Il dialogo tra le religioni ha bisogno di profeti e tale è stato il domenicano Marcel-Jacques Dubois. Intellettuale e teologo, testimone e pastore, ha costruito ponti di conoscenza e di stima reciproca tra ebrei e cristiani in Terra Santa e non solo. Ancora oggi, a dieci anni dalla sua scomparsa, la sua opera è essenziale alla creazione di un rapporto duraturo e fecondo tra le due religioni sorelle. In queste pagine preziose, Dubois ci offre la sua personale chiave di lettura per provare a decifrare il "mistero di Israele": popolo "eletto", prescelto da Dio e per questo segnato anche da una grande responsabilità; e tuttavia un popolo dal rapporto spesso conflittuale con Lui. Un popolo che ha spesso pagato a caro prezzo il suo "privilegio", ma che non ha mai rinnegato la propria identità. Dubois traccia un profilo preciso e sintetico della spiritualità ebraica, con la perizia dello studioso e con la passione dell'osservatore coinvolto e partecipe. Pochi giorni dopo la sua morte, il quotidiano israeliano Haaretz definì Dubois «una delle affascinanti pietre vive di Gerusalemme».
A 120 anni dal Primo congresso sionista, che segnò la nascita del sionismo politico di Theodor Herzl; a 100 anni dalla Dichiarazione Balfour, che vide il sostegno strategico di Londra; a 70 anni dalla Risoluzione delle Nazioni Unite n. 181, che stabilì la creazione di uno Stato ebraico in Palestina; a 50 anni dalla Guerra dei Sei Giorni, che segnò l'inizio dell'occupazione dei Territori palestinesi dando al sionismo religioso una torsione messianica e determinandone la traiettoria politica dei decenni successivi; a 40 anni dalla vittoria elettorale del sionismo revisionista e dalla sconfitta del sionismo socialista, che aveva dominato la politica israeliana fino ad allora, è possibile fare un bilancio di che cosa sia stato il sionismo o, per meglio dire, i sionismi. Molteplici sono state, infatti, sin dagli inizi le anime di questo movimento, spesso in forte dissenso l'una con l'altra. Il volume delinea una storia dei sionismi, presentandone l'evoluzione dalle origini ad oggi, ricostruendo la genesi e lo sviluppo di ciascuno di essi e mettendo in luce quello che. di volta involta, è diventato dominante e ha dunque potuto mettere in pratica la propria visione.
Conosciamo di Pierre Lévy gli scritti teorici, ispirati alle tecnologie digitali dell’informazione e alla cibercultura. Con Il fuoco liberatore affronta, attraverso la propria esperienza, il tema della trasformazione interiore, ripercorrendo il cammino della Qabbalah e gli insegnamenti buddhisti e di altre tradizioni spirituali. Dalla freddezza delle tecnologie digitali la scrittura di Lévy si sposta verso il tema della mente emozionale e costruisce così un percorso, luminosamente geometrico, verso la scoperta di sé.
“All’età di dieci anni andavo a scuola con la chiave di casa, perché tornavo prima dei miei genitori, che a volte lavorava- no fino a tardi. Una sera d’inverno, arrivato davanti alla por- ta di casa, cercai la chiave senza trovarla. La casa era isolata. Scendeva la notte. Non avevo la chiave. Aspettai davanti alla porta. Un’ora, due ore, tre ore. I miei genitori non tornava- no. Iniziai a pensare che non sarebbero mai piú tornati. Mi misi a piangere. Mi sentivo molto solo, abbandonato, esiliato, sventurato. Alla fine arrivarono i miei genitori.
“Perché piangi? mi chiesero; siccome abbiamo visto che ave- vi dimenticato la chiave, abbiamo lasciato apposta la porta aperta”. Spinsi la porta. Era aperta. Non mi era nemmeno passato per la testa di provare ad aprirla senza la chiave. Volevo raccontarti questa storia prima di cominciare, per dirti che so che tu non hai la chiave. Nessuno ha la chiave. Nessuno l’ha mai avuta. La chiave non serve. La porta è aperta. Entra in casa tua.”
