E se tra noi esistessero le presenze silenziose dei defunti?
La paura che i morti possano tornare a tormentare i vivi ha ossessionato gli uomini dagli albori della civiltà, portando alla creazione di rituali, cerimonie e scongiuri. Secondo le credenze popolari, le anime inquiete dei defunti, che infestano luoghi o perseguitano gli sventurati che si imbattono in loro, hanno di solito una morte violenta o prematura alle spalle. Secondo alcune tradizioni sarebbero stati sepolti in modo inadeguato o dovrebbero scontare le colpe di cui si sono macchiati in vita. Si tratta delle cosiddette anime erranti o vaganti, note anche come «presenze» o «fantasmi». Esiste una tradizione millenaria che affonda le proprie radici nell’animismo e nello sciamanesimo che tramanda una realtà completamente diversa da quella a cui l’uomo occidentale crede e che è stata rielaborata anche dall’ebraismo, dall’islamismo e dal cattolicesimo.
Il libro, unico nel suo genere, ricostruisce da un punto di vista antropologico e storico-religioso questo fenomeno delicato e controverso, partendo dall’animismo e arrivando ad analizzare l’esistenza di spiriti intermedi e delle anime vaganti nei tre monoteismi. Un’ampia parte è dedicata al dibattito teologico tra sacerdoti ed esorcisti cattolici, in particolare tra esorcisti «possibilisti» e «negazionisti».
Dopo la personale esperienza umana della malattia raccontata con contagiosa allegria in "Chi non muore si rivede", Alberto Maggi affronta, con il suo stile sempre gioioso, il difficile argomento della morte, uno dei grandi tabù della nostra società. Alberto Maggi offre parole ricche di serenità e speranza, lontanissime da quell'inesauribile repertorio di frasi fatte che non solo non consolano, ma gettano nel più profondo sconforto quanti sono nel lutto e nel pianto, anche quando vengono da uomini di fede. Leggendo queste pagine riusciremo invece a comprendere e accogliere l'aspetto naturale della morte, per renderla davvero una sorella come poeticamente suggeriva san Francesco, una compagna lungo l'intero viaggio nella nostra esistenza. E grazie a questa nuova consapevolezza, potremo finalmente allontanare ogni tristezza e tornare a vibrare in un crescente, pieno accordo con quella grande sinfonia che è la vita.
Da quando l'espressione' "limbus inferni", "l'orlo dell'inferno", cominciò a essere usata dai teologi occidentali nel tardo XII secolo fino al 19 gennaio 2007, quando papa Benedetto XVI invitò i fedeli a "lasciar cadere l'ipotesi limbo", sono trascorsi quasi mille anni. Oggi la vicenda del limbo sembra finita. Questo saggio com'è nata e come si è sviluppata. Se Jacques Le Goff, in un capolavoro della storiografia contemporanea, aveva ricostruito la nascita del purgatorio, sul limbo mancava una ricerca completa e autorevole. Chiara Franceschini ha condotto questa ricerca, gettando luce sulla parabola di un'ipotesi teologica che fu non solo una questione centrale del cristianesimo, ma anche un'idea diffusa, concepita per rispondere a problemi antropologici e sociali ben definiti, rappresentata nelle arti figurative e narrata nella letteratura. Da Agostino a Dante, da Mantegna a Michelangelo, da Lutero a Federico Borromeo, con grande attenzione alla teologia, alle immagini, alle idee e pratiche diffuse, Franceschini riconduce l'affascinante storia del limbo al problema di fondo che l'ha segnata fin dall'inizio: quello dell'umanità residuale, cioè della difficoltà secolare da parte della Chiesa occidentale di risolvere l'anomalia della morte senza battesimo. Un percorso attraverso le fonti di un'intera civiltà per raccontare la storia di un'immagine che ha sfidato dall'interno la costruzione dell'aldilà cristiano.
L'idea di messia nel pensiero ebraico antico e moderno subisce vari slittamenti semantici, di origine storica e teorica. Il teologo e l'ebraista, con le loro proprie tonalità, ne illuminano alcuni: dapprima si rintracciano i nomi del messia - da quello personale e mistico-escatologico a quello collettivo incarnato nell'età messianica e in Israele - attraverso la Bibbia e le fonti giudaiche (midrash, Talmud, chassidismo, Illuminismo ebraico e sionismo); poi, in chiave fenomenologica, si delineano possibili percorsi, per così dire, messianici nella filosofia, nella musica, nella letteratura. D'altra parte, il messia, architrave che unisce e divide ebrei, cristiani e musulmani, si presta a una riflessione non solo religiosa e spirituale ma esistenziale: nella coscienza del tempo - quale appare nel Qohelet ma anche nella letteratura europea più secolarizzata - irrompe la dimensione dell'attesa, capace di porre domande anche a un non credente.
