C'era una volta la metafisica, regina delle scienze. Dall'alto della sua autorevolezza dispensava principi e metodo, certezze scientifiche e rigore di ricerca alle altre scienze. Il suo primato durò a lungo: da Platone a Aristotele, dall'età ellenistica e romana fino al medioevo, raggiungendo il suo vertice con l'actus essendi di Tommaso d'Aquino. Ma già con Tommaso, e soprattutto con Enrico di Gand, Scoto, Ockham, iniziarono i problemi. Prima è emerso il soggetto con la mutevolezza della soggettività, che si oppone alla certezza immutabile dell'oggetto. E questo emergere del soggetto, attraverso il cogito ergo sum di Cartesio, ha condotto ad affermare la soggettività assoluta dell'Idealismo. Poi, è stata la crisi dell'oggetto della metafisica: la caduta degli astri dalla fisica ha segnato la mancanza di un ponte per il passaggio "scientifico" dalla fisica alla metafisica e a Dio. Mentre la riduzione dell'essere da predicato reale a pensato-possibile (Kant, Leibniz, Wolff...) toglieva alla metafisica la concretezza di scienza del reale, riducendola a parte della logica. Heidegger ha riproposto con forza il problema dell'essere nei termini radicali della differenza ontologica - cioè della distinzione tra l'essere e l'essente -, e come problema dell'uomo e per l'uomo, da ripensare passando attraverso l'uomo: analisi ontologica della soggettività, che a sua volta permettesse di rifondare la metafisica (ontologia fondamentale).
Considerato a ragione uno dei filosofi più rilevanti del Novecento, Franz Rosenzweig ha assunto un rilievo fondamentale nel pensiero ebraico, contribuendo a ridisegnare la fisionomia identitaria del popolo ebraico, dopo l'orrore di Auschwitz.
Le sue riflessioni infatti risultano anche determinanti per la riflessione sul senso della storia a cui è stata consegnata una promessa eterna, sul significato dell'alterità come sfida dialogica e interreligiosa, sulla dimensione della formazione delle nuove generazioni, quale necessario supporto all'umanesimo europeo. Inoltre tali elementi, lungi dall'essere situati soltanto all'interno dell'ebraismo contemporaneo, sono in grado di offrire notevoli provocazioni alla filosofia occidentale, estenuata da logiche cognitive, svuotar da riferimenti valoriali e gettata su derive nichiliste
La metafisica sembra non trovare casa nelle coscienze e nelle società moderne, che la vedono come un’eterea e inattuale sovrastruttura sovrapposta alla sola vera realtà, quella di cui le scienze ci forniscono una conoscenza sempre più esatta. L’unica base reale, si dice, è la natura, sulla quale è possibile edificare un’unica struttura: la società umana, cioè l’associazione degli uomini secondo regole che permettano lo sviluppo di tutti. Il resto è solo sovrastruttura di pensiero.
Questa convinzione diffusa, che si vanta di aver fatto pulizia di tanto sterile ragionare, viene qui affrontata e smentita dal filosofo francese Rémi Brague, il quale dimostra che al contrario, oggi più che mai, l’uomo è, per dirla con Schopenhauer, un «animale metafisico». Argo - menta infatti Brague che tanto la conoscenza della natura quanto l’organizzazione degli uomini in una società vitale e vivibile presuppongono l’esistenza stessa della collettività umana. E questa esistenza non è affatto scontata, soprattutto oggi che gli uomini sono sempre più in grado, per le conquiste scientifiche e tecnologiche, di scegliere di essere o di non essere, e anche di dare o non dare la vita.
Perché si deve volere l’essere? Perché scegliere la vita, il benessere sociale, il progresso? Queste sono, senza dubbio, domande cruciali per l’uomo moderno, e la risposta ad esse è squisitamente metafisica. Amare la vita, battersi per un’esistenza equa vuol dire, alla radice, pensare che l’essere è bene: l’equazione metafisica fondamentale. Da essa, ci ricorda Brague, dipende tutto quello che più ci sta a cuore: la costruzione di una società giusta, la conservazione di un ambiente vivibile, la volontà di dare la vita. In una parola, la convinzione che il futuro dell’umanità vale la pena.
La metafisica, dunque, non è affatto un’inutile costruzione ormai in disarmo, ma la radice stessa delle nostre scelte concrete; non una sovrastruttura superflua, ma l’infrastruttura indispensabile alla continuazione della vita degli uomini.
Queste le illuminanti parole con cui Brague chiude il suo scritto: «In un dialogo di Platone un personaggio dice che l’uomo è come un albero capovolto le cui radici stanno in alto. Forse come lontana eco di quest’immagine di Platone, più di due millenni dopo di lui, Antoine de Rivarol ha scritto: “Ogni Stato è un vascello misterioso le cui ancore sono in cielo”. Poco importa il contesto, in questo caso una difesa degli antichi regimi e del principio religioso della loro legittimazione. Oltrepas - siamo il limite dell’ambito politico. E arrischiamo: per ogni uomo, le ancore sono nel cielo. È in alto che bisogna cercare quello che ci salva dal naufragio».
