Nei tempi antichi i problemi venivano risolti con la forza. La cultura politica, e in particolare quella occidentale, ha reso possibile un modo migliore di trovare soluzioni. L'attività politica è in certo senso una lotta, in cui gli avversari difendono la propria visione, ma è una lotta civile e nobile, molto diversa da una rissa di strada. Alcune tendenze del panorama politico attuale suggeriscono l'utilità di offrire un contributo, per quanto modesto, che mostri la possibilità di inquadrare il concorso politico in un orizzonte più alto, ispirato al rispetto della libertà e alla promozione della responsabilità per il benessere generale. Questo libro è un'esposizione sintetica delle questioni fondamentali dell'etica politica. Sono domande che portano a riflettere su cosa si debba intendere per libertà, democrazia, costituzionalismo, diritto, solidarietà, giustizia sociale, economia politica, buon governo, ecc. Esse non costituiscono una trattazione diretta dei problemi che più ci preoccupano oggi e di cui parlano i giornali ogni giorno, ma sono la base della cultura politica necessaria per affrontare bene questi problemi e per dare loro una soluzione equilibrata con il contributo di tutti.
Sono un centinaio, e quasi tutti sconosciuti. Eppure scrivono le leggi che regolano le nostre vite e decretano come applicarle. Sono al vertice dei ministeri, dove a volte contano più degli stessi ministri. Le loro sentenze possono cambiare i destini di interi settori dell'economia nazionale, invalidare i risultati di un concorso pubblico, far decadere un presidente di Regione, cancellare la nomina di un procuratore della Repubblica. Governano anche la passione più grande degli italiani, il calcio: amministrano infatti la giustizia sportiva, decidono le squalifiche e le vittorie a tavolino, stabiliscono se una squadra si può iscrivere a un campionato. Presiedono i comitati delle grandi aziende commissariate, come l'Alitalia. E sono arbitri nelle liti fra enti pubblici e imprese private, con parcelle a parte. Da tempo immemore rappresentano la scheggia più autoreferenziale e intoccabile della magistratura, la più vicina alla politica. Sono i consiglieri di Stato. Ovvero, il nocciolo duro del potere in Italia. In questa inchiesta Sergio Rizzo svela storie, protagonisti, conflitti d'interesse e retroscena inediti della casta più nascosta e potente del Paese.
Ricostruire la fiducia tra magistrati, politici e cittadini. Circuiti di potere chiusi in sé stessi finiscono per diventare tecnocrazie autoreferenziali che corrodono la democrazia. Ordinamento giuridico e politico confinano: all'arretramento dell'uno corrisponde l'avanzamento dell'altro. La stagione di Mani pulite e delle stragi di Palermo segna l'apice di uno squilibrio tra giustizia e politica i cui antecedenti erano ravvisabili già in precedenza e che vengono ripercorsi nel dialogo tra un osservatore di lungo corso della politica e un protagonista della magistratura prima e della politica poi. Nella crisi susseguitasi a quella destabilizzazione la dimensione del potere ha prevaricato quella del servizio. L'intreccio tra regole confuse, prassi arbitrarie, apatie professionali e insipienze politiche ha generato un inaccettabile disordine normativo che oggi fa barcollare il sistema giudiziario, rendendolo privo di legittimazione. Da qui la necessità di una ricomposizione su cui gli autori, ragionando con ampiezza di scenario, avanzano le proposte necessarie.
L'Ordine Liberale Internazionale è un progetto che intendeva armonizzare la sovranità statale e l'economia di mercato, attraverso la promozione della democrazia liberale all'interno e il sostegno alla cooperazione economica e commerciale sul piano internazionale. A partire dagli anni '80 del secolo scorso, l'OLI è stato dirottato e il potere del mercato ha offuscato la forza della democrazia. L'obiettivo di proteggere le società nazionali dagli shock costituiti dalle guerre e dalle crisi finanziarie si è ribaltato nella difesa fanatica del mercato globale dalle pressioni sociali. Lo squilibrio causato dalla pandemia, il riscaldamento globale, la dilagante disuguaglianza, l'ascesa delle potenze autoritarie, il dramma delle migrazioni e la perdurante minaccia terroristica, sono sfide che possiamo vincere solo a condizione di trovare un diverso equilibrio tra cooperazione e competizione, per rendere solide, inclusive, eque e attraenti le nostre democrazie di mercato.
