Nel nostro tempo è sempre più dominante la convinzione che la verità, qualsiasi forma di verità, abbia un carattere storico e pragmatico. Ne deriva una concezione della filosofia, oggi oltremodo diffusa, che nega ogni verità e riconosce la propria stessa controvertibilità, storicità, pragmaticità.
A partire da questo sfondo Emanuele Severino discute le posizioni di alcuni filosofi italiani che hanno rivolto critiche e obiezioni al suo pensiero: da Massimo Cacciari a Vincenzo Vitiello, da Carlo Arata a Umberto Galimberti, da Massimo Donà a Vero Tarca, solo per citarne alcuni. Per Severino non solo c'è una dimensione comune sia alla concezione tradizionale della verità, sia alla distruzione di tale concezione – quella operata appunto dal pensiero filosofico del nostro tempo.
Ben oltre questa dimensione, anzi, la verità stessa è destinata a un senso che non appartiene alla storia dell'Occidente. E come tale già da sempre appare in ciò che vi è di più profondo in ciascuno di noi.
Emanuele Severino (Brescia, 1929) è uno dei più importanti filosofi contemporanei. Ha pubblicato numerose opere soprattutto con Adelphi e Rizzoli. Accademico dei Lincei, è da molti anni editorialista del "Corriere della sera".
Crisi della ragione, perdita del centro, decadenza dei valori: il nichilismo si è presentato a volte con il proprio nome, a volte sotto altre sembianze. Ma che cos'è propriamente il nichilismo? Da dove viene quest'"ospite inquietante" - come Nietzsche lo definisce - che si aggira ormai ovunque in casa nostra e che nessuno può mettere alla porta? Attraverso un'analisi storico-concettuale, Volpi risale alle radici del fenomeno, ne illustra il manifestarsi nel pensiero del Novecento e prepara una prospettiva "oltre il nichilismo".
"È evidente che tutte le scienze hanno una relazione più o meno grande con la natura umana, e anche quelle che sembrano più indipendenti, in un modo o nell'altro, vi si riallacciano. Perfino la matematica, la filosofia naturale e la religione naturale dipendono in certo qual modo dalla scienza dell'uomo, poiché rientrano nella conoscenza degli uomini, i quali ne giudicano con le loro forze e facoltà mentali. E impossibile prevedere quali mutamenti e progressi noi potremmo fare in queste scienze se conoscessimo a fondo la portata e la forza dell'intelletto umano, e se potessimo spiegare la natura delle idee di cui ci serviamo e delle operazioni che compiamo nei nostri ragionamenti."
L’assunto fondamentale di questa monumentale opera del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, OP, è un approfondimento scientifico della nozione metafisica di persona, nei suoi tre gradi fondamentali (persona umana, persona angelica e persona divina), mediante l’uso delle categorie metafisiche della analogia e della partecipazione.
L’analisi di P.Tyn consente così di raggiungere un concetto unitario e nello stesso tempo plurificato di persona. In modo speciale è interessante la distinzione tra la persona umana, composta di anima e di corpo, e la persona puramente spirituale (angelica e divina). Inoltre è importante la distinzione tra persona finita (umana ed angelica), dove si dà la composizione reale di essenza-esistenza e di sostanza-accidenti, e la Persona divina, la quale è pura sostanza e nella quale l’essenza coincide con l’esistenza, ciò che S.Tommaso chiama l’ipsum esse per se subsistens.
La Persona divina in quest’opera non è considerata nel senso trinitario della fede cattolica, come “Relazione Sussistente”, ma in senso puramente metafisico, come quella che il Concilio Vaticano I chiama una singularis substantia spiritualis, ossia la natura divina.
La parte teoretica è preparata da una dotta e ricca disamina storica, nella quale l’Autore presenta, a partire dall’antica Grecia fino ai nostri giorni, l’evoluzione del concetto metafisico di persona posto in stretta relazione con le categorie fondamentali dell’ente, dell’essere, dell’essenza, della forma, dell’atto e della potenza.
