Machiavelli o Niccolò Machiavelli è stato testimone e partecipe di avvenimenti e di sentimenti che segnano la nascita del mondo moderno: il tempo delle idee razionali e laiche dell'Umanesimo, delle arti e del "libertinismo" del Rinascimento e di irrisolte contraddizioni religiose e ideologiche. Teorico di un sistema politico di governo fondato sulle "equalità" sociali e su magistrature stabili, e con il sogno di una Italia unita e di uno Stato-Principe promotore e difensore del "vivere civile", Machiavelli è stato osservatore attento e appassionato della "crisi italiana" tra il Quattrocento e il Cinquecento e anche protagonista perdente e profeta disarmato di una Italia dilaniata dai conflitti interni, divisa e terra di conquista. Lucio Villari affronta i momenti fondamentali del pensiero di Machiavelli, le scritture letterarie, la vicenda umana. Una narrazione nel drammatico scenario del Cinquecento fiorentino, italiano, europeo.
"Di tutto resta un poco" è il libro a cui Antonio Tabucchi ha lavorato, fino all'ultimo, in prima persona, malgrado la malattia e da dentro la malattia, condividendo ogni dettaglio con la curatrice e la casa editrice. È una raccolta di scritti meditata, appassionante, che prende le mosse da un memorabile "elogio della letteratura", di una letteratura capace di "ficcare il naso dove cominciano gli omissis". È inevitabile che, a partire da lì, dalla responsabilità delle parole per arrivare alla consolazione della bellezza, Antonio Tabucchi tocchi i temi più cari e insieme ai temi le opere e gli uomini (spesso amici) che lo hanno accompagnato. Ci sono gli autori frequentati con l'assiduità dello studioso (Pessoa e Drummond de Andrade, Kipling e Borges, Cortázar e Primo Levi), quelli sondati dalla veemenza della consuetudine (Daniele Del Giudice, Norman Manea, Enrique Vila-Matas, Mario Vargas Llosa e Tadahiko Wada), quelli più giovani, illuminati da una lungimiranza severa e affettuosa. E poi ci sono meravigliose pagine sul cinema, che tengono insieme il lirico omaggio alle ali di farfalla di Marilyn Monroe e la penetrante analisi della gag sovversiva di Almodóvar. "Di tutto resta un poco" è un libro che accende l'intelligenza, la curiosità, gli entusiasmi, come ci trovassimo di fronte alla mappa di un territorio che finalmente possiamo visitare, con la complicità e la guida dello scrittore che lo ha abitato, che lo ha costruito, che lo ha custodito per noi.
L'opera. Nell’anno del 500entenario del Principe, Gennaro M. Barbuto è autore di una nuova biografia politico-intellettuale di Machiavelli. Il Segretario desta interesse soprattutto nei periodi più drammatici e decisivi della storia europea moderna: dalle guerre di religione alla formazione dello Stato moderno, alla crisi rivoluzionaria e post-rivoluzionaria, al Risorgimento fino al tragico Novecento fra il ’14 e il ’45. Tanto più oggi la lettura di Machiavelli non può lasciare indifferenti, perché la sua intelligenza ha rischiarato aspetti inediti della politica con i quali è sempre necessario fare i conti. La sua idea è una ellissi fra conflitto (sociale, civile, politico, antropologico) e unità (religione come etica civile, armi proprie, leggi). Un polo non può stare senza l’altro: se prevale il conflitto c’è corruzione faziosa; se predomina la sola unità la politica perde la sua energia di sviluppo e di crescita e ristagna in una situazione propizia alla degenerazione. La politica machiavelliana è ricerca di un bene comune, che sia espresso in leggi, non a beneficio della singola parte, ma della res publica. Purché questo si avveri Machiavelli non si ritrae davanti alle ipotesi anche più drammatiche e rischiose, come la teorizzazione del principato.