— Pierre Lévy, dalla quarta di copertina
L'ignoranza genera mostri, e il pregiudizio può produrre gravi danni alla convivenza civile. Giulia Mafai ha deciso di raccogliere questa sfida proponendo un percorso di conoscenza storica ed antropologica. Sicuramente gastronomica. Immaginando di sedere a tavola con il giovane nipote Elia, al quale propone prelibatezze della tradizione ebraica in una trattoria nel Ghetto di Roma, decide di raccontargli le vicende della plurimillenaria comunità romana. Lo fa scegliendo un registro linguistico colloquiale di grande effetto. (GLV) Si dice che Dio creò l'uomo perché gli piaceva ascoltare delle storie, dei racconti, e agli ebrei piace molto raccontare. Tutto in fondo nasce circa cinquemila anni fa dalla più grande e meravigliosa raccolta di storie: la Bibbia. Le disgrazie sono tante, la vita difficile, il tempo lento a passare ma bisogna andare avanti, stare insieme, parlare, discutere, litigare, convivere, tenersi compagnia. Si dice che due ebrei hanno tre opinioni e sono dei gran chiacchieroni, almeno fino a quando non è stata scoperta la televisione e internet, e molti di loro ne sono stati distratti. (GM)
Il libro raccoglie le testimonianze di tre persone che vivono concretamente il dialogo interreligioso e interculturale mostrando che è possibile superare le molte ristrettezze solitamente prevalenti attorno a questo tema. Il valore di queste pagine attinge all'esperienza viva e sofferta di donne e uomini in carne e ossa, paradossale e contraddittoria, com'è normalmente la vita di ognuno. Dalle loro voci emerge qualcosa di nuovo. È un viaggio arduo e complesso che ha nel suo orizzonte un possibile riavvicinamento e lascia spazio alla speranza. Shalom, Salam, Pace.
Elia Benamozegh (Livorno 1823-1900) è uno dei più importanti maestri dell'ebraismo sefardita e italiano. Biblista, talmudista, cabbalista, filosofo della religione, egli è anche uno dei precursori del dialogo ebraico-cristiano. Le sue opere possono costituire un'introduzione alla tradizione vivente d'Israele, per la quale la Torah scritta è inseparabile dalla Torah orale. Profondo convincimento di Rav Benamozegh era che proprio la Torah sarebbe diventata il luogo d'incontro tra ebrei e cristiani.
Al Concilio Vaticano II il documento Nostra Aetate decretò il superamento dei presupposti dottrinali sui rapporti con l'ebraismo, le cui radici affondavano nella più antica tradizione cristiana. Con questa ricerca si è inteso contribuire alla comprensione dei fattori che indussero i vescovi riuniti in Concilio ad abbandonare ufficialmente la dottrina tradizionale sugli ebrei e sull'ebraismo postbiblico. A tal fine si è preso in esame, in particolare, l'apporto fornito da un piccolo gruppo di teologi di lingua tedesca, quasi tutti di origine ebraica. (Prefazione di Piero Stefani)
Il testo della dichiarazione Nostra aetate § 4. Prospetto sinottico della terza e della quarta (definitiva) redazione. La Dichiarazione giorno per giorno: un iter complesso e contrastato. Ebrei ed ebraismo ne La Civiltà Cattolica del dopoguerra (1946-1961).