La grande utilità che sorge da quest’opera di P.Tyn è data dal fatto che essa espone i fondamenti metafisici della morale e quindi fornisce un’illuminante indicazione su quelli che devono essere i criteri fondo per discernere nella complessa situazione di oggi ciò che serve alla persona umana e ciò che invece la distrugge.
"Diritto naturale e storia" è l'opera fondamentale di Leo Strauss. La tesi provocatoria secondo cui la filosofia politica degli antichi pensatori greci è di gran lunga superiore alla scienza politica dei moderni, viene sostenuta e esposta nel corso di un'ampia trattazione che ha per oggetto la storia del concetto di diritto naturale. Strauss vuole dimostrare che la teoria classica del giusnaturalismo è l'unica capace di conferire un genuino fondamento filosofico non solo ai diritti inalienabili dell'uomo e del cittadino sanciti nelle costituzioni delle democrazie occidentali, ma anche ai nuovi diritti di cui la società contemporanea avverte l'esigenza.
Nelle quattro lezioni tenute al Collège de France e raccolte in questo volume, Jean Francois Billeter, sinologo di fama mondiale, cerca di "dare un'idea delle scoperte che si possono fare quando ci si accinge a studiare in modo scrupoloso e al tempo stesso immaginativo" il testo di Zhuangzi, grande filosofo cinese del IV secolo a.C. Partendo da una nuova traduzione e interpretazione di aneddoti, espressioni e termini contenuti nel libro, Billeter rende con grande forza l'esperienza sapienziale che nasce dallo studio del Zhuangzi e, insieme, consente al lettore contemporaneo di condurne una parallela attraverso le parole del filosofo: la ricerca di un livello più completo di percezione e conoscenza nel quale, superando i limiti dell'attività intenzionale e cosciente e aprendosi a quella necessaria e spontanea, si congiungono tutte le risorse e le facoltà che dimorano in ognuno di noi - quelle conosciute e quelle sconosciute. Ne deriva un sentire più profondo e essenziale dei fenomeni, del mondo e di se stessi, una visione più integra e inesplorata dell'esperienza umana.
Giorgio Tonelli e Norbert Hinske hanno messo in evidenza come le fonti dell'aristotelismo tedesco siano necessarie per chiarire l'uso kantiano del termine "trascendentale", ma non sono riusciti a documentare legami diretti. Grazie a nuovi ritrovamenti, l'Autore propone Franz Albert Aepinus come "l'anello di congiunzione" cercato sovente anche da altri. Su questa base, la filosofia trascendentale kantiana viene interpretata come una risposta al problema strutturale della filosofia trascendentale scolastica: la necessità e impossibilità di pensare un ambito antepredicativo.
Nel corso che tiene nel 1983, Michel Foucault, già malato, continua la sua rilettura della filosofia antica e inaugura la ricerca sulla nozione di parresia (dire la verità, parlar franco). L'attività della parresia si configura come pratica di libertà, collocata in uno spazio di "esteriorità" rispetto alle istanze di potere. Attraverso lo studio di questa nozione, Foucault torna a interrogarsi sul significato di cittadinanza nella Grecia antica e mostra come il "coraggio della verità" - assolutamente evidente nella posizione antagonista dei cinici - costituisca il fondamento etico dimenticato della democrazia greca. Con la decadenza della polis, il coraggio della verità si trasforma e diventa il modo con cui il filosofo esercita la sua direzione sulla formazione dell'anima del principe e quindi sul governo degli altri. Nel rileggere i pensatori greci, Foucault costruisce una figura di filosofo in cui si riconosce: ciò che va definendo è la propria appartenenza alla modernità, il proprio ruolo di filosofo, il proprio modo di pensare e di essere.
Il libro
Una nuova prospettiva sul rapporto tra violenza e religione in polemica con René Girard. Qual è il rapporto
fra la concezione del divino delle tradizioni monoteistiche e la violenza che gli uomini possono esercitare anche nel nome di Dio? Perché lo stesso Dio della Bibbia si presenta, più e più volte, come un Dio violento? A queste domande cerca di rispondere Violenza: la politica e il sacro, anche entrando in polemica con concezioni oggi fin troppo note e unilaterali sul rapporto fra violenza e religione, come quelle di Girard e di Assman. La prospettiva interdisciplinare assunta e la collaborazione in un progetto di ricerca comune di prestigiosi studiosi della Northwestern University (USA) e dell'U ni versità di Pisa consentono di affrontare la questione in maniera documentata e non ideologica.
