Questa breve ma preziosa operetta, presentata per la prima volta in traduzione italiana, scritta a cavallo tra il 1946 e il 1947, cerca di fare il punto sul difficile rapporto epocale tra modernità e cristianesimo. Il titolo del libro appare programmatico, come lo sviluppo dell’intero scritto, il quale evidenzia con chiarezza le solide acquisizioni balthasariane dopo un paziente, profondo e intenso ascolto della filosofia moderna. P. Henrici afferma che questo libro “è il vero e proprio ‘Discours de la méthode’ […].
Questo saggio può valere come implicita risposta al rimprovero di ostilità nei confronti della Scolastica. Balthasar intende la filosofia cristiana come un filosofare nella fede e con lo sguardo rivolto alla teologia”. In questo testo l’autore traccia le linee fondamentali per un incontro fecondo tra la filosofia moderna e il pensiero cristiano: la prima dal punto di vista formale e la seconda dal punto di vista contenutistico. Esso rappresenta un’ottima sintesi della ricerca balthasariana di un equilibrio dinamico e dialogico tra filosofia e teologia.
"Essere finito e Essere eterno" rappresenta probabilmente, tra le opere di Edith Stein, l'espressione più completa dell'itinerario culturale e spirituale della filosofa tedesca. Le riflessioni contenute nelle sue pagine sono testimonianza tangibile del tentativo di promuovere un incontro tra pensiero medievale e pensiero contemporaneo, ed eredità spirituale di una figura emblematica del XX secolo. L'aspetto che più affascina della testimonianza umana e intellettuale di Edith Stein è il costante protendersi verso la verità, in tutte le tappe decisive del suo percorso esistenziale: dalla formazione fenomeno-logica allo studio della filosofia scolastica medievale, dal professato ateismo giovanile alla conversione al cattolicesimo, dalle ricerche sull'empatia alla meditazione sull'incontro mistico.
Nel percorso esistenziale di Sergio Quinzio, la riflessione ha sempre accompagnato il vissuto, lo ha assunto e dispiegato senza attenuazioni, spingendosi a indagare l'abisso scandaloso della sofferenza. In questa lunga intervista, realizzata nel 1991 dall'amico e "allievo" Leo Lestingi, il teologo ripercorre per la prima e ultima volta le tappe fondamentali della propria vita, rievoca le vicende, gli affetti, gli incontri che più l'hanno segnata. E lo fa con la precisione, il pudore e la profondità che gli sono propri. Il dialogo prende così la forma di un testamento spirituale, che testimonia l'ampiezza della sua ricerca, la continua messa alla prova del pensiero e la disperazione di fronte alla Storia coesistente alla speranza inestinguibile nella Salvezza. Una salvezza "povera", che darebbe finalmente senso a tutto il male del mondo, attesa nella fede in un Dio sensibile alla sofferenza e alla morte. Non onnipotente, ma tenero.
Solo l'essere umano è immortale, per la teologia cristiana: l'homo sapiens è il vertice e il centro della creazione, unico depositario dell'anima, e tutta la terra è al suo servizio. Eppure questa concezione - così diversa, ad esempio, da quella del Buddhismo o degli antichi Egizi - si scontra con il dato ormai acquisito dell'evoluzione, che impedisce di tracciare una linea certa di demarcazione tra la natura umana e quella degli animali. Perché dunque non dovrebbero avere un'anima, se condividono il nostro stesso principio vitale? Eugen Drewermann, teologo e psicanalista, conduce in questo libro una serrata argomentazione che mette le concezioni del mondo antico e delle altre religioni a confronto con la dogmatica cristiana e con la condizione attuale degli animali: dagli orrori dell'allevamento industriale, dove la morte viene occultata, a quelli della vivisezione. Riflettere sulla sofferenza degli animali e sulla loro speranza di resurrezione è per Drewermann un momento essenziale di una più ampia riflessione sulla vita e sulla morte, nella sottile convinzione, scrive Luise Rinser introducendo il saggio, che alla fine esista solo il Regno di Dio, di cui tutti fanno parte, viventi e morti, inclusi gli animali. Ecco allora aprirsi la possibilità di un Cristianesimo che sappia rispondere alle sfide etiche del presente, di una teologia nuova che tenga conto dell'evoluzione e del "fluire ininterrotto" attraverso cui lo spirito si manifesta nel mondo.
