Come spiegare la spiccata genialità di Goethe, mirabile poeta e drammaturgo, scienziato ingegnoso e autorevole uomo di stato? Uno sguardo immaginifico sui suoi scritti, sulla sua vita e le relazioni intessute con altri – soprattutto con donne – non si limita a metterne in risalto il genio creativo, bensì aiuta a scoprirne la personalità, e insieme le sofferenze e le forti passioni che lo hanno accompagnato. Con questo ritratto, originale per la specificità dell’approccio prescelto, Rainer M. Holm- Hadulla sottolinea la stretta relazione tra il superamento di conflitti psichici e lo svolgimento di attività creative.
Rainer M. Holm-Hadulla, psichiatra, psicoterapeuta e psicoanalista, è attivo nella ricerca sulla creatività. Insegna presso l’Università di Heidelberg e dirige il servizio di consulenza psicosociale dell’ateneo. Fellow in diversi centri di studi interdisciplinari, è Visiting professor in varie università dell’America Latina e della Cina. Tra i suoi libri: The art of counselling and psychotherapy (2004), Kreativität. Konzept und Lebensstil (20103), Kreativität zwischen Schöpfung und Zerstörung (2011), Integrative Psychotherapie (2015). Questo è il suo primo libro in italiano.
Antonio Staude, traduttore di poesia e saggistica tra il tedesco e l’italiano, nonché autore di saggi sulla cultura letteraria e teatrale. Impartisce corsi di lingua e cultura italiana a Mannheim, collabora all’ufficio editoriale del festival belcantistico Rossini in Wildbad ed è giurato del concorso internazionale di poesia e teatro Castello di Duino.
I libri sono un'arca di Noè: galleggiano sulle onde del tempo, non affondano, ciò che sta a bordo forse si salva. Scriverli - ed è l'idea di letteratura che attraversa queste pagine - è un po' come preservare le storie dalla dispersione, proteggerle dal rischio che vadano perdute, consegnarle a chi verrà. Lo scrittore è Noè: raccoglie gli animali, li colloca nella stiva, si occupa di loro. La letteratura però non si limita a custodire. La navigazione prima o poi termina, l'arca da qualche parte si ferma e il viaggio prosegue a piedi, sulle orme di Mose che ha prestato ascolto a voci di un altrove. Come Mose, lo scrittore cammina dentro una geografia, intuisce la direzione del vento, intravede la terra dove arrivare. Magari non ce la farà a piazzare le tende, ma il popolo che lo segue potrà essere libero.
I "dàimon" per i filosofi greci erano gli esseri superiori, a metà strada fra il divino e l'umano; per Bloom sono gli scrittori dotati di un'intensità tale da elevarli verso il sovrasensibile: Whitman, Melville, Emerson, Dickinson, Hawthorne, James, Twain, Frost, Stevens, Eliot, Faulkner e Crane. Ritroviamo un'idea di letteratura esigente, idiosincratica, che è sempre anche una "guerra del gusto". Ma quando Bloom spiega perché l'amore per un poeta non si può spiegare, o perché Whitman gli ha letteralmente salvato la pelle, è chiaro che il merito principale di questo libro è di regalare ancora una volta il racconto di un'esperienza di lettura unica, non tanto diversa dalla vita, che fa corpo con la vita.
Quando concepì Dante la stesura della Commedia? Davvero gli ultimi tredici canti del Paradiso erano andati perduti? Qual era la reale visione politica dell'autore? Chi era Beatrice? Perché il sommo poeta si sentiva investito di una missione? L'indagine di Fighera risponde a tante domande e curiosità. Soprattutto, però, una domanda attraversa il libro: perché dovremmo leggere la Commedia a settecento anni dalla sua composizione? Tradotta in tutte le lingue del mondo, essa è apprezzata ovunque. Eppure i dati sullo studio del capolavoro dantesco nelle scuole superiori e nelle università in Italia denunciano già un grave abbandono, a fronte di un interesse da parte del pubblico che non è mai scemato in questi anni. Per questo c'è la necessità di un testo come "Tre giorni all'Inferno" che permetta di affrontare l'intero percorso di Dante (dalla selva oscura alla visione delle stelle dell'emisfero australe) con un'attenzione ai versi del capolavoro, ma, nel contempo, con uno sguardo vivo al significato esistenziale del viaggio che l'autore ci suggerisce di affrontare, oggi, con lui.