La letteratura francese si è imposta nel mondo come "terza letteratura classica", sia per la sua durata (dieci secoli, dalla Chanson de Roland a Sartre), sia perché, se da un lato ha suscitato fondamentali correnti creative e scuole di pensiero, dall'altro ha assimilato e diffuso i modelli letterari provenienti da altri orizzonti. Già a partire dal Medioevo i vari generi (ad esempio la chanson de geste) si caratterizzano per la loro dimensione europea. Nella cultura francese del Tre-Quattrocento si avvertono istanze umanistiche alla luce dell'insegnamento del Petrarca, per poi assistere alla splendida fioritura della poesia cinquecentesca contrassegnata da grandi scuole poetiche e all'affiorare della geniale inventiva di Rabelais. Questo primo volume ripercorre poi gli originali orientamenti filosofico-religiosi (da Bodin a Montaigne), sullo sfondo dell'intreccio di atteggiamenti ispirati sia alla riscoperta dei classici, specie i più inquietanti (Luciano, Lucrezio, Plutarco), sia alla compresenza di italianismo e anti-italianismo. Il Seicento si snoda sul doppio binario del Barocco e del Classicismo: è la stagione del grande teatro classico (Corneille, Racine, Molière), del pensiero filosofico e religioso che avrà in Europa la più vasta fortuna (da Cartesio a Pascal), del genere moralistico, tipicamente francese (La Rochefoucauld, La Bruyère) e di quello favolistico, che trova in La Fontaine un modello in cui confluiscono, modelli classici e italiani, spagnoli e germanici.
Anche questo secondo volume intende sottolineare la dimensione europea di una letteratura che viene studiata, di solito, in termini strettamente nazionali. Col Settecento ha inizio la "modernità" di una produzione letteraria la cui lezione costituisce ancora oggi un esemplare punto di riferimento. L'Illuminismo francese si diffonde in Europa grazie alla clarté di una lingua di cui viene celebrata l'universalità, e tuttavia rappresenta il grande momento della fortuna del pensiero inglese (Hume, Locke) così come sul piano narrativo i romanzi di Prévost, Laclos, Crébillon, Rétif de La Bretonne, non mancano di ispirarsi alla coeva narrativa anglosassone. Se sulla scena trionfano Marivaux per la commedia e Voltaire per la tragedia (ma hanno anche larga diffusione popolare i canovacci della commedia dell'arte), sul piano della scrittura filosofica s'impone la grande triade Voltaire, Diderot, Rousseau, con aperture tuttavia che vanno al di là del sensismo, recuperando sensibilità e sentimento. Sul piano del gusto poetico, la corrente neoclassica così viva in Europa trova anche in Francia esponenti di prim'ordine (Chénier). All'influsso anglosassone succede, nella stagione romantica, quello germanico, da Madame de Staèl a Nerval. Si tornerà al primato francese con due grandi maestri: grazie a Flaubert e Baudelaire nascono, in Europa, il nuovo romanzo e la nuova poesia lirica. Con i simbolisti e i decadenti, Proust e Valéry, e poi Sartre e Camus si imporranno nuovi modelli provenienti dalla Francia.
"Posa", "finzione", "provocazione", "teatro": ecco i termini associati per decenni al nome di Gabriele D'Annunzio. Con queste parole siamo stati abituati a descriverlo, così ci è sempre stato insegnato. Ma la suggestione della sua poesia, le imprese ardite e la retorica detta appunto "dannunziana" non sono sufficienti a svelare il segreto di una vita "inimitabile". Giordano Bruno Guerri ci conduce lontano da stereotipi, accompagnandoci nelle stanze folli e geniali della dimora dannunziana. Pagina dopo pagina, sfogliando il "libro di pietre vive" che il Vate ci ha lasciato, riscopriamo un uomo che fu seduttore e amante irresistibile, avvinto dal "bisogno imperioso della vita violenta, della vita carnale, del piacere, del pericolo fisico, dell'allegrezza". Grazie al diario (in gran parte inedito) di Amelie Mazoyer, ancella in servizio continuo che il Vate ribattezza Aélis, conosceremo Gabriele D'Annunzio uomo "intero". Geisha, complice e confidente, Aélis si contende il ruolo di preferita con l'elegante musicista Luisa Baccarà e con la cameriera Emilia. Aélis annota per lunghi anni tutto ciò che accade nelle stanze del Vittoriale, registrando ascese e cadute delle "badesse di passaggio": nobildonne, artiste, prostitute, semplici paesane o avventuriere; e un contorno di personaggi non secondari. Su tutto ciò, naturalmente lui, la sua grandezza di poeta e la sua strepitosa vitalità, fatta di genio e di cocaina, invenzione e di ironia: il suo essere un libertario e anarchico, modernizzatore e anticipatore.