Abbiamo bisogno di un femminismo che dia la priorità alle vite delle persone. Davvero la massima realizzazione per le donne è quella di arrivare a occupare posti di potere nelle gerarchie delle grandi aziende capitaliste? È quel che ci dice il femminismo liberale, che aspira a rompere il soffitto di cristallo, mentre non si preoccupa affatto delle esigenze della stragrande maggioranza delle donne. Esigenze come la lotta contro lo sfruttamento sul lavoro e i diritti sindacali; il riconoscimento della loro fondamentale funzione di cura dei figli, caricata sulle donne in favore della massimizzazione dei profitti; il diritto alla salute e a un ambiente non inquinato; la lotta contro ogni forma di razzismo e guerra. Oggi che il sistema di valori liberisti è in crisi e stiamo vivendo una nuova ondata femminista internazionale, abbiamo lo spazio per creare un altro femminismo: anticapitalista, antirazzista ed ecosocialista. Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya e Nancy Fraser sono state tra le principali organizzatrici dello sciopero internazionale delle donne negli Stati Uniti.
La situazione della giustizia in Italia è peculiare. Da un lato si assiste a una dilatazione del ruolo dei giudici, dall'altro a una crescente inefficacia del sistema giudiziario. Molti osservatori concordano sul fatto che la magistratura sia diventata parte della governance nazionale; che vi sia una indebita invasione della magistratura nel campo della politica e dell'economia; che in qualche caso la magistratura cerchi persino di prendere il posto della politica, controllando anche i costumi, oltre ai reati, proponendosi finalità palingenetiche delle strutture sociali, stabilendo rapporti diretti con l'opinione pubblica e con i mezzi di comunicazione. In questo contesto, le procure hanno acquisito un posto particolare, tanto che molti esperti parlano di una 'Repubblica dei PM', divenuti un potere a parte, con mezzi propri, che si indirizzano direttamente all'opinione pubblica, avvalendosi della 'favola' dell'obbligatorietà dell'azione penale, utilizzando la cronaca giudiziaria come mezzo di lotta politica e trasformando l'Italia in una 'Repubblica giudiziaria'.
A un anno dall'improvvisa scomparsa del Professor Giuseppe Dalla Torre, non pochi hanno ripercorso i suoi prestigiosi incarichi nell'Università, nella comunità accademica italiana e internazionale, nella Curia romana e nello Stato della Città del Vaticano, e ne hanno ricordato le qualità intellettuali e umane nonché la sterminata produzione scientifica. C'è tuttavia un profilo della sua versatile personalità che forse è rimasto in ombra: quello legato alla sua attività giornalistica, invero assai protratta e fertilissima. Probabilmente a causa del pregiudizio per il quale scrivere sui giornali o interfacciarsi con i mass media, per l'approccio più semplice e divulgativo con cui le materie vengono affrontate, rientri in una sorta di dimessa 'arte minore' cui i docenti si dedicano a tempo perso: quasi un leggero diversivo rispetto alla più scrupolosa e severa stesura di testi rigorosamente scientifici. Per converso Giuseppe Dalla Torre, sin dalla giovinezza, mai ha disdegnato di applicarsi all'elaborazione di articoli giornalistici, in particolare per il quotidiano Avvenire: scendendo dalla cattedra universitaria e rivolgendosi con immediatezza al lettore della testata di ispirazione cattolica, per illustrare, con linearità logica e chiarezza concettuale, l'autentica sostanza dei problemi trattati in tutti i loro risvolti, specie giuridici, più controversi. Attraverso la lettura di questi articoli su argomenti quanto mai eterogenei - sintetici e quasi lapidari, come postulato dal genere letterario - emerge l'avvincente itinerario ultratrentennale della vivace militanza, nella compagine ecclesiale e nella società civile, di un giurista cattolico che non ha mai, anche nelle condizioni di più aspro scontro su differenti fronti, abdicato al suo munus - diremmo canonisticamente - genuinamente laicale di animazione cristiana delle realtà temporali, secondo il magistero più vivido del Vaticano II. Il volume, riproponendo molti di tali interventi e corredandoli di brevi analisi di suoi allievi, diretti e indiretti, auspica di dar conto di questo aspetto sinora poco indagato, e invece così pregnante, della sua opera.
«L'acuta analisi di Zagrebelsky non ha timore di confrontarsi con dilemmi e incertezze legate alla difficile arte del maestro» (Enzo Bianchi). «Mai più maestri!» si leggeva nel '68 sui muri di Parigi; un motto antiautoritario ed egualitario che riassumeva il sogno di una società più libera. E oggi, esistono ancora i maestri? Nella nostra democrazia, che appiattisce l'alto sul basso, sembra esserci posto solo per influencer, comunicatori e tutor che rassicurano e consolano, e non per guide dello spirito capaci di risvegliare le coscienze. Ma senza maestri si è condannati al pensiero unico e all'omologazione. Senza di loro chi susciterà l'inquietudine del dubbio, chi ci indicherà «l'altrimenti», chi smuoverà energie vitali e liberatorie verso il nuovo? Figure anacronistiche allora, ma necessarie ovunque rinascano una domanda di senso e una esigenza di ethos.
