Da secoli gli abitanti dell'Olanda «rubano terra al mare», prosciugando vaste zone costiere che vengono adibite alla coltivazione dei tulipani, fiori simbolo di questo Paese. In tale paesaggio, romantico e colorato, è ambientato questo libro. È una storia semplice, scritta volutamente con uno stile semplice, quasi essenziale. È una storia genuina, come il protagonista, un anziano signore, da cui emergono i valori sani della vita e una morale che si può racchiudere in poche parole: per realizzare grandi progetti non occorrono grandi doti intellettive o grandi mezzi economici, ma un grande cuore e una volontà di ferro.
A cinque anni di distanza dal suo primo, fortuito, caso criminale, Pellegrino Artusi è ospite di un antico castello che un agrario capitalista ha acquisito con tutta la servitù, trasformando il podere in una azienda agricola d'avanguardia. È stato invitato perché è un florido mercante, nonché famoso autore della Scienza in cucina e l'arte di mangiar bene. Oltre al proprietario, Secondo Gazzolo, con la moglie, completano il gruppo altri illustri signori. Il professor Mantegazza, amico di Artusi, fisiologo di fama internazionale; il banchiere Viterbo, tanto ricco quanto ingenuo divoratore di vivande; il dottor D'Ancona, delegato del Consiglio di Amministrazione del Debito Pubblico della Turchia; Reza Kemal Aliyan, giovane turco, funzionario dello stesso consiglio; il ragionier Bonci, assicuratore con le mani in pasta; sua figlia Delia che cerca marito ma ancor più avventure. Riunisce tutti non solo il fine conviviale, ma anche un affare in fieri. Sono infatti gli anni d'inizio secolo in cui la finanza europea si andava impadronendo del commercio internazionale del decadente Impero Ottomano. Accade che, tra un pranzo, un felpato attrito di opinioni e interessi, un colloquio discreto, viene trovato morto un ospite; è chiuso a chiave in camera da letto ma il professor Mantegazza è sicuro: è stato soffocato da mani umane. Circostanze che non collimano, passaggi segreti, colombi viaggiatori, tresche clandestine, fanno entrare ed uscire dalla scena, o agire coralmente, i personaggi, con la vivacità di un teatro brillante. E si adatta al luogo una sfumatura di gotico, in ironico contrasto con l'atteggiamento scientista all'epoca di gran voga. Marco Malvaldi, l'autore, si sente a proprio agio nell'ambiente fiduciosamente positivistico dell'epoca, rappresentato con allusiva esattezza (nell'epilogo del romanzo si spiega come tutto il contorno è storicamente vero). D'accordo con il suo eroe Pellegrino Artusi considera la buona cucina una branca della chimica, una scienza complessa, rigorosa e stuzzicante quanto la sublime arte dell'investigazione.
Il romanzo prende spunto da un'antica tradizione cristiana, secondo cui l'apostolo Giovanni avrebbe vissuto i suoi ultimi giorni nell'isola greca di Patmos. Nelle memorie di Ermogene, un contadino del posto, la vita di Giovanni si fonde con quella di Gesù, degli altri discepoli e del tempo in cui essi vissero, in una narrazione di ispirazione biblica che riporta in vita alcuni personaggi chiave della cristianità. "Il vegliardo di Patmos" è un'opera dal respiro antico, ma che mantiene il soffio di vitalità e attualità proprio di certi eventi che oltrepassano gli anni e i secoli, proiettati negli orizzonti infiniti.
Due storie parallele a circa mezzo secolo di distanza sono destinate ad incrociarsi. Da una parte un giovane seminarista, Rolando, figlio di contadini emiliani, vive i drammi della seconda guerra mondiale lungo la Linea Gotica. I nazisti occupano il suo seminario, determinandone la chiusura, mentre i partigiani comunisti vogliono eliminarlo per mettere a tacere la sua ardente testimonianza di fede. Non c'è posto per lui nel progetto ideologico di chi vuole fare della fine della guerra l'inizio della rivoluzione proletaria. Per questo Rolando viene rapito, fatto prigioniero, spogliato dell'abito talare, condannato innocente a morte. Dall'altra parte in una giovane famiglia milanese irrompe inaspettata la malattia dell'unica figlia, Marta, ancora bambina. Un urto improvviso e violento che, nella sofferenza, rimette in gioco i genitori e lentamente ricompone il loro amore e la loro unità, che si stava sgretolando. Dopo un lungo percorso di ansie, speranze e delusioni il terribile morbo, però, sembra avere il sopravvento. Nella scena finale i due racconti convergono, improvvisamente, nella stanza di un ospedale, dove la bambina è in coma. Ma la morte non ha l'ultima parola. Nello scrivere questo romanzo l'autore si è ispirato, dopo un lungo lavoro di ricerca, alla storia vera del seminarista martire Rolando Rivi, per il quale si sta concludendo la causa di beatificazione presso la romana Congregazione delle Cause dei Santi.
