La mappa delle religioni si presenta oggi quanto mai ampia e variegata. A fine secolo XX, l'85% della popolazione mondiale dichiara di aderire a una confessione religiosa e i profondi cambiamenti sociali e culturali del nostro tempo ripropongono l'importanza del fenomeno religioso, come causa di un potenziale scontro delle civiltà o, all'opposto, come fattore di crescita e di dialogo. Il libro fornisce, con il corredo di tavole, grafici e mappe, una rielaborazione di informazioni quantitative sull'evoluzione sociale, religiosa ed ecclesiale nel XX secolo. L'indagine si sofferma principalmente sullo sviluppo demografico mondiale, sulla mobilità, sulla crescita e distribuzione della ricchezza, sulla diffusione delle grandi religioni e della non credenza, prendendo in esame lo sviluppo del cristianesimo, i suoi cambiamenti, l'articolazione nelle sue principali denominazioni. Si guarda alla diffusione e distribuzione dei cattolici, all'andamento dei battesimi e dei matrimoni, allo sviluppo delle istituzioni ecclesiastiche, ai problemi degli operatori: il calo delle vocazioni, la ripartizione del clero tra le Chiese del Nord e del Sud del mondo, la formazione dei catechisti, l'arretramento dei cattolici in alcuni continenti, nonostante in termini assoluti si registri una crescita dei cristiani e un tasso di incremento nell'ultimo secolo sostanzialmente stabile.
Un libro che alterna fotografie (molto belle e intense) di volti e squarci di vita africani a inserti narrativi dove le storie di Philip, Kevin, Jane, Jack rispondono alla domanda posta dal capitolo che le raccoglie: "Vite di scarto?" e a riflessioni inedite che accompagnano il lettore alla scoperta di pedagogie made in Africa. Pochi, pochissimi, al di fuor dall'Africa hanno studiato e riflettuto sulle pedagogie africane. È uno dei tanti segni della superficialità, a volte del disprezzo, con cui le culture e l'esperienza africana sono state avvicinate negli ultimi secoli. Il libro supera questa rimozione. Già il titolo indica l'oscillazione tra il senso etimologico della parola pedagogia, condurre il bambino così come avviene nelle forme tradizionali di cura ed educazione in Africa, e il senso più recente di sostegno alla vita con cui l occidente si approssima al vecchio continente. Su quali tracce è possibile ricostruire l'incontro tra i nostri mondi, allora? Gli autori ci indicano che per farlo bisognerà lasciare la pista, andare per fenditure e crepacci, andare per il terreno rugoso, muoversi sulla rima di una bolgia, sull'argine, per trovare quella linea che collega i margini, dove tutto è periferia. Dove l'incontro è più possibile se accompagnato dall'ascolto. Un libro da leggere e da vedere. Un viaggio nell'Africa che può condurre e sostenere, con le radici robuste della sua storia e della sua cultura, l'incontro tra identità e culture diverse.
Vandana Shiva è una scienziata ambientalista nota in tutto il mondo, tra gli esponenti di spicco del movimento democratico globale. In questo libro, Shiva fa il punto su quelle battaglie che anche grazie al suo contributo hanno assunto un rilievo internazionale - la lotta contro la privatizzazione delle risorse naturali, i brevetti sul vivente e l'impiego di organismi geneticamente modificati in agricoltura e nella produzione alimentare riconducendole a un progetto politico, economico e culturale di democratizzazione della globalità. L'autrice delinea dunque una alternativa alla globalizzazione economica, che giudica responsabile non soltanto della catastrofe ecologica imminente, ma anche dell'avvento dei fondamentalismi politici e religiosi. Vandana Shiva considera i brevetti sul vivente e la privatizzazione delle risorse naturali come l'ultima frontiera di un colonialismo che aveva cominciato a manifestarsi già nel Sedicesimo secolo con la recinzione delle terre comuni britanniche. La privatizzazione delle risorse comuni, insieme alla progressiva erosione dei beni e dei servizi pubblici e all'indebolimento dei meccanismi democratici di controllo dell'economia, costituiscono una grave minaccia in termini di sostenibilità ecologica e di sopravvivenza sociale.
Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sull'Africa e che nessuno vi ha mai rivelato, potrebbe titolare questo libro. Infatti, padre Giulio Albanese in Africa ha vissuto, studiato, lavorato; all'Africa ha dedicato tutto il suo tempo e ci regala uno sguardo su questo continente molto diverso da quello che siamo abituati a trovare nelle testate non specializzate. Dall'economia alla politica, dai problemi legati allo sviluppo alle malattie, dai bambini soldato alla questione femminile, dall'arte alla cultura a tutto campo, Albanese ha un'opinione molto personale e uno stile coinvolgente per presentarla. Perché, come dice lui "un conto è leggere articoli sul continente africano" (e i mass media italiani spesso sono poco attenti a questa parte del mondo), "e un conto è trovarsi di fronte alla gente, vivere con loro e condividere la complessità dei problemi del loro ambiente". Il libro è diviso in quattro macro-capitoli: economia, politica e sviluppo; carestie, pandemie e guerre; società e religione; cultura, arte e informazione. Ciascun capitolo contiene una riflessione su un particolare aspetto, su un personaggio o un Paese africano in cui l'autore offre una visione a 360 gradi sulla complessità delle questioni. Non mancano le testimonianze, le storie e i volti che inframmezzano le riflessioni, dando al libro un'importante dimensione umana di vita vissuta.