Una interpretazione originale di un'epoca ricca di controversie come il Rinascimento. Questa la proposta dell'autore grazie alle possibilità offerte dalle rete che gli hanno permesso di mettersi in modo nuovo ai servizio di antiche domande. Una lettura "elettronica" di testi noti, e di altri riscoperti, fa emergere un Savonarola teologo, oltre che profeta e politico, che ispirandosi a Paolo e Agostino si oppone, in nome della interiorità e della grazia, alla religione delle opere e agli sfarzosi quanto vuoti rituali della vita religiosa fiorentina quattrocentesca. Un Savonarola che gioca un ruolo decisivo nella genesi della Riforma e di quell'Evangelismo italiano di cui il "Beneficio di Cristo" è il testo più rappresentativo. Sullo sfondo si muovono le grandi figure della civiltà rinascimentale, da Machiavelli a Michelangelo, da Piero di Cosimo a Raffaello, da Giovanni Pico e suo nipote Gianfrancesco a Guicciardini, da Erasmo a Valdés a Lutero, conventi e comunità di laici sparsi in tutta Italia, uomini di corte e grandi prelati, tutti in misura minore o maggiore legati all'insegnamento del frate e alla sua teologia del "Miserere".
DESCRIZIONE: La prospettiva della fede è il primo dei Due discorsi edificanti dell’anno 1843, qui tradotto dalla nuova edizione critica danese degli scritti di Kierkegaard. La “prospettiva” è appunto quella di un credente che vuole aiutare un altro uomo ad avere fede anzitutto liberandolo dai dubbi di origine razionale. Non è direttamente Cristo l’oggetto di queste pagine, né il cristianesimo, ma anzitutto un contenuto teoretico: l’uguaglianza, evangelica, di tutti gli uomini di fronte al Padre – un’assoluta trascendenza irriducibile all’immanenza del soggetto. Questo significa che se la fede non può essere chiusa dentro il cerchio dell’umano dubitare, viceversa non può dirsi un fatto separato da quel dubitare, ma piuttosto un cammino, che si svolge attraverso il mondo e con Dio.
COMMENTO: La prospettiva della fede è il primo dei Due discorsi edificanti di S. Kierkegaard, datati 1843. Questa è la prima edizione italiana, condotta sull'edizione critica danese. Un testo che merita attenzione per il ricorrere dell'Anno della Fede, voluto da Joseph Ratzinger.
Di SOREN KIERKEGAARD (1813-1855) è in corso di stampa presso Morcelliana la quarta edizione riveduta e ampliata dei Diari.
UMBERTO REGINA, già ordinario di Filosofia morale presso l’Università di Verona, per Morcelliana ha pubblicato: La vita di Gesù e la filosofia moderna (1979); L’uomo complementare (1988); Servire l’essere con Heidegger (1995); Kierkegaard (2005); e curato: con E. Rocca, Kierkegaard contemporaneo (2007); di S. Kierkegaard, Gli atti dell’amore (2009) e Briciole filosofiche (2012).
DESCRIZIONE: Una storia inventata è perlopiù intesa come una vicenda non accaduta realmente. Da certe narrazioni, però, dipende una lunga storia di significati, riflessioni, richiami. Questo è il caso del racconto biblico primordiale di Adamo ed Eva: vero perché narrato o narrato perché vero? Se ha dell’incredibile, tuttavia attorno a questo episodio tramandato dal catechismo si sedimentano i capisaldi della cultura occidentale, non solo rintracciabili nell’Antico e Nuovo Testamento, ma nell’arco della letteratura e del pensiero dall’antichità sino a oggi. L’atto del mangiare la mela (un’invenzione, dato che in latino si parla di malum), elevato a simbolo del peccato originale, ha una portata universale nei concetti, correlati, di colpa e trasgressione e nella figura del diavolo. Temi presi qui in esame toccando idealmente gli estremi di una parabola che ha appunto la matrice nel libro della Genesi, una compiuta espressione nei testi di Paolo e i suoi effetti nella psicanalisi moderna.
COMMENTO: Il tema del peccato nelle rilettura dei testi biblici. Quanto, come e dove è presente la parola «peccato»? Si interrogano i maggiori specialisti.
PIERO STEFANI è presidente dell’associazione «Biblia » e insegna Ebraismo alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale (Milano). Tra le sue pubblicazioni ricordiamo alcune delle più recenti: Gesù. Un nome che ci accompagna da duemila anni (il Mulino, 2012); Dalla Bibbia al Talmud. Breve introduzione all’ermeneutica rabbinica (San Paolo, 2012). Per Morcelliana: Fede nella Chiesa? (2011).
Hans Joas propone una visione alternativa della secolarizzazione e tratta delle sfide sociali e intellettuali che il cristianesimo si trova oggi ad affrontare. Per Joas la fede deve poter essere sperimentata come un’articolazione convincente delle esperienze personali più intense e le chiese devono accettare il fatto che la fede è ormai diventata un’opzione.
Descrizione
La modernizzazione conduce necessariamente alla secolarizzazione? La secolarizzazione porta inevitabilmente alla decadenza morale? Anche se la situazione religiosa attuale è caratterizzata dalla contestazione di vecchie idee e da una crescita generale delle possibilità di scelta, parlare in modo sommario della modernità non aiuta a comprendere la fase storica che stiamo vivendo.
