di studiosi o di appassionati dell'argomento gli ebrei italiani, sfatando pregiudizi e luoghi comuni. Per far questo i curatori hanno invitato a collaborare al volume persone provenienti dagli ambiti professionali e di studio più disparati, proponendosi di rappresentare in tal modo tutta la varietà che l'ebraismo italiano possiede e che lo fa essere un'entità composita e variegata.
«Ci sono forse uomini, bambini, pesci, uccelli o cactus capaci di capire il dolore che ci afferra quando il cane amato muore? Come si apra una voragine profonda e non ci sia niente con cui riempirla?». "La Bibbia è terminata duemila anni fa. Ma Dio ha parlato ancora. Attraverso i profeti, i santi, attraverso la vita e la morte di uomini e animali. Sì, Dio ha scelto di continuare a parlarci attraverso tutti gli esseri del creato: gli esseri che nascono, ci amano e muoiono prima di noi. Il cane Pierre, protagonista del presente libro, è in questo senso il testimone della volontà divina di rivelarci la morte." (Dalla postfazione di Paolo De Benedetti)