Il volume prende in esame il dialogo dell’autore con i gesuiti sul Santo (1905) di Antonio Fogazzaro. Contestualizzati il romanziere e la sua opera, vengono commentati gli articoli della «Civiltà Cattolica» sul Santo. Si scopre così che la confutazione del romanzo fu imposta da Pio X e che i gesuiti cercarono di squalificare Fogazzaro, ritenendolo ignorante in teologia e accusandolo di gravi errori. Il protagonista, Benedetto, venne descritto come un paranoico e Il Santo considerata un’opera funesta. Dopo questa ultradecennale polemica, i gesuiti (e la Chiesa) intendono ora, invece, riconsiderare il Fogazzaro alla luce delle idee innovative del Concilio Vaticano II, alcune delle quali erano presenti in nuce nel Santo.
"Questo libro raccoglie una serie di studi scritti in diverse occasioni ed è dominato da una sola idea fissa. Inoltre questa idea non è la mia, ma di Gramsci. L'idea fissa, che giustifica anche il titolo, è la seguente: 'mi pare che si possa affermare che molta sedicente superumanità nicciana ha come origine e modello dottrinale non Zarathustra, ma il Conte di Montecristo di A. Dumas '(A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale, III, "Letteratura popolare")." Un viaggio fra vari miti della narrativa popolare (dal Conte di Montecristo al Corsaro nero, fino a James Bond), per capire - accompagnati dallo sguardo di Eco - come le ideologie si annidino nei prodotti pop che sembrano più banali, e meno politicamente impegnati. Una delle lezioni più felici di Eco, tra intrattenimento, riflessione sociologica e rigorosa analisi narrativa.
Il volume affronta un tema ancora poco studiato nella pur sterminata bibliografia dantesca: le conoscenze giuridiche del Poeta e la loro presenza nella sua opera, in particolare nella Commedia. Non vi è dubbio, infatti, che il fitto intreccio tra sapere giuridico, teologico e filosofico sia il milieu culturale in cui nasce la Commedia e tanta poesia romanza delle origini; ma mentre gli ultimi due aspetti sono stati largamente indagati, quello dei riferimenti giuridici danteschi ha incominciato solo da poco a essere oggetto di ricerche approfondite. I saggi qui riuniti offrono una originale rilettura di Dante e della sua opera alla luce della tradizione giuridica antica e medievale, da Cicerone (cui è dedicata tutta una parte del libro) a Bartolo di Sassoferrato, senza trascurare la sua ricezione presso i commentatori antichi e nell'arte figurativa.
Nel caso di Sciascia, che rivendicava il diritto di essere "saggista nel racconto e narratore nel saggio", le etichette, si sa, funzionano male, mostrano tutti i loro limiti: saggistica e fiction, anzitutto. Ma anche all'interno di una categoria in apparenza inscalfibile come quella qui utilizzata per il sottotitolo, i conti alla fine non tornano, e il cartellino, pur necessario, appare riduttivo. Perché la sorprendente vastità delle letture di Sciascia (sono qui radunati interventi sul Furioso di Ariosto e l'Ulisse di Joyce, su E.M. Forster e Lawrence Durrell, su Ivo Andric e Calvino, su Montale e Bufalino, per non citarne che alcuni), ma soprattutto la mobilità del suo pensiero e l'incrollabile certezza che la letteratura può decifrare la realtà fanno sì che ogni saggio sia un luogo della libertà, un porto franco dell'intelligenza, una scena sulla quale si materializzano figure, temi, tempi del tutto imprevedibili e che ci portano molto lontano da dove eravamo partiti.
La poesia di Dante è trapunta di stelle. Il suo sguardo verso il cielo non è però soltanto quello di un poeta, ma è anche quello di un appassionato di astronomia, una delle discipline più alte nell'assiologia scientifica medievale. Un astrofisico e un umanista dialogano intorno alle immagini stellari nella poesia dantesca, che ancora oggi coinvolgono e appassionano i lettori, sebbene il sistema scientifico di riferimento sia totalmente mutato.
