Il carattere dell'umorismo ebraico, che si esprime in un riso tra le lacrime, è identificabile in un'ironia riflessiva, diretta verso sé stessi e gli appartenenti alla medesima comunità di destino. È una disposizione a farsi beffe di sé anche nelle situazioni più difficili. Vitale reazione all'antisemitismo, essa è un mezzo per eludere i persecutori, ridicolizzare gli autori dei pogrom, difendersi da una realtà di sofferenza rendendola sopportabile anche solo per un istante. L'umorismo ebraico arriva a coinvolgere anche Dio, messo spesso sotto tiro a battute di spirito, con una riverenza irriverente unica nel suo genere. Perché l'ironia, forse anche più dell'amore, è la migliore forma di immunità contro il fanatismo e l'odio, qualcosa di indispensabile per le relazioni tra gli esseri umani.
La storia degli ebrei in Italia è antichissima: nessuna comunità in Occidente ha una presenza così costante, dalla Roma antica fino a oggi. Soprattutto, la storia degli ebrei in Italia è una storia fortemente specifica e in parte diversa rispetto a quella dei centri della diaspora europea. Distinta da una netta continuità attraverso oltre venti secoli; prima culla, all'inizio dell'era volgare, dell'ebraismo diasporico. Caratterizzata da una forte integrazione nella società cristiana, sia nel Medioevo che nei secoli successivi, nonostante le mura dei ghetti; poco toccata, nei secoli, dai fenomeni più estremi di antisemitismo; segnata da una forte partecipazione degli ebrei, nel XIX secolo, alla costruzione risorgimentale; e infine colpita durante l'occupazione nazista da arresti e deportazioni a cui partecipano attivamente i fascisti della Repubblica di Salò. E ancora, almeno fino al secondo dopoguerra, poco impegnata nel progetto sionista e anche successivamente poco coinvolta in una concreta emigrazione in Israele, anche se molto condizionata e segnata dalla presenza dello Stato ebraico. Una storia che, a essere compendiata in una sola frase, potrebbe esser definita come 'una storia italiana'.
Chi sono i farisei? La ricerca degli ultimi decenni ha sottolineato i limiti delle fonti per lo studio storico di questo gruppo giudaico e la necessità di espandere la base documentale per definire meglio i filoni di indagine e scoprirne di nuovi. Questo lavoro rappresenta una delle prime esplorazioni sistematiche degli scritti dei Padri della Chiesa (in latino e greco) come base di studio non solo per la storia dei farisei, ma dello sviluppo della loro immagine nelle comunità cristiane dei primi secoli. In una prima sezione l'analisi statistico-lessicografica ha permesso di seguire l'uso del sostantivo fariseo (?a???a?o? - pharisaeus) e dell'aggettivo farisaico (?a???a????- pharisaicus) nei vari autori, realizzando una mappa temporale, evidenziando lo sviluppo di una visione tipologica del fariseo, ed identificando gli autori o scritti più importanti di tale evoluzione. La successiva sezione affronta uno studio analitico degli scrittori cristiani identificati come più rilevanti e realizza un catalogo dei passi in cui sono presenti direttamente i farisei. In questo modo è stato possibile identificare le varianti del tipo farisaico in relazione alle comunità cristiane cui appartengono autori e scritti in cui i farisei sono citati. Questo catalogo, con una analisi specifica di ogni passo considerato, costituisce una base documentale a disposizione del lettore, non solo per sostanziare le conclusioni dello studio, ma come sostrato essenziale per future ricerche. La ricerca identifica non solo il progressivo affermarsi di una figura farisaica, quale immagine letteraria dell'ebreo pervicace ostile ai cristiani, ma una pluralità di sviluppi che hanno portato da un lato allo stereotipo moderno, dove fariseo è sinonimo di ipocrita, dall'altro ad una visione del fariseo diversa, complessa, ma non definitivamente negativa (pseudo-clementine). L'evoluzione tipo farisaico e le sue diverse sfaccettature sono riconosciute come espressione del cammino teologico delle prime comunità, incamminate verso la definizione della propria identità, di ciò che è cristiano, di ciò che è eretico e di ciò che è ebreo.
