Perché le parole sono così importanti per così tanti ebrei? Il romanziere Amos Oz e la storica Fania Oz-Salzberger si avventurano lungo le varie epoche della storia ebraica per spiegare la fondamentale relazione che esiste tra gli ebrei e le parole. Mescolando narrazione e studio, conversazione e argomentazione, padre e figlia raccontano le storie che stanno dietro ai nomi, ai proverbi, alle dispute, ai testi e alle barzellette più duraturi dell'ebraismo. Secondo loro, queste parole compongono la catena che lega Abramo agli ebrei di tutte le successive generazioni. Usando come cornice per la discussione questioni quali la continuità, le donne, l'atemporalità, l'individualismo, i due Oz riescono con maestria a entrare in contatto con personalità ebraiche di ogni tempo, dall'anonimo, forse femminile, autore del "Cantico dei Cantici", passando per oscuri talmudisti, fino agli scrittori contemporanei. Suggeriscono che la continuità ebraica, persino l'unicità ebraica, non dipenda tanto da alcuni luoghi essenziali, monumenti, personalità eroiche o rituali, quanto piuttosto dalle parole scritte e da un confronto che si perpetua tra le generazioni. Ricco com'è di cultura, poesia e umorismo, questo libro è un viaggio tra le parole che sono al centro della civiltà ebraica e porge la mano al lettore, qualsiasi lettore, perché si unisca alla conversazione.
La Bibbia non è nata già fatta. Né l'Antico né il Nuovo Testamento hanno avuto una storia anche solo vagamente lineare. In effetti, tutta la vicenda di come la Bibbia è giunta a essere il testo che noi oggi conosciamo - fissato nel canone ebraico e in quello cristiano - è molto più affascinante di quanto ci si potrebbe aspettare. Quella che narra Michael Satlow è dunque la storia altamente romanzesca di un certo numero di testi, scritti in periodi storici differenti, da persone differenti, in lingue differenti e per scopi differenti, che per una serie di contingenze storiche alla fine sono diventati il primo libro dell'umanità. In maniera inaspettata e unica, questi testi dopo secoli di dibattiti e di intricate vicende, e dopo essere rimasti dormienti e impolverati negli archivi di un tempio periferico del Medio Oriente - sono stati infine riconosciuti come vera "parola di Dio" da ebrei e cristiani. Ma questo è avvenuto solo molto tempo dopo: almeno mille anni dopo le prime composizioni. I protagonisti di questa epopea sono molti e spesso oscuri e anonimi; ci sono gli scribi, i traduttori, gli stranieri e le guerre, i sacerdoti, i re e i profeti, i babilonesi, gli assiri, gli egizi, i greci e i romani. Finché, per motivi sostanzialmente politici, il partito dei sadducei decise di dare alle parole rinvenute nel Tempio di Gerusalemme un valore di legge, coinvolgendo in questo anche il neonato movimento cristiano, fino ad allora pressoché inconsapevole dell'esistenza delle Scritture.
David Castelli (Livorno, 1836 - Firenze, 1901), allievo del rabbino Abramo Piperno e di Elia Benamozegh al collegio rabbinico di Livorno, completò la propria formazione filologica all'università di Pisa, frequentando i corsi di lingue semitiche di Fausto Lasinio. Abbandonata l'idea di seguire la carriera rabbinica, dedicò l'intera sua vita agli studi su svariati aspetti dell'ebraismo. Nella presente opera, pubblicata nel 1874, l'autore presenta uno studio dotto e approfondito sulla figura del Messia. Dichiarando fin dal principio di non volersi occupare della verità intrinseca della religione, ma di studiarla sotto il profilo psicologico e storico come una delle realtà della massima importanza nell'umana civiltà, David Castelli introduce l'opera con una presentazione della teologia ebraica in generale. Segue la Prima Parte dedicata alle idee messianiche contenute nel Vecchio Testamento: Pentateuco, Libri storici, Libri profetici. Nella Seconda Parte l'autore esamina le idee messianiche nei testi tradizionali ebraici quali: Talmud Babilonese, Talmud Gerosolimitano, Bamidbar Rabbà, Pesiqtà Zutratà, Jalqut Simeonì ed altri ancora. Completa lo studio l'Appendice, nella quale sono esposti brani tratti dai suddetti Libri tradizionali ebraici, a proposito del tempo della venuta del Messia, dei segni e delle sciagure che lo precederanno, dei due Messia, delle guerre messianiche e del giudizio finale.