Rémi Brague, membro dell’Institut de France, insegna Filosofia alla Sorbona di Parigi e all’Università Ludwig-Maximilians di Monaco. Autore di numerosi saggi, in Italia è noto soprattutto per il volume Il futuro dell’Occidente. Nel modello romano la salvezza dell’Europa (1998). Tra le altre sue opere tradotte: La saggezza del mondo. Storia dell’esperienza umana dell’universo (2005); Il Dio dei cristiani: l’unico Dio? (2009)
Oggetto di un acceso dibattito fin dall'antichità, il significato ed il ruolo della "phantasia" secondo Aristotele continuano ad appassionare e a dividere anche i commentatori contemporanei, come attesta il gran numero di contributi dedicati al problema. Dopo un'analisi preliminare dello status quaestionis e una rassegna delle principali posizioni interpretative emerse, questo testo si propone di rispondere alle domande relative all'esistenza o meno di una teoria unificata, alle complesse ricadute sia nella psicologia, sia in altri settori del sistema aristotelico e della successiva ricerca peripatetica, e, soprattutto, alla possibilità di attribuire un valore essenzialmente epistemologico alla "phantasia" attraverso il ricorso allo schema della metafora per analogia. Questo permetterebbe d'intendere l'accezione di base della "phantasia", vale a dire quella collegata al "presentarsi" alla percezione, come non equivoca, bensì fondante gli altri differenti utilizzi, coinvolti nell'ambito della rappresentazione mentale e del pensiero; così, l'uso improprio o cosiddetto "metaforico" sarebbe il risultato di un trasferimento di significato da quello proprio o "non metaforico". Una nozione della "phantasia" che "si dice in molti sensi" diventa dunque il punto di partenza della ricomposizione all'interno di una cornice teorica coerente ed organica, sulla base di un significato fondamentale comune. Prefazione di Marcello Zanatta
Il "Corso di filosofia in sei ore e un quarto" (1969) è una personalissima rivisitazione dello scrittore polacco Witold Gombrowicz delle varie correnti del pensiero moderno e contemporaneo. Il suo obiettivo è ricostruire una sorta di "genealogia dell'esistenzialismo", perché, alla fine dei suoi giorni, era giunto alla conclusione che la filosofia servisse a poco (o meglio: non servisse alla vita) e aveva accentuato la propria avversione verso il pensiero astratto: "L'eccesso di rispetto per la verità scientifica ha offuscato la nostra propria verità - e abbiamo dimenticato, mossi dal desiderio troppo ardente di capire la realtà, di non essere destinati a capire, bensì e soltanto a esprimere la realtà. (...) Noi non ci realizziamo nella sfera dei concetti, bensì in quella delle persone. Siamo e dobbiamo rimanere persone, la nostra parte consiste nel far risuonare la viva parola umana nel mondo che si fa sempre più astratto." Le "lezioni di filosofia" di Gombrowicz. hanno il tono di una ricapitolazione del pensiero altrui e del proprio. O meglio: del proprio pensiero attraverso quello degli altri. E sono pagine cariche di umorismo e di brillanti intuizioni." (Francesco M. Cataluccio). Postfazione di Vittorio Sgarbi
Questo volume di Figal costituisce uno dei più significativi contributi dati negli ultimi anni allo sviluppo della tradizione filosofica ermenutico-fenomenologica.
L'etica, o filosofia morale, ha origine da domande apparentemente semplici: che cosa rende giuste le buone azioni e ingiuste quelle cattive? Perché la morte è qualcosa di cui avere paura? In cosa consiste la felicità? Sono domande che ci sorgono spontanee nel corso della vita, e alle quali crediamo di poter dare facilmente risposta; ma più ci pensiamo, più ci rendiamo conto che ogni risposta è insoddisfacente e ci porta a nuove domande. In questo modo nasce la riflessione filosofica. Questo libro esamina le questioni centrali dell'etica attraverso uno studio delle principali teorie morali proposte nella storia della filosofia occidentale. Ciascuna teoria viene presentata nelle sue linee fondamentali e negli sviluppi contemporanei; la presentazione procede attraverso l'argomentazione e la discussione critica delle diverse posizioni, così da offrire al lettore non solo un'utile introduzione all'etica, ma anche un'illustrazione del modo in cui viene intrapresa l'indagine filosofica.
Mito e modernità: un rapporto da sempre conflittuale e affascinante. Lo studio evidenzia la genesi e lo sviluppo di tale nozione in F.W.J. Schelling.