"Questo sarà l'anno del mio fidanzamento, l'ho deciso. Sì, Filippo Villa, ventiquattro anni, milanese da generazioni, giornalista sportivo e party-boy, quest'anno si fidanzerà. E adesso ho qualcosa come tredici chat attive su Grindr, che è tutto un pullulare di messaggi." Fortunatamente nella sua ricerca Filippo non è solo. Accanto a lui c'è Bea, l'amica di una vita e coinquilina da sempre che a ragazzi non è messa poi tanto meglio. Ma si sa, la speranza è l'ultima a morire, almeno finché viene alimentata dal vino bianco di pessima qualità che ogni sera Alice porta a Bea e Filippo in cambio di un posto sul divano del loro appartamento di Porta Venezia, nel cuore del quartiere della festa milanese. La malasorte sentimentale sembra invertire la sua rotta quando Filippo, grazie all'inseparabile Gilda, il suo bellissimo esemplare di bassotto a pelo ruvido, incrocia il proprio destino con quello di Diego: dog sitter, uno e novanta, moro, occhi neri. Un bòno, insomma. Diego ha solo un piccolo, trascurabile difetto: ha una fidanzata che lo aspetta a Monopoli, in Puglia. Dettagli. Diego è perfetto, è dolce, passionale, insomma è quello giusto. Ma non è tutto oro quel che luccica. Magari è solo bigiotteria fatta bene. Tra aperitivi troppo alcolici, poke al salmone e maratone di serie tv, in questo romanzo Tommaso Zorzi racconta con leggerezza e ironia l'amore, l'amicizia, il sesso e le relazioni ai tempi di Grindr. Perché sì, Siamo tutti bravi con i fidanzati degli altri, ma poi, quando tocca a noi, è un vero casino.
Piera è una leggenda e ha scritto la storia del teatro italiano. Soprattutto, è ostinata e ribelle, non ama i potenti, e sa bene quant'è sottile la differenza tra il palco e la vita. Del resto, nello spettacolo della commedia umana si mente, si tradisce, si recita a soggetto. E può anche capitare di uccidere. Adesso Piera ha deciso di sfidare Shakespeare e allestire la prima rappresentazione al femminile del Riccardo III. Lei è fatta così. Intanto Roma soffoca nell'afa di luglio. Il delitto, però, non va mai in vacanza. E una notte, da una finestra del suo appartamento vicino piazza Navona, l'attrice nota una sagoma disfarsi di un grosso sacco nel pozzo del cortile. La visione fortuita innesca la girandola degli eventi, mentre sullo stabile cala l'ombra del sospetto. Tra il viavai dei clienti del B&B al primo piano e la scaciata movida che affolla le vie del centro, Piera dovrà risolvere il mistero dell'omicidio di una ragazza, nonostante lo scetticismo della collaboratrice Dolores e l'indolenza della città. Ad affiancarla nell'indagine, che si trasforma presto in un duello psicologico con l'assassino, c'è l'ispettore Grossmeier, un poliziotto altoatesino trasferitosi nella Capitale, a cui l'abbraccio di mamma Roma non dà conforto. Calcando la ribalta della scena del crimine e rispolverando atmosfere alla Hitchcock, Piera Degli Esposti e Giampaolo Simi compongono una detective comedy capace di rappresentare con ironia pensosa e nerissima quel gioco di maschere e menzogne, di nevrosi e pulsioni che è il segreto della condizione umana.
Che fine hanno fatto i nostri sogni? È la domanda di un sacerdote, don Paolo, a cui il tempo e le “intemperie” della vita hanno progressivamente prosciugato sogni e aspettative che viveva da giovane. Una lenta e stanca discesa verso la disfatta, dominata dal cinismo e da una sorda e inascoltata tristezza. Don Paolo ha bisogno di un motivo per ravvivare le ultime tenui braci di un’esistenza logorata dalle cose tutte uguali della vita del prete di parrocchia. La scossa arriva dove meno se lo aspetta: una donna si rifà viva, inaspettata e trasfigurata rispetto a ricordi faticosi. Don Paolo entra così a contatto con uomini e donne che non possono avere accesso ai sacramenti e che però vivono un attaccamento e un’intensità di fede che lui ha perso da anni. Il fascino che questa contraddizione fa brillare è irresistibile. E diventa immediatamente la formula pragmatica della sua rinascita.