La leggenda di Troia è uno dei miti fondativi della coscienza e della civiltà occidentale. È stata narrata in una serie di poemi epici di cui soltanto l'"Iliade" e l'"Odissea" sono giunti integralmente fino a noi. Alcuni degli episodi più noti della saga, tuttavia, erano descritti al'interno dei componimenti perduti del "Ciclo epico" in una maniera diversa da quella in cui ci sono stati tramandati: "il giudizio di Paride" o la conquista di Troia grazie allo stratagemma del cavallo di legno. Di tali opere, purtroppo, ci sono pervenuti soltanto brevi riassunti o pochi versi incompleti. Prendendo le mosse da una loro attenta ricognizione, Fulvio Beschi si è proposto di ricostruire, nel modo più ampio e coerente possibile, il contenuto del Ciclo epico, dalle origini del mondo e dell'uomo fino al ritorno da Troia dei singoli eroi. E per farlo non si è avvalso soltanto del rigore dello storico, ma anche di una narrazione fluida che restituisce, pagina dopo pagina, il senso di meraviglia: lo stesso che con tutta probabilità dovevano aver provato coloro che ascoltarono per primi queste storie.
Il volume presenta una serie di numerose e circostanziate riflessioni, approfondite ed ampliate dall’Autore che le raccoglie sotto una argomentazione dalla lettura univoca: la fede religiosa. Sono tratte da numerosi e inediti appunti del compianto Prof. Giovanni Lanzilotta, pubblicista, docente di filosofia e di pedagogia, preside nei licei classici di Putignano e Monopoli, oltre che Vicesindaco di Castellana Grotte e fondatore della Democrazia Cristiana nella sua città, deceduto il 9 ot-tobre 1992.
Rappresentano numerose e circostanziate citazioni da Il dottor Zivago, dalle Poesie e dalle Lettere del grande scrittore russo Borìs Pasternàk. Le citazioni erano prese dalle edizioni Einaudi del romanzo e delle Lettere agli amici georgiani.
Un profondo coinvolgimento intellettuale e affettivo tiene insieme le pagine di questo libro fondato sulla fedeltà e l'amicizia. L'autore racconta qualcosa di se stesso mentre racconta la storia degli altri, il mondo universitario in cui si è formato e impegnato: maestri e compagni, fervide stagioni di dibattiti sulla critica e la linguistica, sul rinnovamento dei metodi, e le letture, l'attività didattica, i seminari interdisciplinari di cui resta qui traccia, le ricerche comuni di commento ai testi, da Dante e Petrarca ad Alfieri e Pavese. Senza smarrimenti e nostalgie di fronte alle cose che cambiano e che tanto sono cambiate rispetto agli anni qui rievocati (i Sessanta-Ottanta del secolo scorso, quando le discipline umanistiche ancora occupavano in Italia un evidente primato culturale), l'autore tende a far risaltare alcune costanti: come nella lingua letteraria il già scritto prevalga sulle variabili dell'invenzione, e come i testi collocati entro una fitta rete di richiami, di citazioni e riusi svelino più a fondo le loro strutture.
Il libro è il frutto di un viaggio culturale fatto in Germania da un gruppo di amici (la Comunità di San Leolino). Ogni capitolo è il resoconto di una tappa geografica, culturale e spirituale in terra tedesca. Si passa da Rothenburg, città che evoca il grande passato medievale europeo; a Weimar, culla del romanticismo; a Buchenwald che, con il campo di concentramento, fu il teatro di una delle più terribili prove per il genere umano. Poi ancora lo splendore Barocco di Posdam, la meravigliosa Dresda, per finire al santuario mariano di Altotting, tanto caro a Benedetto XVI. In perfetto stile romantico, gli autori hanno compiuto un viaggio fuori e dentro sé stessi, alla ricerca di un`eredità spirituale: il contributo offerto dal popolo tedesco all`umanità in cerca del Divino.