Nella direzione di una rivalutazione critica delle testimonianze degli eresiologi cristiani sullo Gnosticismo, l'autore ricostruisce la dottrina gnostica di Valentino e di alcuni suoi continuatori, offrendo un'ampia ed articolata analisi storico-religiosa di una delle più importanti e problematiche fonti indirette valentiniane, la "Grande Notizia", cioè i primi otto capitoli dell' "Adversus Haereses" di Ireneo di Lione. Di essa restituisce per la prima volta il testo originale greco, trasmesso da Epifanio e finora filologicamente subordinato all'antica traduzione latina. A supporto, in forma sinottica, è posta la versione fornita per lunghi tratti dall'"Adversus Valentinianos" di Tertulliano. Lo studio delle modalità di composizione ha permesso di individuare il ricorso ad una sorta di tecnica "ad intarsio", che rende difficile una netta distinzione tra le fonti. Alcune di esse, risalenti al periodo romano di Ireneo (153-170 circa), sono costituite dalla più antica interpretazione del "Prologo" del Vangelo di Giovanni e da un testo utilizzato anche da Clemente di Alessandria per gli "Excerpta ex Theodoto". La nascita e la diffusione della dottrina di Valentino sono collocate all'interno di una fase particolarmente complessa dello sviluppo del primo Cristianesimo: attorno alla metà del II secolo, infatti, a Roma nell'ambito della Grande Chiesa si andava articolando la distinzione fra eresia e ortodossia. Prefazione di Giulia Sfameni Gasparro
Le storie di Sir Arthur Conan Doyle parlano del detective Sherlock Holmes, e II signore degli anelli di Tolkien parla di Gandalf. Naturalmente, Doyle e Tolkien non ci dicono mai che Holmes e Gandalf non esistono e, nelle storie che li descrivono, il detective e lo stregone hanno l'aria di essere molto, molto esistenti: affrontano avventure, rischiano la propria vita e alla fine hanno successo sui malvagi avversari; tutte cose che difficilmente un oggetto inesistente potrebbe fare, visto che, appunto, non esiste. Ma a non esistere non sono solo le cose che popolano il mondo letterario. Molte altre cose, pur essendo esistite in passato, ora non esistono più: Giulio Cesare, Leonardo da Vinci, Napoleone, George Washington, Michael Jackson, tutti i nostri cari estinti. E tutti loro, pur non esistendo più alla data di oggi, conservano ancora la qualifica di oggetti: sono, oggi che non esistono, portatori di proprietà, e rendono vere certe affermazioni. Il problema delle cose che non esistono è strettamente intrecciato col problema del senso del verbo "esiste", e di altre espressioni connesse con la questione di cosa stiamo dicendo quando facciamo affermazioni come: "Vulcano non esiste", "Nettuno esiste", o di cosa voglia dire l'espressione "c'è" in frasi come: "C'è un cerchio quadrato sulla mia t-shirt" o "Laura non c'è". Questo libro vuole mostrare che l'esistenza non è affatto una faccenda puramente logica
Cos'è la giustizia e il giusto, se e perché dobbiamo essere giusti, il rapporto fra utilità e giustizia: sono quesiti fondamentali già a partire dall'antichità con le riflessioni di Platone e Aristotele. Dopo di loro, la riflessione di Hobbes, Locke, Hume, Rousseau e Kant arriva a inquadrare il problema della giustizia all'interno della discussione pubblica in politica. Nel XIX secolo Marx pone la questione che le riflessioni su questo tema siano in stretta relazione con la capacità della giustizia di soddisfare fini e aspettative sociali. Infine nel XX secolo filosofi come Hayek e Rawls elaborano diverse ipotesi nell'ambito della teoria politica e arrivano a conclusioni teoriche ancora oggi dibattute
Oggi, non si può negare che l'uomo contemporaneo, nonostante sia un animale metafisico, non trova più senso nell'interrogarsi sull'"essere" e se lo fa, è perché lo incentra sull'autosufficienza della conoscenza. Di fatto, dalla prospettiva della nostra attuale cultura post-kantiana, che tende ad apprezzare in forma quasi esclusiva l'utilità pratica, viene facile porsi le domande: perché la metafisica? All'uomo serve ancora? Gli è utile di fronte alle nuove, moderne tecnologie? Nel rispondere, vogliamo ricordare che gli operai del pensiero sono i segreti costruttori della storia. Ogni crisi storica, in fondo, è metafisica. Le stesse crisi economiche tradiscono la loro origine metafisica: nascono, infatti, (anche) da un'errata concezione dell'uomo. Si pensi, per esempio, alla grande crisi provocata dal liberalismo del secolo scorso che ha originato il socialismo. Aveva ragione Nietzsche: "Non è intorno a chi inventa strepito nuovo, ma intorno a chi inventa nuovi valori che silenziosamente gira il mondo". In questo volume, l'autore, usando un linguaggio semplice, tenta di spiegare all'uomo di oggi le ragioni di essere della metafisica quale generatrice di umanità giacché collabora alla crescita della persona umana proprio come persona.