Le famiglie felici non sono interessanti; quelle complicate sì. Valentino lascia la Calabria da ragazzo, negli anni settanta del Novecento, ma la maturità, che si annuncia con il balenio a sorpresa del rimpianto, lo costringe a voltarsi indietro per misurarsi con la memoria e le memorie del mondo in cui è cresciuto. E quando torna a guardare e ascoltare scopre che se le persone non ci sono più, e spesso non ci sono più da molto tempo, le loro vite sono lì, e chiedono di essere raccontate. Ecco i patriarchi: il vecchio Notaio con i suoi figli accidentali e il Farmacista col suo violino chiuso nell'armadio, due famiglie parallele due rami che s'incrociano nella famiglia nuova dell'Avvocato e della moglie, l'amatissima Tamara che solo lui chiama Mara; la gente del popolo: Ciccio Bombarda l'autista senza patente, Peppo della posta che ha paura dei figli, Rosa e Cicia le pasionarie, Maria-la-pioggia e Maria del Nilo silenziose come tutte le divinità; e poi zie bizzarre e amici immaginari, domestici fedeli e mogli minuscole come bambine, amicizie che durano dalla soffitta di casa al campo di battaglia, ideali irrinunciabili e inconfessate debolezze; e gli oggetti, le automobili, i due piccoli Gauguin appesi nell'ombra. La storia di un mondo borghese che s'intreccia con la storia dell'Italia che intanto cambia in meglio e in peggio; il ritratto affettuoso e spietato di un luogo che è anche un tempo.
Il mare è un abisso di tenebra: ad andare troppo in fondo non si torna più. Una ragazza di quindici anni scompare nella notte, vicino alla Scogliera degli Angeli. Non ci sono tracce, non si trova il corpo; solo le scarpe sono rimaste, una sulla pietra, l'altra in acqua, a suggerirne il destino. La notizia travolge il paese, lì vicino: arrivano i telegiornali, poi i sommozzatori. Eppure, nulla. Sparita. Sul caso cala impietoso un velo di indifferenza, a fagocitare ogni ipotesi e ogni pettegolezzo. C'è qualcuno però che non si arrende: un uomo, un appassionato di immersioni subacquee, decide di tornare in acqua per trovare la ragazza. A spingerlo è il desiderio di riscattarsi nei confronti della donna amata che lo ha lasciato e, insieme, di annegare nello sforzo la propria insostenibile sofferenza. Nella solitudine e nel silenzio delle profondità marine, tuttavia, circondato solamente dalla vastità e dalle creature dell'ombra, i ricordi lo travolgeranno e sarà costretto a rivivere tutto: il primo, romantico incontro; la passione, la felicità; l'ultimo dolore condiviso, l'addio straziante. "Io sono il mare" è un viaggio romanzesco in un universo rovesciato; un'immersione in un luogo senza tempo, in cui anemoni variopinti e coralli millenari dominano la superficie della Terra e animali estinti sopravvivono attraverso le forme di migliaia di specie differenti. Tra storie dimenticate e rimorsi mai confessati, nella sua ricerca disperata il protagonista dovrà esplorare ogni centimetro del fondale della sua anima fino a capire qual è la differenza tra ciò che sparisce per sempre e ciò che invece sa tornare a galla. Perché il mare è un involucro trasparente: più lo si indossa, più ci si rivela.
Febo ha tredici anni e vive insieme ai nonni in un piccolo borgo sull'Appennino all'ombra dei Castagni Gemelli, popolato da leggende paurose e da un'umanità bizzarra e variopinta: ci sono Bue e suo padre Chicco, Slim e i sette fratelli Carta, Pietrino detto Zanza che di Febo è il più caro amico, Celso l'indio silenzioso con il suo cavallo Strappafiori. E poi c'è Ca' Strega, dove vive Luna, muta e selvaggia, con la sua stravagante famiglia capeggiata da una nonna dotata di poteri magici. Il destino di Febo e Luna è segnato da un pomeriggio al luna park, e dalla profezia su una misteriosa mano di ferro. Le loro strade si dividono - lei finisce in un istituto di suore dove il dottor Mangiafuoco le farà recuperare la voce, mentre lui va a studiare in città dove ritrova un padre megalomane, sempre sul punto di concludere "un grande affare" e una madre amareggiata. Pur se lontani, Febo e Luna non smettono mai di pensarsi e di volersi bene. Lui tutto grandi teorie e proclami, lei concreta e battagliera. Il destino della loro vita è lasciarsi e ritrovarsi, e ogni volta il loro distacco è preceduto dalla separazione, premonitrice e crudele, di un'altra coppia di amanti. Anche quando, sullo sfondo di un'Isola cristallina, si illudono brevemente di poter restare sempre insieme, si perderanno. Gli anni passano, Febo adesso ha un figlio amato e indipendente, e della passione per la natura e l'ecologia ha fatto un mestiere; Luna aiuta i deboli e insegna la lingua dei segni a chi non ha la voce. Su di loro incombe l'ultima separazione, lei nel gelo del Nord, lui nel cuore di una foresta tropicale.
