La lettura di queste pagine aiuterà a riflettere circa il significato che hanno i funerali o esequie e l’atteggiamento che si deve avere nel partecipare a questo atto di culto a Dio. L’Autore sottolinea come i funerali costituiscano un momento privilegiato per annunciare ai presenti le verità di fede contenute nel Credo che sono in rapporto diretto con la morte: la risurrezione e la vita eterna. Vi sono anche delle riflessioni sul peccato e sull’atteggiamento di conversione che dobbiamo avere durante tutta la vita.
Il Cardinale Jorge Arturo Medina Estévez, Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, è nato a Santiago de Chile (Cile) il 23 dicembre 1926. Si è laureato in teologia nel 1955, ha insegnato filosofia nel Seminario fino al 1965 e teologia nella Facoltà della Pontificia Università Cattolica del Cile fino al 1994. Della Facoltà di teologia è stato, per alcuni anni, anche Decano. Ed è stato, dal 1974 al 1985, anche Pro-Gran Cancelliere della Pontificia Università Cattolica del Cile. Nel 1962 Papa Giovanni XXIII lo ha nominato perito al Concilio Ecumenico Vaticano II. Ha collaborato con vari Organismi della Curia Romana. Tra questi, la Commissione di preparazione del Codice di Diritto Canonico, a partire dagli anni 1964-1965; la Commissione Teologica Internazionale dal 1969; ed infine il Comitato di redazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, a partire dal 1987. A questo lavoro si è dedicato fino alla promulgazione del Catechismo, avvenuta nel 1992. Eletto Vescovo titolare di Tibili e allo stesso tempo nominato Ausiliare di Rancagua il 18 dicembre 1984, ha ricevuto l'ordinazione episcopale da Giovanni Paolo II nella Basilica di san Pietro, nella Solennità dell'Epifania del 1985. Nel 1986 è stato nominato Amministratore Apostolico della Diocesi di Rancagua ed il 25 novembre 1987 ne è divenuto Vescovo. In questa Diocesi ha prestato il suo servizio fino a quando Giovanni Paolo II lo ha nominato, il 16 aprile 1993, Vescovo di Valparaíso. Nel 1992 il Papa lo ha nominato Segretario Generale della IV Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-americano, celebrata dal 12 al 28 ottobre dello stesso anno a Santo Domingo. Il 21 giugno 1996 Giovanni Paolo II lo ha nominato Pro-Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Lo stesso giorno ha rinunciato al governo pastorale della Diocesi di Valparaíso. Il 19 settembre dello stesso anno è stato nominato Arcivescovo. È divenuto Prefetto del dicastero il 23 febbraio 1998, dopo la nomina a Cardinale. Dal 1° ottobre 2002 è Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Ha partecipato al conclave dell’aprile 2005 che ha eletto Papa Benedetto XVI. Autore di numerose pubblicazioni tra libri, opuscoli ed articoli teologico-pastorali su temi ecclesiologici, di spiritualità e di diritto canonico
“Ospitalità” è una parola inattuale. Lo straniero, portatore di benedizioni in tutta la tradizione antica e biblica, si è trasformato in un’oscura minaccia. L’ospite non è più un dono per chi lo riceve. Eppure il riconoscimento dell’altro, dello straniero ospitato come noi in questa terra, è il primo passo per una cultura dell’accoglienza, umana e cristiana. Su questa capacità di fare spazio al forestiero, al diverso, si fonda per il vangelo il giudizio sulla storia: “Ero straniero e mi avete accolto”.
Il presente volume raccoglie gli Atti del XXV Convegno ecumenico di spiritualità ortodossa, in cui cristiani d’oriente e d’occidente osano parlare il linguaggio dell’accoglienza e della gratuità, per riscoprire insieme l’ospitalità come dono.
I saggi qui raccolti sono nati dalla ventennale collaborazione dell’autore ai convegni ecumenici internazionali di spiritualità ortodossa di Bose: esplorando da prospettive diverse l’eredità dei padri della chiesa indivisa, questi testi fanno emergere un’autentica teologia spirituale per l’uomo contemporaneo. Viene così tracciato un itinerario intellettuale che è anche un’introduzione alla comprensione ortodossa del cammino spirituale quale esperienza di trasfigurazione, culminante nella visione o partecipazione della luce divina.