I curatori
Adriano Fabris insegna Filosofia morale, Filosofia delle religioni ed Etica della comunicazione all'Università di Pisa, dove dirige i Master di I e II livello in Comunicazione Pubblica e Politica e il Centro Interdisciplinare di ricerche e di servizi sulla Co municazione. Collabora altresì con l'Istituto di Filosofia Applicata della Facoltà Teologica di Lugano, dove dirige il Master in Scienza, Filosofia e Teologia delle Religioni.
Fra i suoi libri più recenti: Paradossi del senso (2002), Teologia e filosofia (2004), Etica della comunicazione (2006), Senso e indifferenza (2007).
Kenneth Seeskin è professore di Filosofia alla Northwestern University (Evanston, Illinois), dove attualmente presiede
il Dipartimento di Filosofia. È specializzato in Filosofia Ebraica, Filosofia Antica e Medievale, Filosofia della Religione.
Fra i suoi libri più recenti: Maimonides on the Origin of the World (2005), Autonomy in Jewish Philosophy (2001), Jewish Philosophy in a Secular Age. Ha curato la traduzione inglese della Guida per i perplessi di Maimonide e ha edito il Cambridge Companion to Maimonides.
Sommario
Robert Wallace, I Greci preferivano la guerra alla pace?
Stefano Perfetti, Figure di violenza nella "Città di Dio" di S. Agostino
Regina Schwarz, Violenza e idolatria
Kenneth Seeskin, Perché il monoteismo è violento e non può
che essere violento
Adriano Fabris, Il Dio della Bibbia e la violenza
Penelope Deutscher, L'auto-immunità e la violenza del bruto
Di diritti umani parlano testi costituzionali e dichiarazioni universali, Ong e organizzazioni finanziarie transnazionali, neoconservatori, liberali e no-global. Ci si riferisce ai diritti umani per legittimare sia le guerre umanitarie e l'imposizione delle politiche economiche, sia le lotte contro il neoliberismo. Ma cosa significa che i diritti umani sono "diritti", e cosa significa che sono "umani"? Davvero in tutto il mondo uomini e donne fanno riferimento agli stessi principi? Ne condividono il significato, vi attribuiscono lo stesso valore, li interpretano allo stesso modo? In che rapporto stanno i diritti collettivi e quelli degli individui, i diritti di libertà e i diritti sociali, i diritti politici e i diritti culturali? Definire una facoltà, un bene o un valore come un diritto è lo stesso che considerarli come l'oggetto di un dovere? L'autore muove da questi interrogativi per la sua analisi che unisce l'ottica teorico-giuridica alla ricerca storica sulla genealogia dei diritti umani.
"A chi chiede a che cosa serva la filosofia, bisogna rispondere aggressivamente perché la domanda è volutamente ironica e caustica. La filosofia serve a denunciare la bassezza del pensiero in tutte le sue forme, a trasformare il pensiero in qualcosa di aggressivo, attivo e affermativo, a formare uomini liberi, che non confondano cioè i fini della cultura con gli interessi dello stato, della morale o della religione, a combattere il risentimento e la cattiva coscienza che hanno usurpato in noi il pensiero, a sconfiggere infine il negativo e il suo falso prestigio."
"La filosofia si è mondanizzata, e la dimostrazione più schiacciante di questo fatto è che la coscienza filosofica è coinvolta non solo esteriormente ma anche interiormente nel tormento della lotta. Se la costruzione del futuro e il ritrovamento di una soluzione valida per tutti i tempi non è affar nostro, tanto più appare chiaro ciò che dobbiamo compiere al presente, e cioè la critica spregiudicata di tutto ciò che esiste, spregiudicata nel senso che in generale la critica non si atterrisce di fronte ai suoi risultati e nemmeno di fronte al conflitto con le forze esistenti."