Si può parlare di una dimensione psicologica dei personaggi biblici, oppure una tale denominazione potrebbe sembrare avventata? Certamente nella Scrittura, sia nel racconto che in versi, è viva un'attenzione a quanto alberga nell'interiorità umana e divina. Pertanto, anche il lettore di oggi, a distanza di più di due millenni, può rileggere sé stesso nel testo perché alcune dinamiche in esso presenti si rispecchiano nella propria vita. La distanza storica, culturale e sociale è in parte colmata dal comune retroterra umano che permette di interpretare quei movimenti interiori che ricorrono a latitudini e in tempi differenti. La paura, l'angoscia, la tristezza, la gioia, la gratitudine, per esempio, pur esprimendosi diversamente in contesti distinti, fanno parte dell'esperienza profonda dell'uomo in tempi e in culture lontani tra loro. Così ciascuno può trovare nella Scrittura le parole per esprimere ciò che pensa e ciò che sente. Questo studio legge i testi biblici anche attraverso l'ausilio degli strumenti dell'analisi narrativa, per far luce su quegli elementi della dimensione interiore che emergono nelle pagine della Bibbia ebraica. Il percorso proposto procede alla scoperta della ricca caratterizzazione dei personaggi biblici.
Con questo Frédéric Manns - considerato uno dei maggiori esperti del Nuovo Testamento e del Giudaismo - non si propone di scrivere una biografia di Gesù in senso «storico-critico»; il suo scopo, piuttosto, è di ricollocare i Vangeli nel loro contesto originale. Sottolineare l'ebraicità di Gesù (Yehoshuà') può sembrare superfluo a qualcuno, ma molti cristiani sembrano ancora ignorare questo dato di fatto e restano così culturalmente estranei alle proprie radici. Yehoshuà nasce nella Palestina controllata dai romani. La sua predicazione si svolge in un periodo in cui Israele, che pure subisce il fascino della civiltà ellenistica, è agitato da sussulti messianici: nella società dell'epoca è particolarmente diffusa, a tutti i livelli, la speranza di un intervento divino che liberi il paese dalla dominazione straniera. Di fronte alle opere e alle parole del giovane maestro nazareno, gli ebrei reagiscono talvolta con entusiasmo, talaltra con scetticismo. È un profeta? È il messia? O è semplicemente uno dei tanti impostori ed esaltati che si manifestano in quel tempo di tensione politica e spirituale? Con un ritmo incalzante, il racconto di padre Manns rievoca la vita di Gesù sullo sfondo dei riti, delle speranze e delle delusioni degli ebrei del I secolo, senza trascurare i dubbi dei discepoli, l'ambiguità dei saggi, e la crescente diffidenza delle autorità nei confronti del rabbi galileo, fino al dramma del suo arresto e della sua crocifissione.
I testi qui raccolti propongono alcune riflessioni su un tema di grande interesse religioso, culturale e storico: il messianismo. Essi, partendo da una appassionante esegesi del trattato b.Sanhedrin del Talmud, tentano una delimitazione concettuale (o filosofica) di questo fenomeno ed individuano nell’etica le condizioni preliminari dell’esperienza salvifica per l’uomo contemporaneo. L’idea messianica viene così ripensata al di là della classica contrapposizione tra visioni utopistiche metastoriche e realizzazioni intrastoriche. Levinas concepisce il messianismo − tratto “particolare” del popolo ebraico e della sua storia − come una struttura universale della “soggettività” e dell’umano in generale, che consiste nell’assunzione di responsabilità nei confronti del prossimo. Ogni uomo deve essere Messia se vuole essere pienamente uomo. E può esserlo ogni volta che ascolta la voce del comandamento etico e religioso che lo destina a servire l’altro uomo: che lo «destina a servire l’universo» e ad instaurare la giustizia.
EMMANUEL LEVINAS (1905-1995) è stato tra i più importanti filosofi della seconda metà del Novecento. Per Morcelliana ricordiamo: La violenza del volto (2010).
Il presente volume raccoglie i contributi del Corso di aggiornamento per gli Insegnanti della Religione Cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado, promosso dall'Istituto Superiore di Scienze Religiose di Assisi, e dedicato al tema Democrazia e teocrazia nei testi sacri e nelle tradizioni dell'Ebraismo, Cristianesimo e Islamismo (Assisi, ottobre 2019). Al di là della lunga storia dei due concetti i contributi offerti cercano di mostrare l'attualità delle tematiche e i numerosi risvolti che hanno nell'ambito del contesto storico attuale.