In questo libro Hans Joas propone una visione alternativa della secolarizzazione e parla delle sfide sociali e intellettuali di fronte alle quali si trova oggi il cristianesimo. Per aprirsi al futuro, da un lato la fede deve poter essere sperimentata come un’articolazione convincente delle esperienze personali più intense e, dall’altro, le chiese istituzionali devono accettare il fatto che, a causa della diffusione della incredulità, la fede è ormai diventata un’opzione.
La forza della fede è nella relazione; non si tratta né di sapere né di non sapere, ma di entrare in relazione e di conoscere per intimità. Non si intende relativizzare l'ambito della conoscenza razionale, bensì evidenziare la specificità del tipo di conoscenza che la fede richiede, che pone sullo stesso piano la ragione e il cuore, l'intelligenza e l'affettività; la fede apre ad una conoscenza che privilegia entrambi gli ambiti di cui l'uomo è costitutivamente fornito. Il testo, costituito da due parti complementari, espone nella prima parte la dinamicità della fede ecclesiale, facendo interagire la riflessione teologica, la liturgia e la teologia pastorale; nella seconda parte presenta in modo critico lo strumento di cui la Chiesa si è fornita per presentare in modo completo i contenuti della fede ecclesiale e che va sotto il nome di Catechismo della Chiesa Cattolica.
Guardare a Dio come al personaggio di un'opera letteraria, accogliere soltanto quello che ci raccontano le Scritture e confrontarci con la figura che, evolvendosi nel corso dell'Antico Testamento, ne emerge. Ecco la sfida di questo libro: una vera biografia e insieme una ricerca che investe la teologia, l'etica, la critica letteraria, la storia delle idee e, infine, la natura e le radici del nostro modo di essere nel mondo. Jack Miles, teologo e studioso di filologia biblica, ripercorre con uno stile limpido e ricco di sfumature la vicenda esistenziale di Dio e le sue relazioni con gli esseri umani, dalla creazione a Mosè, da Salomone a Giobbe. Non si tratta di ridurre il Dio del Tanakh, la Bibbia ebraica, al livello di un personaggio romanzesco, ma al contrario di moltiplicarne le possibilità di lettura attraverso le tante storie di cui è protagonista. Che questa lettura sia necessaria, per i credenti come per gli atei, lo dimostra l'impatto culturale e psicologico che il monoteismo ha avuto sulla nostra civiltà e su tutti noi come individui, indipendentemente dalla fede. «Non vi è un unico modo necessario e corretto di leggere l'Antico Testamento », e anche allo straordinario libro di Miles ci si può avvicinare in diversi modi: come a un'avvincente rilettura di un classico universale o come a una serrata analisi storico-letteraria, oppure cogliendo l'occasione per riflettere sulla nostra concezione di Dio secondo un'angolazione radicalmente nuova.
Il volume offre l'edizione critica di alcuni testi teologici e filosofici di dom Robert Desgabets, benedettino cartesiano vissuto nel Seicento. Gli opuscoli sono editi prendendo per base le raccolte manoscritte conservate nella Biblioteca municipale di Epinal. Essi approfondiscono attraverso la prospettiva agostiniana e cartesiana il tema del rapporto e della collaborazione tra ragione e fede, con particolare attenzione ai misteri della Trinità, dell'Incarnazione e della trasmissione del peccato originale, oltre che alle tematiche della grazia, della predestinazione, della giustificazione e della natura degli angeli. Gli inediti, brevemente contestualizzati e corredati da un essenziale apparato di note, sono preceduti da un saggio introduttivo che, oltre a restituire il quadro storiografico di riferimento, contribuisce a illustrare l'apporto gabetiano ai dibattiti teologici, filosofici e scientifici del XVII secolo.
"Per la libertà dell'evangelo", testo di una conferenza tenuta a Bonn il 22 luglio del 1933, testimonia la radicale opposizione di Karl Barth al movimento filonazista dei Deutsche Christen, che stava per prendere il controllo della comunità evangelica tedesca. Alle vigilia delle elezioni ecclesiastiche del 1933, il teologo vede nascere una chiesa di regime e affermarsi una fede nazionalista, antisemita e sottomessa al culto del Führer. Davanti a questa caricatura del Cristianesimo, afferma che l'"esistenza teologica" del credente non deve più restare sospesa nel limbo "tra i tempi", perché questo è il tempo della "decisione politica" per Gesù Cristo, il tempo storico dell'impegno contro ogni forma d'intrusione dello Stato autoritario nella professione di fede. Reagendo all'emergenza e prendendo posizione, Karl Barth delinea quindi il progetto di una teologia come cristologia, che deve fondarsi sull'imitazione di Cristo e non può rimanere sorda al richiamo della coscienza. Essere nel presente è allora respingere radicalmente tutti gli attentati alla libertà dell'Evangelo, alla libera predicazione della Parola di Dio.