L'idea del martirio "in nome di Dio" si impone oggi in modo violento e cruento. Ma come è nata quest'idea nei tre monoteismi? "Morire per Dio" è ammesso e ammissibile secondo la Bibbia? Come si è occupato della questione il giudaismo rabbinico? Com'è nato nel Nuovo Testamento il termine "martire"? Gesù è da considerare un martire? Che cosa dicono realmente il Corano e la tradizione islamica del martirio? Le risposte a queste domande sono tutt'altro che scontate... Completano il numero le consuete rubriche di "Studi Biblici" e "Bibbia e cultura".
"A salvare il Tempio non valsero né gli sforzi dei Giudei, subito accorsi a combattere le fiamme, né l'intervento di Tito in persona, che si precipitò alla testa del suo stato maggiore ordinando ai soldati di spegnere l'incendio. Ormai la violenza dello scontro era cresciuta a dismisura e gli ordini non venivano più ascoltati da uomini che, sentendo di avere finalmente in pugno la vittoria, erano in preda ad un furore incontenibile e ad una smodata brama di saccheggio. Anziché estinguere le fiamme, le alimentarono. Il Tempio era perduto." Il conflitto tra Romani ed Ebrei fu una guerra ai limiti del genocidio, segnata dalla totale incomunicabilità tra le due parti: lo zelo ebraico verso la Legge divina da un lato, la devozione romana per le umane leggi dell'impero dall'altro. Un disastro per Roma, che nello scontro dissipò buona parte della sua forza militare e disperse un patrimonio non rimpiazzabile di energie vitali, quasi quanto per gli sventurati Ebrei. Una vicenda i cui cupi rintocchi continuarono a lungo a risuonare, non solo in Oriente.
In questo mémoire, Raphael Luzon racconta la fine della storia millenaria della Comunità ebraica di Libia. Ancora bambino, fu costretto ad abbandonare Bengasi in seguito al pogrom che nel 1967 le folle arabe scatenarono contro gli ebrei. Inizia così per lui un esilio pieno di nostalgia e sofferenze, di cambiamenti e di nuove sfide davanti alle quali non perde mai la speranza di far tornare a battere, almeno nella memoria, il cuore della sua comunità cancellata dall'impeto distruttivo del fanatismo. Eppure Luzon scrive senza risentimento, per lui la ricerca della giustizia non è mai caccia al colpevole; all'ostilità antepone il desiderio di riconciliazione, sapendo che niente muove le coscienze più di una testimonianza sincera, vera, equilibrata. In questo senso, Roberto Saviano scrive nella prefazione: "Consiglio al lettore di soffermarsi, tenerlo un po' più a lungo tra le mani, di risfogliarlo e rileggere alcuni passi, perché nelle parole di Luzon possiamo talvolta trovare l'ispirazione per intraprendere un cammino di pace e di memoria".
La traduzione greca della Bibbia ebraica è, com'è noto, la prima e più importante traduzione apparsa nella cultura occidentale, il cui significato difficilmente potrebbe essere sottovalutato: senza Bibbia greca la storia europea sarebbe stata totalmente diversa, per non dire che nessun cristianesimo sarebbe mai stato possibile. Una delle novità dello studio di Tessa Rajak consiste nel mostrare come le traduzioni bibliche greche siano servite per secoli da dispositivi di sopravvivenza culturale delle comunità giudaiche, e come ciò implichi un profondo cambiamento di prospettiva che comporta di riscrivere tutto un periodo di storia culturale ebraica non di rado presentato come racconto cristiano. Ne emerge un'immagine del giudaismo della diaspora che spesso si trovò a dover cambiare atteggiamento nei confronti della cultura dominante e dei poteri imperialistici in cui via via venne a trovarsi, come del resto mostrano sia la lingua della traduzione greca della Bibbia, sia i testi che vennero a costituire la nuova raccolta biblica...