Ilarion Alfeev (Mosca 1966), metropolita di Volokolamsk, è presidente del dipartimento per le relazioni esterne del patriarcato di Mosca. Patrologo, teologo e musicista apprezzato, presso le nostre edizioni ha pubblicato, tra gli altri, La gloria del Nome (2002) e Cristiani nel mondo contemporaneo (2013).x
Le riflessioni sul rapporto tra la "spiritualità e il "dogma cristiano" sono motivate sia dalla preoccupazione per la "teologia spirituale" che, a causa di tendenze che assolutizzano l'aspetto esperienziale, rischia di incorrere in un soggettivismo e di perdere il suo fondamento teologico, sia dal diffuso fondamentalismo religioso nelle società secolarizzate che suscita la domanda circa il rapporto tra il contenuto della fede e la sua espressione e spinge a riflettere sulle implicazioni vicendevoli dell'uno sull'altra. Tuttavia anche la direzione spirituale di molte persone e l'esperienza dei progressi e delle difficoltà nel loro cammino spirituale hanno sensibilizzato l'autore ai problemi risultanti dalle loro convinzioni teologiche e dal loro modo di vivere la fede in Gesù Cristo e così lo hanno portato a studiare più attentamente il nesso tra dogma e fede vissuta.
Il libro prende avvio da una spietata diagnosi dell'epoca attuale, segnata in Occidente dalla «dimenticanza di Dio». «Ci ha colpito una segreta forma di incredulità. "Immersi nel mondo", impariamo ad avere comprensione per "quelli che pensano diversamente" e ci lasciamo anche - sottilmente o in maniera eclatante - influenzare da loro. Sparisce ogni sicurezza religiosa». La terapia che l'autore propone è di riscoprire il «volto» di Dio rileggendo con attenzione le Scritture per riflettere sui diversi modi della sua manifestazione: oscurità luminosa, emanuele o «Dio con noi», fuoco, potenza, parola, santità ecc. Naturalmente, resta centrale la figura di Cristo, la massima conoscibilità di Dio per noi, ma dev'essere compresa sullo sfondo dell'Antico Testamento, la cultura-ambiente da cui Gesù stesso ha tratto i termini-chiave da rielaborare nella sua predicazione. Inoltre, vengono tratteggiati i profili di persone di diverse epoche che possono affascinarci con la concretezza della loro testimonianza e farci comprendere che anche per noi, attraverso Gesù Cristo, Dio può diventare la sorgente di una nuova qualità di fede, poiché la loro vita è un segno autentico del fatto che Dio ha voluto rivelare se stesso agli uomini.
Riflessioni storiche sulla spogliazione del Povero di Assisi
La manifestazione pubblica della propria nudità torna in almeno tre episodi importanti della vita di san Francesco: a Roma sul sagrato di S. Pietro, ad Assisi davanti alle autorità cittadine, e alla Porziuncola, al momento della morte. La spogliazione costituisce una delle chiavi di lettura più affascinanti e meno studiate della vicenda personale del santo di Assisi. Da questa constatazione nasce il libro che presentiamo: una riflessione sulle intenzioni di Francesco e sulle interpretazioni di questo gesto fiorite subito dopo la sua morte, per cercare di comprendere sino in fondo la vita e il messaggio del Povero di Assisi.
Marco BARTOLI professore associato di Storia medievale presso la LUMSA di Roma, discepolo di Raoul Manselli, è specialista in storia del pensiero e della vita religiosa degli ultimi secoli del medioevo occidentale, in particolare è conosciuto per le numerose pubblicazioni su Chiara e Francesco d’Assisi
Fragilità, debolezza. Parole che nell'immaginario collettivo richiamano precarietà, paura, immaturità, malattia. Sono considerate parole deboli, quasi inutili. L'obiettivo del presente saggio è quello, invece, di rivelare al lettore la potenzialità contenuta nelle molteplici fragilità della persona e nei percorsi di debolezza che vive quotidianamente, invitandolo a considerare tali realtà (di ogni essere umano) come criteri di crescita, maturità, fecondità. Come a dire: con le fragilità e la debolezza nulla è perduto. Anzi: tutto può ritrovare senso e significato. Esse ci appartengono, e da esse si possono attivare percorsi di scoperta di sé e delle relazioni con gli altri. Fragilità e debolezza non solo come percorsi introspettivi, ma nelle sue ascendenze evangeliche, che giungono a ricondurre la fragilità nel cuore della fede, della preghiera e della speranza, della morte. Per questo diventano formative e per questo sono potenziali alleate nel discernere. Ogni persona umana vuole essere forte. Ci impegniamo a dimostrarci forti davanti agli altri. Eppure, ogni uomo si porta addosso le sue debolezze. E consumiamo molte energie, se vogliamo nascondere queste debolezze. Se, invece, ci riconciliamo con esse, la debolezza si trasforma in forza. Perché la debolezza ci rende sensibili per gli altri uomini e ci apre a Dio. La fragilità è condivisione delle attese e delle speranze degli altri, ed è antidoto alla tristezza e alla rassegnazione, e questo è confermato dalla stessa Bibbia (come declinato nella seconda parte del saggio). La fede e la speranza fanno parte della nostra vita, la fragilità dà un senso anche alle ore del dolore, dell'angoscia e della tristezza. Fragilità e debolezza, pertanto, possono divenire potenziali criteri da valorizzare nella formazione umana e paradigmi per l'esercizio del discernimento. Un testo pensato e scritto come un servizio al lettore per il tempo attuale: porsi di fronte a fragilità e debolezze per sperimentarle non come fine e chiusura, ma come uno spiraglio aperto verso la grazia di Dio.
