Il modo in cui i cristiani consideravano il destino dell'anima nell'aldilà subí una radicale e rivoluzionaria mutazione tra la fine del mondo antico e l'inizio del Medioevo, cioè tra il 250 e il 650 d.C. Peter Brown descrive come questo cambiamento abbia trasformato il rapporto istituzionale della Chiesa con il denaro e posto le basi al suo dominio della società medievale d'Occidente. Secondo la dottrina cristiana delle origini i vivi e i morti erano ugualmente peccatori, bisognosi gli uni degli altri per ottenere «il riscatto dell'anima». Le intercessioni devote dei vivi potevano dunque determinare il diverso destino, tra paradiso o inferno, delle anime dei defunti. Nel III secolo, il denaro cominciò dunque a giocare un ruolo decisivo: i cristiani benestanti iniziarono a far uso di pratiche devozionali sempre piú raffinate per mettere in salvo la propria anima e quella dei loro cari: assicurandosi sepolture in luoghi privilegiati e facendo ricche donazioni alla Chiesa. A partire dal VII secolo, in Europa cominciarono a proliferare sontuosi monasteri e cappelle funerarie che attraverso lo splendore dei marmi rendevano visibile le qualità cristiane dei morti piú facoltosi, come se una parte del tesoro immaginato in cielo fosse ricaduto sulla terra. In relazione alla crescente influenza del denaro, la dottrina della Chiesa sulla vita dopo la morte da argomento speculativo si trasformò in qualcosa di molto piú concreto. L'uso della ricchezza personale per cercare di raggiungere la salvezza dell'anima, oltre ad alimentare sbalorditive dimostrazioni di generosità, scatenò accesi dibattiti, destinati a protrarsi per secoli, sul significato e l'uso appropriato della ricchezza come anello di congiunzione tra cielo e terra, vivi e morti.
Il libro presenta una nuova edizione della più antica biografia di sant'Ambrogio (339/340-397). L'opera, risalente agli inizi del V secolo, fu scritta da Paolino, testimone oculare degli ultimi anni della vita del santo. Grazie al proprio lavoro come notarius - una sorta di segretario che metteva per iscritto quanto Ambrogio dettava -, Paolino seppe garantire al proprio racconto precisione documentaria; rimanendo legato a un'impostazione agiografica, concesse ampio spazio a episodi miracolosi e straordinari. Il filo conduttore della narrazione è la grazia di Dio, che ha scelto Ambrogio come campione dell'ortodossia, strenuo difensore dei diritti della Chiesa, modello di vescovo totalmente dedito al proprio ministero pastorale.
San Benedetto da Norcia (480/490-547) è stato uno dei grandi protagonista del VI secolo. Erede dei monaci del deserto, fu allo stesso tempo un fondatore di monasteri e il "teorico" della vita monastica al quale farà riferimento tutta la tradizione occidentale. La sua Regola diede una nuova e autorevole sistemazione alla complessa, ma spesso imprecisa, precettistica monastica precedente. Nel solco di san Benedetto sorsero centri di preghiera, di cultura, di promozione umana, di ospitalità per i poveri e i pellegrini. Diventerà così il "padre dei monaci d'Occidente", prima di essere proclamato da Paolo VI "Patrono dell'Europa cristiana". Questa biografia non si limita a narrarne la vita, ma ricostruisce anche l'importanza della sua opera per i secoli a venire.
Fonti greche sulla vita di Pacomio e dei suoi discepoli. Introduzione, traduzione e note a cura di L. d'Ayala Valva.
«Toccare un po' Dio nello spirito è una grande felicità, ma comprenderlo è del tutto impossibile». A questo denominatore Agostino riconduce quella che può essere considerata l'eredità della sua vita e del suo pensiero, assorbiti e concentrati in un Dio inafferrabile e incomprensibile. Contro ogni concezione materialistica, egli insiste su questa verità: l'uomo singolo o il mondo intero nella sua estensione non possono abbracciare Dio, che è ovunque e non è afferrabile dal pensiero umano.Autore di un'opera fondamentale della cultura dell'Occidente - le Confessioni - Agostino è stato determinante per la teologia e la filosofia sia sul piano del contenuto che del metodo. La mistica medievale vive del suo patrimonio, della sua ardente ricerca di Dio e del suo «cuore inquieto».
Perché partire dal fondo, dall'ultimo testo delle Sacre Scritture? Perché iniziare i propri studi teologici proprio dall'Apocalisse? Forse perché è uno dei testi più enigmatici di tutti, quello di cui lo stesso san Girolamo diceva che ogni parola racchiudeva in sé un mistero e meritava riflessione e considerazione; forse perché è uno dei testi più dibattuti, per cui Beda può (e vuole) inserirsi in un ampio e vario dibattito. Forse perché l'inizio dell'VIII secolo fa sentire il giorno del Giudizio particolarmente vicino? Certo le pagine di Beda affascinano il lettore anche moderno, nella loro capacità di costruire giochi di immagini e significati, sempre avendo in mente lo scopo primo: aiutare il lettore nella crescita della sua fede. E questo fine ha cercato di rispettare anche la presente traduzione, unendo il rispetto per il testo con la comprensibilità che non allontana il lettore.