Jewish-Christian/Christian-Jewish Polemics in the Middle Ages Polemiche giudaico-cristiane e cristiano-giudaiche in epoca medievale Piero Capelli - Ursula Ragacs (eds.) EDITORIAL / EDITORIALE (Ursula Ragacs) THEME SECTION / SEZIONE MONOGRAFICA Jewish-Christian/Christian-Jewish Polemics in the Middle Ages - ALEXANDRA CUFFEL, Jesus, the Misguided Magician. The (Re-)emergence of the Toledot Yeshu in Medieval Iberia and its Retelling in Ibn Sahula's Fables from the Distant Past - ALEXANDER FIDORA, The Latin Talmud and its Translators. Thibaud de Sézanne vs. Nicholas Donin? - GÖRGE K. HASSELHOFF, The Parisian Talmud Trials and the Translation of Rashi's Bible Commentaries - PIERO CAPELLI, Editing Thirteenth-Century Polemical Texts. Questions of Method and the Status Quaestionis in Three Polemical Works - URSULA RAGACS, Paris 1240: Christians and Jews Defining the Talmudic Aggadot ARTICLES / ARTICOLI - ALEXANDER ROFÉ, David Overcomes Goliath (1 Samuel 17). Genre, Text, Origin and Message of the Story - JOSHUA EZRA BURNS, The Synagogue of Severus. Commemorating the God of the Jews in Classical Rome - SHALOM SADIK, Les opinions du Rebelle dans le Mostrador de Justicia (Maître de justice) d'Abner de Burgos
La storia del Sefer hêkalôt è probabilmente fra le più travagliate e affascinanti nell'intero corpus della letteratura mistica giudaica. Il testo attualmente disponibile sembra essersi formato in almeno tre tempi successivi intorno a un antico nucleo preesistente, il cui contenuto, di tenore fortemente apocalittico, è per molti versi affine a certe sezioni dello pseudepigrafo Libro di Henoch, cui l'intero nostro testo è stato a lungo direttamente ma impropriamente accostato. Redatto forse in area babilonese intorno al V-VI secolo d.C, il Sefer hêkalôt afferisce a quel ramo della speculazione cabalistica noto come ma'aseh merkavah o "Opera del Carro", il cui obiettivo è l'esperienza diretta della presenza di Dio. Tale esperienza, come insegnano le tradizioni, è conseguibile tramite pratiche ascetiche e un viaggio estatico attraverso le realtà ultra-terrene dei Cieli, dei campi angelici e dei Sette Santuari, di cui è possibile varcare le soglie eludendo la sorveglianza dei guardiani ad esse preposte grazie a inni, parole e simboli magici. Nel Sefer hêkalôt il viaggio verso la visione della merkavah è attribuito a Rabbi Ismael ben Elisa, un autorevole tanna realmente vissuto nella Palestina del I-II secolo d. C; gli fa da guida il Metatrôn, importante e complessa figura della speculazione cabalistica, misterioso "Angelo della Presenza" dimorante presso il trono divino.
Questo piccolo libro è un'opera semplice e chiara sulla dolorosa storia degli ebrei e sulla responsabilità cristiana in questa storia: strumento indispensabile oggi per capire in profondità le origini e gli sviluppi dell'antigiudaismo, e per scoprire il cammino di dialogo intrapreso dai tempi di Giovanni XXIII fino a oggi. E un libro d'iniziazione: ciò che potrebbe succedere di più straordinario al lettore è che, dopo averlo letto, cresca in lui la volontà di andare oltre perché ha colto l'importanza e l'urgenza di questo dialogo.
Sono pagine che potranno aiutarci a diventare veramente "fratelli".
UNA PAROLA USCITA DA GERUSALEMME
La sapienza ebraica da sempre è fonte di riflessioni che interpellano profeticamente l'oggi in cm viviamo Partendo dalla terra di Israele, la parola che risuona in queste pagine interroga la nostra società, le regressioni violente che la minacciano, la crisi di valori che rende incapaci di accogliere l'altro, di riconciliarsi con i nemmi, di farsi attenti al grido dei più poveri. L'autore qm rivisita alcum temi portanti della spiritualità ebraico-cristiana e tocca questioni che l'Israele credente ancora si pone guardando al resto dell'umanità, nel rapporto con le altre religioni.
Come si potrebbe giungere con le proprie forze al Bene o a Dio se essi non avessero un legame incancellabile con il sé umano? Fin dall'antichità greca e biblica si è meditato su questo interrogativo per riflettere sulla conversione. Nel cuore della storia del XX secolo, malgrado l'impotenza del Dio biblico a manifestarsi, i pensatori presi in esame in questo libro hanno continuato a vegliare su questo legame. Convertirsi, in quelle circostanze, fu la loro maniera di resistere alla fatalità del male. Sia che il loro percorso sia stato filosofico (Henri Bergson), sia che sia stato accompagnato dalla meditazione dei libri ebraici (Franz Rosenzweig) e cristiani (Simone Weil, Thomas Merton) o di ambedue (Etty Hillesum), essi a poco a poco percepirono come il più profondo - l'anima o il sé umano - sia abitato dal "più alto". Andare verso Dio è dunque tornare a Lui. Tuttavia, nell'ottica biblica, questo tornare non somiglia al ritorno filosofico dell'anima verso una patria perduta, ma procede come un avvenire e una promessa.