Fra ebraismo e cristianesimo c'è una convergenza di fondo, inseparabile certo dalla loro diversità, eppure tale da motivare la loro ineliminabile coappartenenza e la consistenza dell'apporto che la tradizione ebraico-cristiana nel suo insieme ha dato alla storia culturale e religiosa dell'umanità. La singolarità di quest'apporto sta nella testimonianza che entrambi, ebraismo e cristianesimo, rendono alla rilevanza dell'Altro, trascendente e vicino, nella vicenda personale e collettiva. Atteso, cercato, accolto, amato, il totalmente Altro - tanto per l'ebraismo quanto per il cristianesimo - è il Dio vivente, che sovverte e salva la vita e la storia quando, pur restando infinito, si fa presente nel finito per comunicarsi alla nostra fragilità. Per il cristiano questa presenza raggiunge il suo vertice nella Parola fatta carne, Gesù, che «è ebreo e lo è per sempre». Conoscere e amare l'ebraismo è perciò, per il cristiano, componente rilevante della conoscenza e dell'amore per il suo Signore e Maestro.
Le letture fondamentaliste dei testi sacri proiettano sul nostro tempo un grave pericolo per la libertà. Gli studi scientifici, da parte loro, omettono il richiamo spirituale che tali testi esercitano. Questo saggio propone una lettura spirituale della Torà secondo la tradizione ebraica che si rivela altrettanto scrupolosa della lettura scientifica e che ne rende eterna la parola perché il suo senso è eternamente rinnovato. Leggere la Torà è un lavoro di interpretazione e nello stesso tempo un coinvolgimento del sé. Si tratta di elevarsi ed elevare il mondo. La Torà ci parla del nostro presente e non offre soluzioni preconfezionate: i versetti parlano al lettore qui e ora, sollecitano la sua intelligenza e il suo cuore a trovare risposte al cui centro vi sia sempre il volto dell’altro.
"Devo questa leggenda a un vecchio mendicante che si chiamava Shmaike. Era uno storpio, ma, per non so quale ragione, lo chiamavamo "Shmaike il lungo". Era davvero strano: se ne stava zitto per tutto l'anno e cominciava a parlare solo durante la settimana che precedeva la Pasqua. Allora raccontava una sola storia - sempre la stessa - che diceva di aver ereditato dalla zio, uno scapolo sfaccendato che nessuno prendeva sul serio. A questo zio la storia era stata narrata dal nonno materno, Rabbi Issachar, un vero studioso, che l'aveva attribuita al suo Maestro, il famoso Rabbi Ephraim, che si diceva avesse posseduto i poteri del Maharal, il celebre rabbino miracoloso di Praga, ma che si fosse rifiutato di usarli per paura di sbagliare...".
«Il semplice fatto che nella sapienza delle sentenze antiche i testi riguardanti un’esperienza di Dio e quelli che riguardano un’esperienza del mondo si mescolino tra di loro senza alcuna regola, parla assolutamente contro l’idea che vi sia una qualche tensione nell’organo della conoscenza. Israele non ha conosciuto affatto l’impasse in cui noi ci troviamo alla lettura di questi testi. La sua grandezza consiste forse in questo, nel non aver separato la fede dalla conoscenza: le esperienze del mondo erano sempre per lui esperienze di Dio e le esperienze di Dio esperienze del mondo».
Gerhard von Rad, eminente esegeta dell’Antico Testamento, nella sua vasta produzione si è generalmente occupato dello studio delle tradizioni storiche di Israele. In questo ultimo e grande lavoro si è concentrato invece sulle tradizioni sapienziali della Bibbia mosso dall’esigenza di risolvere un’aporia fondamentale dell’esegesi veterotestamentaria: quella tra creazione e storia, tra mondo e salvezza, tra ragione e fede.
Gerhard von Rad (Norimberga 1901 - Heidelberg 1971), teologo protestante e biblista, ha insegnato alle Università di Jena (1934), Göttingen (1945) e Heidelberg (dal 1950). La sua opera più importante è Teologia dell’Antico Testamento (Theologie des Alten Testaments, 2 voll., 1957-60, trad. it. Paideia, 1972-74). Tra le altre opere sono state tradotte: Il sacrificio di Abramo (Morcelliana, 2009), Genesi (Paideia, 2000), Scritti sul Vecchio Testamento (Jaca Book, 1984).