Gli ebrei italiani sono un gruppo numericamente modesto eppure presente sul territorio della Penisola da ventun secoli. Attivi in tutti i campi della società, non necessariamente con posizioni di primo piano, hanno conosciuto l'oltraggio delle leggi razziste destinate a far sprofondare molti di loro in quel gorgo terribile che va sotto il nome di Shoah. Lungi dal possedere un'unità monolitica, questo libro vuole presentare a un pubblico non solo di studiosi o di appassionati dell'argomento gli ebrei italiani, sfatando pregiudizi e luoghi comuni. Per far questo i curatori hanno invitato a collaborare al volume persone provenienti dagli ambiti professionali e di studio più disparati, proponendosi di rappresentare in tal modo tutta la varietà che l'ebraismo italiano possiede e che lo fa essere un'entità composita e variegata.
Il testo intende avviare un pensiero specifico sulla promozione dell'Ac e stimolare la riflessione delle presidenze e dei consigli diocesani, a partire da alcuni nodi tematici della vita associativa (Ac e territorio, Ac e piccoli centri, Ac e grandi città...), per provare a elaborare percorsi nuovi di Chiesa e di associazione «in uscita». Un'Ac che cerca le vie più diverse per andare incontro a ciascuno per arrivare a tutti, realizzando la Chiesa e l'associazione che papa Francesco "invita a sognare" e realizzare nell'Evangelii gaudium.
Nel 1936, Ambedkar fu invitato a partecipare alla conferenza annuale del gruppo induista riformista di Lahore. Quando gli organizzatori ricevettero il testo del suo discorso, ne giudicarono intollerabili i contenuti, tentarono una breve e infruttuosa negoziazione, e alla fine cancellarono l'invito. Ambedkar decise così di stamparne a sue spese 1500 copie, e da quel momento «Contro le caste» cominciò a diffondersi come un manifesto... Il pamphlet viene qui presentato per la prima volta in italiano in un'edizione riccamente annotata e con un saggio introduttivo di Arundhati Roy, in cui si affronta il tema delle caste e lo storico scontro morale e intellettuale fra Ambedkar e Gandhi, lasciando emergere alcuni aspetti della personalità del Mahatma in contrasto con l'icona universale a tutti nota.
Spesso la 'gestazione per altri' o 'maternità surrogata' è presentata come un dono, un atto di liberalità e solidarietà da parte di donne generose che aiutano coppie infertili ad avere figli. Ma le cose stanno davvero così? Siamo consapevoli del fatto che non è una 'tecnica di riproduzione assistita', bensì una gravidanza come le altre? È giusto considerare delle donne 'portatrici' di figli altrui? È giusto che dei neonati siano dati a 'genitori committenti' in cambio di denaro?
"Utopia," dice Lewis Mumford nella prefazione del 1922 a questo libro, "può derivare dalla parola greca 'eutopia', che significa il buon posto, o dall'altra parola greca 'outopia', che significa nessun posto." Ed e lo stesso Mumford a chiarire il contesto intellettuale da cui questo suo lavoro ha tratto origine: "Poco dopo la Prima guerra mondiale, vivevo ancora nel clima di speranza della generazione passata; ma mi rendevo conto che l'entusiasmo del grande Diciannovesimo secolo era giunto alla fine. Quando ho iniziato a esaminare storicamente le utopie, intendevo chiarire che cosa in esse fosse andato perduto e definire che cosa fosse ancora valido. Fin dal principio ero conscio di una virtù che era stata inspiegabilmente trascurata: le opere classiche degli utopisti trattavano sempre la società come un tutto unico e tenevano conto dei rapporti esistenti tra funzioni, istituzioni e fini dell'uomo. La nostra civiltà ha poi diviso la vita in compartimenti. Sono giunto dunque a considerare il pensiero utopista come l'opposto dello spirito unilaterale, partigiano, specialistico". Di questo bisogno di scenari non angusti - che si ripropone oggi come un'esigenza forse troppo trascurata - discute l'introduzione di Franco Crespi, sull'inattuale attualità dell'utopia.
Ancora inedita in Italia, questa opera costituisce il quarto di una serie di testi attraverso i quali Luhmann tematizzò uno per uno i sistemi funzionali della nostra società applicando loro la sua teoria più famosa: quella dei Sistemi sociali (1984). "L'arte della società" sviluppa e documenta sulla base di testi storici i temi della differenziazione e dell'organizzazione del sistema dell'arte all'interno della società. Particolare attenzione viene rivolta al salto evolutivo compiuto a cavallo tra il Quindicesimo e il Sedicesimo secolo, momento nel corso del quale, secondo Luhmann, avvenne una cruciale trasformazione per ciò che il sistema arte rappresenta oggi. Il testo si chiude con un'illustrazione storica e una discussione dell'autodescrizione nell'arte.