Osoiro Anes, trovatore di origine galega, è stato fino ad oggi identificato con un canonico della cattedrale di Santiago de Compostela, vissuto nel secondo quarto del XIII secolo; recenti studi, tuttavia, permettono di retrodatare l'attività del trobador agli ultimi anni del XII secolo, rendendolo di fatto uno dei più antichi poeti della scuola lirica galego-portoghese di cui i canzonieri medievali ci abbiano trasmesso l'opterà poetica. Cultore della cantiga de amor, il genere lirico che più d'ogni altro è debitore al grande modello occitano, Osoiro compendia mirabilmente nella sua pur breve opera il processo di acquisizione e rielaborazione peninsulare della poesia trobadorica provenzale. Gli evidenti influssi dell'arte di poeti come Peire Vidal o Bernart de Ventadorn si mescolano con il nascente gusto galego-portoghese, che predilige il lato oscuro della relazione amorosa fra il trovatore e la senhor, senza rinunciare al tipico "paradosso amoroso" che sta alla base della stessa ideologia della fin'amor elaborata dai poeti occitani. Il volume propone l'edizione critica integrale delle cantigas di Osoiro, aperta da un'ampia introduzione e corredata di traduzione, note ai versi, rimario e glossario.
«E veramente nelle città di Italia tutto quello che può essere corrotto e che può corrompere altri si raccozza: i giovani sono oziosi, i vecchi lascivi, e ogni sesso e ogni età è piena di brutti costumi; a che le leggi buone, per essere da le cattive usanze guaste, non rimediano. Di qui nasce quella avarizia che si vede ne’ cittadini, e quello appetito, non di vera gloria, ma di vituperosi onori, dal quale dependono gli odi, le nimicizie, i dispareri, le sette; dalle quali nasce morti, esili, afflizioni de’ buoni, esaltazioni de’ tristi.»
Niccolò Machiavelli, Il Principe
Non sappiamo cosa fare alle prossime elezioni?
Non c’è nessun candidato che ci convince del tutto o almeno in buona misura?
Perché devo andare a votare?
Chiediamo un consiglio all’autorevole Machiavelli. Ascoltiamo questo consigliere d’eccezione che offre la sua saggezza senza chiedere nulla in cambio.
Andiamo a votare o no? E se andiamo a votare, come scegliamo i rappresentanti che avranno il potere di fare le leggi e di governarci? Per aiutarci a rispondere a queste domande possiamo avvalerci di un insolito esperto, Niccolò Machiavelli, che cinquecento anni fa esatti ha scritto Il Principe, e conosceva e capiva la politica come pochi altri. È vero che alcuni suoi contemporanei, come il grande Francesco Guicciardini, ritenevano che talune sue idee fossero troppo audaci per i tempi e le circostanze. Ma nessuno ha mai dubitato del suo ingegno per le questioni di stato.
Era poi d’impeccabile onestà, virtù essenziale per un buon consigliere. Ne dà prova la sua povertà. Dopo aver servito il governo popolare di Firenze guidato da Pier Soderini per quattordici anni, e aver maneggiato enormi somme di denaro, si ritrovò, quando perse il suo incarico, più povero di prima. Aveva la virtù di esprimere schiettamente i propri giudizi politici. Sappiamo poi per certo che amava la patria con tutto se stesso, e che per tutta la vita dedicò le sue migliori energie a difendere la libertà della sua Firenze e dell’Italia. Se sappiamo rivolgergli le domande giuste, e riflettere bene sulle sue parole, possiamo evitare errori che poi rimpiangeremo amaramente, come tante altre volte è avvenuto in passato, tipo votare per uomini potenti e ricchi; votare per chi fa favori; votare per chi cambia facilmente partito; votare per chi è da tanti anni al potere; votare per chi fa grandi promesse.