I fenomeni climatici estremi e il corona virus con i suoi effetti sul rapporto tra gli Stati e l'economia globale ma anche la fine dell'inflazione e la resistenza del sovranismo: sono questi i temi che aggiornano e il saggio di Giulio Tremonti sul grande disordine che oggi investe le nostre vite. L'autore prende spunto da tre profezie che emergono dal profondo della storia. Quella di Marx sulla deriva del capitalismo globale, la previsione del Faust di Goethe sul potere mefistofelico del denaro e del mondo digitale, infine l'intuizione di Leopardi sulla crisi di una civiltà che diviene cosmopolita. Tre chiavi di lettura che l'autore, testimone diretto di tanti «misteri» della storia recente, intreccia con la personale esperienza di studioso e di protagonista della politica. La storia, che doveva essere finita, sta tornando con il carico degli interessi arretrati e la giovane «talpa» del populismo sta scavando il terreno su cui, appena caduto il muro di Berlino, è stata costruita l'utopia della globalizzazione. Oggi sembra di essere tornati agli anni '20 di Weimar, in una società stravolta e incubatrice di virus politici estremi.
Gennaio 2021: arriva in libreria Il Sistema, il dirompente libro-confessione in cui Luca Palamara rivela ad Alessandro Sallusti la verità indicibile sulle correnti e la spartizione del potere all'interno della magistratura. Il libro avvia una reazione a catena di dimissioni, ricorsi, sentenze che non fa che confermare il racconto di Palamara. Gennaio 2022: l'ex magistrato e il giornalista affrontano i misteri del "dark web" del Sistema, la ragnatela oscura di logge e lobby che da sempre avviluppa imprenditori, faccendieri, politici, alti funzionari statali, uomini delle forze dell'ordine e dei servizi segreti, giornalisti e, naturalmente, magistrati. Logge e lobby che decidono se avviare o affossare indagini e processi e che, come scrive Sallusti, "usano la magistratura e l'informazione per regolare conti, consumare vendette, puntare su obiettivi altrimenti irraggiungibili, fare affari e stabilire nomine propedeutiche ad altre e ancora maggiori utilità. Per cambiare, di fatto, il corso naturale e democratico delle cose". Esiste davvero la "loggia Ungheria", di cui farebbero o avrebbero fatto parte membri del Consiglio superiore della magistratura, imprenditori, generali della Finanza e dei Carabinieri, politici di primissimo piano? Perché, quando un faccendiere ne svela l'esistenza durante una deposizione, quel verbale finisce in un cassetto per due anni? Ancora una volta, le rivelazioni di Palamara e Sallusti smascherano un mondo parallelo dilaniato al suo interno da inconfessabili interessi, che agisce dietro le quinte, su binari di legalità formale, e si infiltra pericolosamente nelle crepe del sistema giudiziario.
Dalla sua nascita, nel 1948, lo Stato d'Israele è costantemente al centro dei conflitti nel Medio Oriente e della politica internazionale. Il confronto con la comunità palestinese, che continua a insanguinare questa terra, spinge moltissimi a schierarsi pro o contro, senza provare a comprendere le effettive ragioni di quanto sta avvenendo. Partiamo allora da alcuni passaggi nodali, nella demografia, nell'economia e nella geografia, per conoscere meglio la storia di un paese estremamente complesso, vivace e differenziato, attraverso le sue tante trasformazioni. Così facendo, questo libro identifica gli elementi più importanti dei cambiamenti d'Israele e fornisce al lettore le chiavi fondamentali per interpretarne le recenti evoluzioni.
A dar peso geopolitico al contributo cooperativo al mondo multipolare della globalizzazione che può dare l'Europa, abbiamo bisogno dell'utopia che lo spazio della civilizzazione cristiana ritrovi sulla scena del mondo la sua ecumene, non solo spirituale, ma politica e culturale. Molto può fare la differenza europea, che questo spazio ha generato, custodita nella cattolicità romana a resistere da un lato all'individualismo mercatorio di stampo anglosassone e dall'altro all'interpretazione lasca dei valori di democrazia liberale in molte aree della civilizzazione cristiana latina o ortodossa. Solo un'ecumene cristiana come spazio-geopolitico - dalla Russia alle Americhe, dall'Europa alle pertinenze cristiane dell'espansione europea - potrà porsi al servizio dell'ecumene umana in cooperazione con gli altri grandi spazi spirituali che si sono fatti nazioni, istituzioni, spazi geopolitici, civilizzazioni: dall'Islam al Confucianesimo, all'Induismo. A indicare la via del cosmopolitismo oggi possibile: Fratelli tutti.