Il presente volume raccoglie i contributi del Corso di aggiornamento per gli Insegnanti della Religione Cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado, promosso dall'lstituto Superiore di Scienze Religiose di Assisi, e dedicato al tema Il maschile e il femminile nei testi sacri e nelle tradizioni dell'Ebraismo, Cristianesimo e Islamismo (Assisi, ottobre 2018). Il Corso ebbe un notevole successo non solo per la competenza degli studiosi che parteciparono, ma grazie anche all'universalità e all'attualità del tema portante, il maschile e femminile nelle diverse tradizioni religiose monoteiste, affrontato seguendo un metodo multidisciplinare: biblico, teologico, storico, filosofico. La scelta della tematica Il maschile e ii femminile scaturiva dalla constatazione di ordine culturale e dal soddisfacimento di un'esigenza sentita da molti: negli ultimi anni la riflessione teologica sul maschile e femminile ha posto in evidenza le linee principali, a volte percepite come contraddizioni, presenti nei testi sacri e le tradizionali interpretazioni di esse. Di qui la necessita di rileggere tali indicazioni senza alcun tipo di pregiudizi e stereotipl tramandati come "ovvietà" e che a volte sono in contrasto con il messaggio fondamentale delle Scritture stesse.
Contributi di G. BRUSCOLOTTI, S. SEGOLONI RuTA, M. PUCCIARINI, F. FARAGHINI.
Curatore: Matteo Monfrinotti, Direttore della rivista scientifica Convivium Assisiense e della collana Strumenti IRC.
Il libro scritto dal professore Meir BarAsher, uno dei più qualificati studiosi di letteratura araba dell'università ebraica di Gerusalemme, esamina la visione del Corano dei "figli di Israele" biblici e degli ebrei del periodo coranico, così come le origini coraniche del dhimma (protezione delle minoranze che vivono sotto il dominio dell'Islam). Il testo presenta anche il contributo fornito dalla tradizione ebraica all'esegesi musulmana del Corano, così come i parallelismi tra la legge religiosa ebraica, o halakha, e la shari'a. Rivela, soprattutto, la complessità insita nel modo in cui la tradizione islamica si rapporta alla figura dell'ebreo e al giudaismo, contrariamente alla semplicistica caricatura promossa sia dai predicatori islamisti sia dagli islamofobi. Si tratta pertanto di un prezioso contributo di studio alla conoscenza del testo sacro dell'Islam, che fornisce anche un esempio significativo di una modalità precisa e rispettosa di leggere i testi sacri, osservandone le origini, le connessioni e le ricchezze.
«Noi studiamo il mutamento perché siamo mutevoli», scriveva il grande storico dell'età classica Arnaldo Momigliano. «A causa del mutamento la nostra conoscenza non sarà mai definitiva: la misura dell'inatteso è infinita». Questo libro affronta il rapporto mutevole fra ebrei e cultura italiana in un arco cronologico inconsueto: dalla Restaurazione al cinquantenario delle leggi razziali, quando si chiude una stagione e se ne apre un'altra, quella dell'uso pubblico della storia nella quale siamo tuttora immersi. I capitoli ruotano intorno a quei personaggi che sono stati capaci di oltrepassare la siepe nei rari momenti in cui il salto fu loro consentito: il primo sionismo, il modernismo, l'antifascismo e i conti con il fascismo, la battaglia per la libertà religiosa dopo il Concordato e l'art. 7 della Costituzione.
Nonostante le semplificazioni frequenti, che ne danno un'immagine statica e definita, la nozione di cittadinanza è piuttosto un indicatore critico, un punto di convergenza di processi giuridici, politici e sociali di grande intensità. La cittadinanza, infatti, definisce anche la non-cittadinanza, l'alterità, in un certo modo l'esclusione: neanche uno Stato democratico sfugge a questa regola dialettica, all'individuazione inevitabile del "proprio" straniero. Delle asperità di questo complesso dibattito Israele rappresenta un caso particolarissimo e ricco di indicazioni, possibilità e suggestioni. È proprio qui, infatti, che il problema antico della cittadinanza mostra con straordinaria evidenza la sua modernità sorprendente, fra i dilemmi di una definizione puramente giuridica e le difficoltà di quella condivisione di valori e di cultura che ne sostanzia il significato. Per queste ragioni, nella composita e non pacificata società israeliana, indagare le forme della cittadinanza significa anche tentare, in un contesto particolarmente difficile, possibili prove di convivenza.