Sembra più facile appassionarsi alla lettura dell'Inferno di Dante che a quella del Paradiso, che può apparire come un nulla immacolato. Ma il Paradiso dantesco è più variato e violento dell'Inferno. Lì, Beatrice dichiara al poeta: "S'io ridessi tu ti faresti di cenere". Ecco perché mettiamo il Paradiso alla porta: temiamo la sua gioia esigente. E allora ci fabbrichiamo un piccolo paradiso artificiale, rassicurante: un inferno molto rispettabile. Certo, non si tratta di fuggire verso un altro mondo immaginario né di regredire verso il paradiso terrestre della Genesi, che, lo sappiamo, è definitivamente perduto. Alla nozione di un aldilà opponiamo a buon diritto l'esigenza di vivere hic et nunc. Ma non riusciamo mai a essere veramente qui, adesso. Ed è a questo punto che il vero paradiso rivela il suo paradosso e si difende dalle sue parodie: non è evasione verso un altrove, ma grazia lacerante di essere infine presenti a tutti e a ciascuno, in un'apertura sinfonica, una creatività corale. Questo libro è un invito a percorrere un itinerario attraverso la filosofia, la teologia e le arti - da Nietzsche a san Tommaso, da Baudelaire e Proust a Bernini, da Sade a Mozart - per accostarsi a ciò che il paradiso ha di più terribile e di più bello: la ferita della sua beatitudine. Non si tratta di una consolazione, ma di una convocazione a quella gioia che deve farci perdere ogni contegno - come un clown - e distruggere ogni contentamento - come un fiume...
L'attesa è un clima spirituale che si configura con la ricchezza e la complessità del vissuto di ogni uomo, in particolare nel suo rapporto con Dio. Vi sono coinvolte la religione e l'antropologia, la filosofia e la storia. Si riferisce a Dio e all'uomo, al singolo e alla comunità. In questo numero 74 di "Parole Spirito e Vita", nella terza parte il tema viene volutamente allargato oltre l'aspetto strettamente religioso, ove pure viene detta la presenza di Dio.
La promessa della "vita eterna" è una delle prospettive più sublimi della salvezza che Cristo offre ai suoi discepoli se osserveranno i suoi comandamenti. La vita eterna consiste nella partecipazione alla stessa vita divina, ed è offerta a tutti, a patto che si mettano in pratica i comandamenti del Signore. Chi invece, come avverte ripetutamente Cristo in modo chiarissimo, disobbedirà, "non vedrà la vita, ma l'ira di Dio sarà su di lui" e sarà gettato nella Geenna, ovvero "nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli", "dove sarà pianto e stridore di denti". In questo agile libro l'Autore espone la dottrina della speranza cristiana della Vita eterna e confuta gli errori comuni e diffusi su di essa.
Lo scritto è l'annunzio del realizzarsi di quella piena alleanza che trasforma il popolo di Dio, nel popolo che porta scritta nel cuore la parola del suo Signore e vive come un'umanità nuova,come "nuova creatura" partecipe della vita di Dio nella pienezza della sua pace e della sua misericordia, a noi donata dalla morte e resurrezione del Signore Gesù Cristo.
Nella storia della religione ebraico-cristiana si riscontrano avvenimenti non completamente interpretabili con le scienze umane.
L’autore, storico delle Chiese, si è assunto il compito di analizzarli come segni di un ultraterreno, di un aldilà, che a volte apre squarci su se stesso o irrompe con forza, coinvolgendo singole persone o intere masse di credenti e non. Nella prima parte espone gli episodi più significativi e le analisi ritenute più rigorose nel corso dei secoli, fino ai nostri giorni.
Il lettore, anche alla luce dei criteri e delle cautele espresse nella seconda parte, potrà avere un’ampia visione sull’argomento e liberamente formarsi la sua opinione.
È ancora possibile oggi, in un mondo dominato dal secolarismo e dalla cultura scientifica, pensare a una vita dopo la morte? Per rispondere a questo interrogativo, a cui nessuno può dirsi disinteressato, il cardinale Ruini sviluppa una riflessione a tutto campo, che mette a confronto storia e attualità, indagine razionale e fede religiosa, scoperte della tecnoscienza e aspirazioni profonde dell'animo umano, e offre una sobria ma toccante testimonianza personale: le esperienze vissute come sacerdote accanto a chi è giunto al traguardo della vita terrena e il modo in cui egli stesso, ormai anziano, sente e vive l'avvicinarsi dell'ultimo viaggio. Prima di affrontare il grande tema dell'esistenza di un aldilà, Ruini prende in esame quella certezza biologica, e insieme quell'enigma filosofico, che è la morte, il cui significato è profondamente cambiato nell'ultimo secolo: l'aumento della preoccupazione per la propria sorte, nei nuovi scenari aperti dal prolungamento dell'attesa di vita, è andato di pari passo con la decostruzione sociale e culturale della morte, ridotta oggi a semplice fatto naturale. Ultima versione di quel fenomeno antico quanto la specie umana che è la fuga dall'idea della propria fine. Nonostante la coscienza della morte e il desiderio di trascenderla attraverso una qualche forma di sopravvivenza siano caratteristiche primarie dell'uomo, costitutive della sua identità, è davvero arduo raggiungere la certezza razionale di una vita dopo la morte.
Dalle recinzioni claustrali monastiche sino alle raffinate costruzioni dell'Umanesimo attraverso la lezione musulmana e le esperienze cortesi, il giardino riflette non solo la complessa vicenda storica del nostro Medioevo europeo, ma anche il rapporto tra messaggio filosofico e teologico ed esperienza botanica e naturalistica. Il giardiniere medievale ripete il gesto creatore di Dio, conosce le norme sapienti che possono piegare la natura per ricreare, se non la realtà, quanto meno l'illusione dell'Eden perduto. Il paradiso terrestre e i Campi Elisi sono gli archetipi, i modelli di una costruzione umana che osa sfidare il limite dell'eterno, nel sogno paradossale di una natura perfetta e al tempo stesso dominata dall'uomo.