Il volume raccoglie sei studi danteschi, editi in rivista tra il 1992 e il 2010: cinque letture di canti, di If. XV e XXXIII-XXXIV, di Pg. XVI e XXXI, di Pd. XV, seguite da una riflessione sulla fortuna della Commedia attraverso il caso specifico di Tommaso Campanella. Unifica la raccolta l'intento di far emergere in quale misura si debba al primo e più grande dei nostri poeti l'avvio non solo della prima fase, teocentrica, della storia italiana ma altresì della seconda, umanistica, cosmocentrica e cristocentrica, sullo sfondo di una prospettiva che riconosce nella letteratura la principale e autentica forza spirituale specificamente costitutiva dell'unità nazionale italiana. Ne deriva una lettura nuova e coerente di momenti, episodi e temi della Commedia - dall'incontro di Dante con Brunetto Latini a quello con Marco Lombardo, con Cacciaguida e, soprattutto, con Beatrice nel Paradiso terrestre -, che rappresenta un'occasione di riflessione e ripensamento per semplici appassionati della poesia dantesca, e in generale della cultura letteraria italiana, per gli studenti e per gli studiosi.
In "Pene d'amor perdute" di William Shakespeare c'è una scena celebre per la sua oscurità che, se messa in rapporto con quanto Giordano Bruno aveva scritto nell'Inghilterra di Elisabetta I, consente la messa a fuoco del maggiore problema politico dell'Occidente cristiano sconvolto dalle guerra di religione: la fondazione della sovranità autonoma dello Stato secolare - un problema che per tutto il secolo XVII continuerà a essere al centro del pensiero di Hobbes e Spinoza, e che comportava l'ineluttabile scontro dell'autorità secolare con quella religiosa, cattolica o riformata che fosse. Partendo dai concreti tentativi di soluzione di quel problema in Inghilterra, Francia e a Venezia, Gilberto Sacerdoti ne porta alla luce le radici intellettuali: da un lato il conflitto fra Papato e Impero, dall'altro il ruolo giocato non soltanto dall'"averroismo latino", ma anche dalle originarie fonti di quel pensiero islamico-ebraico medievale in cui la filosofia aveva per la prima volta rifiutato di essere ancella della teologia. Dietro Bruno, Bodin e Sarpi emergono poco a poco le figure di Averroè, Maimonide e Al-Farabi.
Dall’introduzione: «La cronaca dei nostri giorni ci presenta violenza contro se stessi, contro le proprie cose, contro le cose dell’altro, contro l’altro, bambino, anziano, donna, straniero, immigrato, di altra fede o di altra lingua. Paure, preconcetti, muri e recinzioni che tornano ad edificarsi, leggi ad personam o partitiche, ingiustizie sociali, presunti e presentati modelli alternativi di famiglia e di genere, insieme a tanto altro, denotano una profonda crisi antropologica. Verrebbe da dire, come Diogene di Sinope, «cerco l’uomo … l’uomo dov’è?». Si avverte l’assenza di una figura grande e umile al contempo, di un altro Dante […] Uomo di idee, ma anche di azione, amante della giustizia, della verità, della patria, della pace. Grande maestro, il Sommo Poeta, trentacinquenne pellegrino nei mondi dell’Oltretomba, è per me, trentacinquenne, guida nel mio viaggio reale terreno, lui che fu condotto da Virgilio nel suo viaggio immaginario ultraterreno. In suo onore, nel vasto panorama di illustri iniziative di vario genere in Italia e all’estero proposte e vissute, per festeggiarne ancora il compleanno, offro questo contributo che ha per titolo il primo cele- berrimo endecasillabo della Commedia, in una forma più «personalizzata»: «Nel mezzo del cammin de la mia vita…» e per sottotitolo, con la metafora sottesa del viaggio, «Percorsi di riflessione nel 750° della nascita di Dante Alighieri». Si tratta di un saggio che si compone di tre parti, tese a suscitare l’entusiasmo di incontrarsi con la Divina Commedia, presentandone aspetti noti e forse meno noti, numerici e fantasiosi, storici e leggendari, teologici e letterari, liturgici e religiosi, lirici e grotteschi. Percorsi, semplici percorsi, per mettere i nostri piedi sulle orme di un grande uomo, di un grande uomo di fede, di un grande italiano, «semplicemente» del Sommo Poeta, Padre della nostra Madre lingua. E come da più parti si sente dire: «Iddio ha voluto così bene all’Italia da regalarci Dante Alighieri!».