Questo breve ma solido approfondimento sul tema del "perdono" scritto da Francesco Lambiasi, Vescovo di Rimini, è un cammeo, un essenziale percorso ascetico che tutti, prima o poi, dovremmo affrontare. Concludono il testo una "ginnastica degli esercizi spirituali", per crescere nella pratica del perdono, e alcune fortissime testimonianze, a cura di Paolo Guiducci, che ci aiuteranno nella nostra personale, quotidiana, rigenerante fatica della riconciliazione.
"Nessun uomo è un'isola", titolo ripreso da un passo di John Donne, vuole significare che ogni uomo, per l'amore di Dio vivente e operante in lui come in ogni altro essere umano, non è solo, ma è parte di tutta l'umanità. Merton, definito da papa Francesco "una guida e una fonte di ispirazione" e dal Dalai Lama "un amico intimo, un amico spirituale, un fratello", ci parla in queste pagine con l'umiltà e la saggezza che nascono da dieci anni di vita monastica. Il tono colloquiale e umanissimo ricorda il Merton della "Montagna dalle sette balze", in grado di "dividere con ogni uomo i frutti della contemplazione".
A quarant’anni di distanza da Il cristiano davanti alla morte, dedicato a quello che accade di fronte alla morte a cristiani ed esseri umani in generale, il teologo Paolo Ricca affronta – anche attraverso un ampio excusus storico-teorico –, il tema ulteriore della possibile esistenza di un aldilà e di una vita futura, oltre la morte.
«Ha senso parlare dell’aldilà, sapendo di non saperne nulla? Fin dall’antichità più remota sono state formulate sull’argomento molte teorie, tutte ipotetiche, alcune, forse, più plausibili, altre meno, che meritano di essere conosciute prima di venire eventualmente scartate.
Il fatto incontestabile che non ci siano certezze (a prescindere, per un momento, da quelle della fede) non impedisce di ritenere che qualcosa, pur non essendo certo, sia possibile, a cominciare dalla possibilità che esista un aldilà, nel senso di una vita oltre la morte. Non ci sono prove che un aldilà o la vita oltre la morte esistano, ma neppure che non esistano. L’aldilà non è certo, ma è possibile».
Paolo Ricca
Il volume contiene una raccolta delle meditazioni tenute ai presbiteri della curia romana durante i periodi forti dell’anno liturgico: Avvento, Quaresima e il tempo di Pasqua. Esse hanno messo a fuoco il tema del discepolato come imitazione di Cristo e conformazione a lui, riletto attraverso la vita, il ministero e la predicazione dell’Apostolo Paolo. Il testo che il lettore avrà tra le mani, dunque, potrà essere d’aiuto a cogliere in modo unitario l’esperienza dell’essere credente: accogliere l’invito del Cristo, e decidere di seguirlo, comporta un vero e proprio cambiamento di identità e un’opera di profonda trasformazione, che, anche nelle ferite, nelle fragilità della carne e nelle imperfezioni umane, è lo Spirito Santo a realizzare.
Don Antonio Pitta, è presbitero della Diocesi di Lucera (FG) e professore ordinario di Nuovo Testamento presso la Pontificia Università Gregoriana. Inoltre è membro dell’International New Testament Society e direttore di Supplementi di Rivista Biblica.
Notevole risonanza hanno riscosso i suoi commentari alle lettere paoline e la Sinossi paolina bilingue. Collabora inoltre con le maggiori riviste bibliche italiane e internazionali.
Il capolavoro di Czepko, i "Sexcenta monodisticha sapientum", è la raccolta poetica che ha ispirato all'amico Angelus Silesius il "Pellegrino cherubico" e, al pari di questo, si può considerare una vera e propria summa della tradizione spirituale classica e cristiana. I distici di Czepko trattano, con concettosa brevità, il tema cruciale del destino dell'uomo e dell'unione dell'anima con Dio. Il materiale speculativo dei versi è fornito all'autore dalla filosofia greca, dal mondo cristiano antico, ma soprattutto dalla mistica tedesca, medievale (Eckhart, Taulero, la Theologia deutsch) e rinascimentale (Franck, Weigel, Böhme). Con sublime arditezza il poeta ci parla così di distacco da se stessi, di "morte dell'anima", di ritorno all'origine e ricongiungimento a quell'Uno da cui, in realtà, non siamo mai usciti.