"Gli stimoli provenienti a una società sempre più cosmopolita e policroma, qual è quella in cui viviamo oggi, potranno probabilmente mettere in condizione i giovani studiosi di apprezzare i "cristianesimi" dell'antichità, nelle loro diverse declinazioni e caratterizzazioni culturali meglio di quanto non sia avvenuto nei decenni scorsi, quando si era persuasi di separare con l'accetta bianco e nero, verità ed errore, ortodossia ed eresia, e ciò a discapito dei chiaroscuri di cui è fatta la storia e la vita stessa, anche quella degli antichi cristiani" (G. Rinaldi). Questo libro intende offrire ai lettori un panorama il più completo possibile delle fonti utili per studiare le correnti del cristianesimo antico che sarebbero state poi definite "ereticali". Lo studio non comprende solo le fonti letterarie ma anche quelle documentarie: archeologia, iscrizioni, papiri. Inoltre, per la prima volta, sono presentate le testimonianze dei pagani sulle eresie e sulle lotte interne tra cristiani. Il repertorio include un elenco completo delle leggi dei secoli IV-V miranti a reprimere il dissenso religioso e le eresie.
Basilio, Gregorio di Nissa, Ambrogio, Girolamo, Agostino appartengono a un mondo che appare lontano dai bisogni e dagli interessi della nostra società 'liquida', peraltro dominata dai poteri forti dell'economia e della politica e dai ritmi frenetici delle accelerazioni tecnologiche. Poco importa se i Padri della Chiesa hanno compiuto una grande opera di risemantizzazione delle antiche forme letterarie, retoriche e filosofiche, mantenendo vivo il mondo classico e contribuendo alla formazione della modernità. Il loro 'luogo naturale' non deve essere uno scaffale delle biblioteche dei Seminari, il loro 'confino' un'aula universitaria frequentata da una cerchia molto ristretta di addetti ai lavori. L'idea che dei giovani liceali e universitari possano essere interessati e trovino il tempo per leggere i Padri suona alquanto strana e di controtendenza. Eppure, è questa la strada che l'autore e i suoi collaboratori hanno scelto di percorrere, raccogliendo il guanto di una sfida che si è rivelata di sorprendente vitalità, perché dal dialogo con il pensiero dei Padri sono sorte forti provocazioni e chiavi di lettura propositive per interpretare, vivere e trasformare il nostro tempo.
Nel IV secolo, in concomitanza con l'edificazione delle grandi basiliche costantiniane e la restaurazione della Gerusalemme cristiana, inizia a diffondersi la pratica dei pellegrinaggi ai luoghi dell'Antico e del Nuovo Testamento, considerati occasioni di conoscenza e di preghiera.Epistole inviate in patria, resoconti e «guide» agli itinerari geografici e liturgici vanno presto a costituire una vasta letteratura, nella quale si colloca con caratteristiche uniche l'Itinerarium Egeriae, resoconto in forma epistolare di un viaggio realmente compiuto in Terra Santa.L'autrice, conosciuta con il nome di Egeria, risulta a tutt'oggi non identificata storicamente e anche la datazione dell'opera, pervenuta attraverso un unico manoscritto scoperto ad Arezzo, è incerta.
Considerato tra i massimi interpreti del Cantico dei cantici, a cui dedicò una raccolta di quindici folgoranti omelie, Gregorio di Nissa si rivela seguace di Origene nell'interpretazione allegorica delle Scritture, di cui sostiene tuttavia anche il valore letterale. In questi testi, Gregorio condensa la riflessione teologica dell'età matura e vede nel libro sapienziale l'allegoria dell'iniziazione a Dio. La potenza creatrice della Parola, presenza stessa del Verbo, è attingibile in un processo di purificazione e di sintonizzazione mistica a cui l'interpretazione allegorica facilita il cammino. La scrittura interpretativa è a sua volta una celebrazione del potere della parola, che crea infinite immagini, fantasie di cose, piante, animali e racconti fino a ricoprire il già ricco testo biblico.
I Cinque Discorsi Teologici di Gregorio di Nazianzo sono il monumento perenne dell'indagine trinitaria, presentazione metodologica e sostanza del dogma. Li pronunziò a Costantinopoli nell'ostilità accanita di ariani e pneumatomachi. Gregorio è netto nelle idee e incisivo nella forma. Non si trattava di idee, si trattava della salvezza eterna. Soprattutto sullo Spirito Santo è stato risolutivo. Atanasio aveva impostato la dottrina, Basilio l'aveva perfezionata pure non senza reticenze, Gregorio la precisò definitiva. Nei secoli successivi la ricerca teologica sullo Spirito Santo si è costantemente ispirata e confrontata con questi Cinque Discorsi Teologici di Gregorio.
La redazione del Commento di Tommaso agli Analitici secondi (Posteriori) di Aristotele si colloca tra il 1271 e il 1272, vale a dire fra gli ultimi mesi del secondo periodo d'insegnamento dell'Aquinate a Parigi (1269-72) e l'inizio del suo nuovo incarico a Napoli. Il libro I del testo aristotelico è dedicato all'analisi della dimostrazione, dei suoi caratteri e dei suoi requisiti; una volta trattati questi temi, si può passare - nel libro II - alla considerazione dei principi della dimostrazione (vale a dire, il termine medio e i principi primi indimostrabili) e del modo in cui veniamo a conoscerli. Ma che cos'è la dimostrazione o "sillogismo dimostrativo", o "sillogismo scientifico"? In che cosa si differenzia dal sillogismo in generale, a cui Aristotele ha già dedicato i libri degli Analitici primi (Priori)? E perché ce n'è bisogno?