Donatrici/venditrici di ovociti, fecondazione in vitro, madri surroganti che conducono gestazioni e partoriscono su commissione, bambini e bambine che nascono con problemi di salute. Davanti al cieco entusiasmo del mondo scientifico e di parte del femminismo, Laura Corradi intende smascherare il fervore neoliberista che indica come "diritti di riproduzione" quelli che in realtà sono privilegi geo-politici ed economici. Una riflessione sulle implicazioni etiche, biologiche e psicosociali delle nuove tecniche di riproduzione e sulla mercificazione dei corpi, in una prospettiva femminista. Il contesto sociale contemporaneo ha costruito un capzioso idealtipo, ben pubblicizzato dai media, quello della "donna che vuole un figlio a tutti i costi", che sembra giustificare l'omissione dei dati disponibili sugli aspetti negativi per la salute della madre e del feto da parte dell'industria medica e del suo indotto.
Orrori innominabili, degradazioni incomprensibili, e un business pervasivo e onnipotente che costringe una parte sempre più consistente del nostro pianeta a migrare. Si tratta del più grande fenomeno del nostro tempo che sta cambiando radicalmente il mondo. Eppure quasi nessuno sa cosa sia una migrazione e ciò che crediamo di sapere, spesso, è falso. Profugo, rifugiato, richiedente asilo, clandestino... dietro ognuna di queste parole, usate sovente a sproposito, ci sono diritti e trappole, opportunità e business illeciti. Scartando le vie della classica saggistica, le storie e le rivelazioni di questo libro esplodono in pieno viso e non possono lasciarci indifferenti.
Il lavoro è una questione sociale "emergente" in due sensi: da un lato, ci troviamo di fronte a rischi crescenti di disoccupazione e alla diffusione di lavori precari, sfruttati, alienati; dall'altro, nonostante tutto ciò, assistiamo all'emergere di una gamma di potenziali lavori "virtuali" propri di un'economia dopo-moderna. Questi due processi sono correlati fra loro. Ciò che li connette è l'affermarsi di una società reticolare che richiede una nuova soggettività dell'agire lavorativo e forti innovazioni nelle forme organizzative. Per comprendere questa trasformazione epocale occorre considerare il lavoro come relazione sociale, anziché come mera prestazione, nella prospettiva di un'economia relazionale.
Il Novecento è stato segnato dalla lotta della democrazia contro i regimi totalitari: nel 1945, alla fine della seconda guerra mondiale, è stato sconfitto il nazifascismo; con la caduta del muro di Berlino nel 1989 si è sgretolato il comunismo. Oggi, per molti osservatori, la sfida alla democrazia arriverebbe dai fondamentalismi religiosi e dal terrorismo, oltre che dalle brutali dittature che li proteggono. Per Todorov questa visione è sbagliata, fuorviante e pericolosa. Oggi la democrazia non ha più nemici esterni in grado di metterla in pericolo. I rischi per la democrazia ora arrivano invece dal suo interno: un individualismo spinto all'eccesso, un neoliberismo avido e senza più regole, la deriva populista. E proprio per questo che oggi la democrazia, per sopravvivere, ha bisogno di rinnovarsi: alla ricerca di un nuovo equilibrio tra i valori su cui è fondata.
L'importanza trasversale che le tecnologie digitali hanno raggiunto all'interno dei diversi livelli di organizzazione sociale non è andata del tutto ad intaccare o destabilizzare forme e modelli di comunicazione in essi ormai consolidati. Accanto alle innovazioni introdotte dai digitai media, forme e modelli della comunicazione di tipo più tradizionale e mainstream mantengono una loro validità euristica. Ciò nella misura in cui essi si rivelano coerenti all'organizzazione sociale all'interno della quale trovano spazio di espressione. I saggi raccolti nel volume si sviluppano attorno a tra aree di interesse: la comunicazione, l'interculturalità e le organizzazioni complesse, individuando diversi ambiti di osservazione. In ciascuno di essi si analizzano le opportunità e le insidie connesse all'applicazione di strategie comunicative che fanno da ponte tra il vecchio e il nuovo, evidenziando come potenzialità e criticità possono essere comprese e analizzate solo se adeguatamente contestualizzate. L'idea attorno a cui convergono le riflessioni degli autori è quella della necessità di competenze comunicative di tipo specialistico, rispettose delle istanze che ciascuno degli ambiti presi in esame solleva e capaci di leggere ed intercettare i mutamenti a cui i diversi livelli di organizzazione sociale oggi sono chiamati a far fronte.
Welfare non è un servizio, ma è una relazione. Avere cura degli altri è agire un modo di stare al mondo, è una dimen- sione umana che tocca alcuni snodi significativi: ospitalità, autorità, dovere, responsabilità.
Ma negli anni il welfare è stato istituzionalizzato, perden- do il suo senso originario. “La mia porta è sempre aper- ta”, ha detto Papa Francesco. Aver chiuso la nostra porta, aver spostato tutto, in questi anni, verso l’istituzione è stato frutto di un processo culturale profondo, che ha compor- tato conseguenze altrettanto profonde. Occorre tornare a un’idea del welfare fondata sulla fiducia, sulla socialità, sulle idee di convivenza e cittadinanza.
Questo libro avanza alcune proposte concrete e realizzabili ma soprattutto cerca di disegnare una visione comunitaria del welfare, nel suo necessario legame con la democrazia e la partecipazione.