Una storia di amicizia, amore, eroismo e redenzione nella Spagna della guerra civile.
Che cosa accade se un giovane ricco decide di salvare il suo ex migliore amico, ora rivoluzionario, e l’identità del suo Paese da una terribile guerra civile? È quanto succede a Javier Marquez Ochoa, originario di Santiago de Compostela, che abbandona la fede e la vocazione sacerdotale per una vita di successi nell'imprenditoria. Ma a che giova all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la sua anima? In Spagna esplode la guerra civile con il suo carico di violenza, esemplificata nel conflitto tra Javier e il suo antagonista Carlos, interpreti di due visioni radicalmente opposte della vita. Un romanzo di amicizia, amore, redenzione ed eroismo in un periodo storico drammatico, quando la posta in gioco era la trasformazione della Spagna, lo sradicamento della religione e delle sue tradizioni.
In copertina: Matrimonio mistico di san Francesco d’Assisi e madonna Povertà (1440-’60), dipinto su tavola attribuito a Domenico Veneziano (Domenico di Bartolomeo). München, Alte Pinakothek, Bayerische Staatsgemäldesammlungen
Gli Atti contenuti in questo volume fanno parte di un progetto di ricerca sulla storia delle parole nella nostra tradizione letteraria, avviato nel 2004 presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli.
Nei Colloqui si pone al centro dell’attenzione un lemma significativo trascelto nell’ampio corpus della letteratura italiana.
I cinque precedenti appuntamenti furono dedicati a illusione, ordine, silenzio, unità, fortuna; il sesto Colloquio, tenuto a Napoli nei giorni 27-29 maggio 2015, è stato intitolato alla povertà. Il metodo d’indagine è rimasto lo stesso adottato nei precedenti incontri: risalire all’uso e alle accezioni del vocabolo dal mondo antico fino a noi, privilegiando lo scandaglio della tradizione letteraria italiana e il suo dialogo con discipline e forme d’arte diverse (dal diritto alla sociologia, dalla musica al cinema), non solo europee. Attraverso la voce di venti studiosi, è stata cosí restituita l’inedita, originale narrazione della parola e dei contesti che l’hanno nominata: dalle Beatitudini a san Francesco, da Petrarca ad Alberti, da Machiavelli a Tasso fino al Lazarillo de Tormes e a Giulio Cesare Croce. Inoltre il lemma povertà è stato analizzato in Pagano, Leopardi, Verdi, Pascoli, Verga; un termine che poi, nel Novecento, si impone nella poesia, nella narrativa e nel cinema: dai crepuscolari a Ungaretti, da Capitini a Luzi, Betocchi, Turoldo, Scotellaro, Pasolini, Zavattini, da Bilenchi a Madieri e in maniera particolarmente rilevante nella testimonianza religiosa, come mostra il saggio sul teologo Arturo Paoli, e nella riflessione filosofica e giuridica.
Se nell’arco di secoli di vita del nostro idioma il dibattito sulla povertà appare minoritario e di fatto è rimasto fino alla metà circa del XX secolo un argomento poco presente alle culture dominanti, dalla lettura del libro emerge la ricchezza di interpretazioni di una parola che ci attraversa, che per aspetti diversi ha sollecitato le varie forme dell’arte e sta misurando la storia della nostra civiltà.
Silvia Zoppi Garampi
è professore ordinario di Letteratura italiana all’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. Ha curato edizioni di testi di Erizzo, Pagano, Croce (Ed. Nazionale), Ungaretti, Gadda. Tra i suoi ultimi libri, Le lettere di Ungaretti. Dalle cartoline in franchigia all’inchiostro verde (Salerno Editrice, 2018) e Ungaretti (« Grandangolo Letteratura », vol. 15, 2018). Dal 2004 coordina nel suo Ateneo i Colloqui internazionali di Letteratura italiana e ne cura gli Atti pubblicati dalla Salerno Editrice.