Argine politico al libero scambio e alla più ampia interazione tra individui e imprese di paesi differenti, il protezionismo è l'insieme delle misure legali che limitano, proibiscono, controllano o regolano gli scambi internazionali. Esso rappresenta quindi il principale freno alla globalizzazione in atto e una delle espressioni più caratteristiche del potere pubblico arbitrariamente esercitato sulle scelte autonome di prodotti e consumatori. In questo saggio Pascal Salin offre un'aperta difesa del libero commercio e mostra, al contempo, il carattere immorale e l'irrazionalità economica che caratterizzano le politiche volte a ostacolare il flusso del libero movimento di capitali e beni.
Il volume raccoglie le lettere fra monsignor Massimo Camisasca e i missionari della Fraternità San Carlo Borromeo in Siberia e a Taiwan. I diversi autori testimoniano la loro passione missionaria e il rapporto con la chiesa universale, anche attraverso le lettere con il loro superiore e con la Fraternità San Carlo Borromeo.
In Nord Uganda ci si saluta dicendo: «Kop ango?», che vuol dire: «C’è qualcosa?». E il sottinteso è: «C'è qualcosa che forse non va?». La risposta obbligata è «Kop pe», e cioè: «Non c’è niente» (che non va). A parte il rebus delle doppie negazioni risultanti dall’italiano, il senso è chiaro: tutto bene, possiamo andare avanti. Tra il popolo degli Acholi la giornata e le relazioni iniziano così, con un piccolo dubbio che va fugato. E così comincia il racconto di questo libro, con un saluto scambiato nell'alba di Kitgum. Il racconto di ventiquattro ore nella vita del Nord Uganda, terra squassata dalla guerra e dalle epidemie. Come tanti altri angoli dell'Africa, si dirà. C'è un dubbio, però, che vale la pena approfondire: tutti noi sappiamo come muore l'Africa, ma che ne sappiamo di come vive?
GLI AUTORI
Roberto Fontolan è nato nel 1956. Vissuti i primi infuocati anni ’70 al liceo milanese Berchet (il "liceo rosso"), fin dai tempi dell’università si è dedicato al giornalismo. Un’avventura cominciata alla radio ("Supermilano", una emittente libera milanese) e proseguita poi al settimanale "Il Sabato", al quotidiano "Avvenire", alla Rai, dove ha ricoperto diversi incarichi tra cui la direzione del Centro di Produzione di Milano e la vicedirezione del Tg1, alla televisione del gruppo "Sole 24ore", della quale è stato direttore fino al dicembre 2003. Ha realizzato numerosissimi reportage e inchieste in Italia e all’estero, ha curato e organizzato programmi televisivi, ha lavorato nelle pubbliche relazioni e nell’organizzazione culturale. Attualmente si occupa di nuovi progetti di comunicazione e svolge attività di consulenza. E’ docente presso il master di giornalismo all’Università Cattolica di Milano.
Passando da un campo di cotone in Texas a una fabbrica cinese, e dai negoziati commerciali di Washington a un mercato di abiti usati in Africa, Pietra Rivoli insegue una maglietta da sei dollari nel suo lungo e contorto viaggio, dalla coltivazione della materia prima fino al banco di vendita. Ma non si tratta solo della curiosità di scoprire l'avventurosa nascita di un oggetto di uso comune: il viaggio ci porta nel cuore degli scambi internazionali, e ci fa scoprire quanto semplicistiche siano le idee che circolano in merito alla globalizzazione e a fenomeni peculiari come quello dirompente della Cina. Ma, soprattutto, ci sono le persone concrete che l'autrice incontra attraversando letteralmente mezzo mondo.
Fuggiti da casa, scacciati dalle famiglie, nei loro pochi anni di vita i bambini di questo libro hanno già sperimentato disperazione e violenza lungo le pericolose strade delle città dello Zambia, prima di approdare nel porto tranquillo del Mthunzi Centre, la casa di padre Kizito, uno dei più noti missionari comboniani italiani, in Africa da molti anni con il sostegno della Ong Amani. Intorno a lui, una piccola comunità di africani e volontari italiani, impegnata a combattere il fenomeno sempre più allarmante dei bambini di strada. Queste storie - raccolte da Chiara Michelon - raccontano in prima persona percorsi tortuosi di sofferenza, ma non solo. Raccontano anche la capacità dell'infanzia di sorridere al mondo nonostante tutto.
Dopo "Pellegrino delle frontiere", anche in questo libro padre Pierre Ceyrac racconta degli uomini e delle donne che gli hanno illuminato la vita. Il suo arrivo in India, come missionario, nel 1936, la sua iniziazione di giovane gesuita con la "vecchia guardia" della missione di Madurai (Madras), la scoperta della sua profonda vocazione all'"inculturazione" coi padri Monchanin e Le Saux... La sua scoperta dell'India, a radunare centinaia di migliaia di studenti cattolici. Le ferite dei duecentomila rifugiati della frontiera cambogiana e l'incredibile coraggio dei giovani costruttori indiani per un'India senza discriminazione di casta o di ricchezza. Infine il sorriso dei suoi 25.000 bambini di strada di cui oggi si occupa con amore.
Il 9 luglio 1989 un somalo spara un colpo al cuore di monsignor Salvatore Colombo, vescovo di Mogadiscio che muore in poche ore. Dopo quasi 17 anni le domande circa l'omicidio rimangono aperte. Omicidio a sfondo religioso? Omicidio collegato a interessi di ordine economico? Difficile rispondere. Monsignor Colombo era l'emblema di una nuova presenza cristiana in Somalia, un Paese al 99% musulmano, e di una Chiesa che aveva scelto di farsi conoscere per le opere caritative. Il suo stile pastorale era noto: sincerità e rispetto sia nei confronti delle autorità somale, sia nei confronti della gente comune; grande distacco nel gestire gli aiuti provenienti dall'estero e destinati alla popolazione che beneficiava del suo aiuto.