Spesso, proprio una vita semplice, custodita dalla freschezza della natura, poco conforme ai rumori che attirano
l’attenzione, quasi – verrebbe da dire – una vita anonima, trova la sua dignità in Cielo e si irradia sulla Terra. Proprio come tutte le cose di Dio.
Elisa Salerno (Vicenza, 16 giugno 1873 - 15 febbraio 1957) è impegnata, a cavallo tra due secoli, nella emancipazione culturale e religiosa delle donne. Da autodidatta, diventa un'acuta intellettuale che vota la sua esistenza al riconoscimento della dignità femminile. Da cattolica convinta, denuncia l'antifemminismo della Chiesa, considerandolo una forma di deviazione eretica. Il pensiero di Tommaso d'Aquino, con la sua definizione della donna come mas occasionatus, la cui ragione d'esistere è la procreazione, viene detto dalla Salerno, il cuore, da estirpare, dell'antifemminismo cristiano. Una notevole mole di scritti tra le lettere, articoli e volumi ci restituiscono il suo pensiero e la sua azione in difesa della donna nella Chisa. L'opposizione, l'ostracismo e le misure canoniche - come il divieto di accostarsi all'Eucarestia - di cui fu vittima, ne condannarono la figura all'oblio. Questo volume vuole essere un contributo al risarcimento che la sua memoria attende e un'occasione per far conoscere una donna che, come lei stessa ebbe a dire, aveva avuto la sorte di nascere in anticipo sulla storia.
Sullo sfondo della grande epopea del West cresce il giovane Alce Nero, indiano della nazione Dakota e della tribù Oglala. A 13 anni combatte a Little Big Horn, nella battaglia che segna la sconfitta del Generale Custer. A 27 anni è ferito a Wounded Knee, durante il massacro che pone termine alle Guerre Indiane. Nello scontro con la civiltà dei bianchi il suo mondo, il cerchio della sua nazione, si sta spezzando. Ancora bambino, Alce Nero ha avuto delle visioni. Una "Grande Visione" che gli ha dato la speranza di poter ancora salvare il suo popolo. Il filo conduttore della sua vita è la struggente nostalgia di un recupero della vita tradizionale e dell'unità del suo popolo ma neanche il viaggio in Europa con il circo di Bufalo Bill gli fa trovare nel mondo dei bianchi una "medicina". Sarà l'incontro con un sacerdote missionario a iniziarlo nel cammino di conversione che cambierà completamente la sua esistenza, senza dover però rinnegare il suo passato. Alce Nero il primo beato del popolo Pellerossa, un personaggio simbolo della capacità dell'esperienza cristiana di essere veramente "cattolica" per tutti.
Il libro racconta la caduta di Gomorra innescata dal martirio di don Giuseppe Diana, il 19 marzo 1994, dal contesto sociale in cui maturò il suo omicidio – in quegli anni una piccola parte del Casertano era come l’Iraq durante la guerra all’Isis, realtà di cui ancora il nostro Paese non si rende conto – alla rivolta culturale e umana di una piccola fetta di resistenti che hanno creato un mondo diverso con cooperative sociali di ragazzi disabili o disagiati o ex detenuti che sono diventate ristoranti o vere e proprie imprese.
Un impegno che dopo venticinque anni comincia a diventare evidente e che si oppone al ritorno concreto della camorra, non solo nel Casertano ma nel resto d’Italia. Perché se i Casalesi, il più violento e potente clan di camorra mai esistito, sono stati sconfitti militarmente, il loro tesoro economico e il mondo dei colletti bianchi collegato non è mai stato scoperto, ma chi fa fruttare per il bene i loro patrimoni toglie le radici
al ritorno del male.
LUIGI FERRAIUOLO, giornalista, è redattore di Tv2000. Nato a Lodi, è diventato professionista al Corriere della Sera/Corriere del Mezzogiorno e ha pubblicato, tra l’altro: San Rocco, pellegrino e guaritore per le Paoline; Viva Salgari e Le parole che uccidono per Guida; Il museo di strada per Cuen Edizioni; Da Pietrelcina, l’altro Padre Pio per la Fontana di Siloe, con cui ha vinto il Premio «Giordano» per il miglior saggio ecclesiale italiano nel 2014; La pancia della mamma, la nuvola e la macchina da scrivere per Buone Notizie Edizioni.
Ha realizzato tre docufilm: Sui passi di Abramo, che racconta degli ultimi cristiani in Iraq a dieci anni dalla fine della guerra; Padre Pio: tornerò tra cent’anni, sulla profezia del ritorno a Pietrelcina dopo cento anni di San Pio, campione di ascolti su Tv2000, e Libera nos a malo: la musica di Sant’Antonio contro il diavolo, unico documentario proiettato all’assemblea mondiale delle Ngo Unesco.
In questo libro si parla di Mosè; ciò significa che si parla di ciascuno di noi. Chi vuole capire se stesso, chi vuole penetrare nel profondo del proprio animo, non può rimanere indifferente a Mosè, al suo desiderio, alla sua paura, al suo odio, al suo amore, a ciò che conosce di infinitamente bello, senza precedenti e misterioso. Mosè è la chiave più importante e antica per accedere al nostro animo, ma anche alla cultura, alla politica del nostro Occidente.
E Mosè è anche la chiave per Dio, anche quando si rivolta contro di Lui. Infatti, come possiamo crescere nella vita – nel senso di diventare veramente liberi – se non possiamo misurarci con Dio?
«Basta, stanno morendo tutti, non si può continuare così, dobbiamo fare qualcosa. Non abbiamo niente, ma possiamo aprire la nostra casa».
E così avvenne: l’8 giugno 2015, la famiglia di Antonio Calò e Nicoletta Ferrara si è aperta, anzi spalancata. Oltre ai 4 figli avuti in 30 anni di matrimonio, ecco entrare nella casa di questi insegnanti trevigiani 6 nuovi figli: Ibrahim, Tidjane, Sahiou, Mohamed, Saeed, Siaka. Giovani musulmani provenienti da Gambia, Guinea-Bissau, Ghana, Costa d’Avorio, sbarcati in Italia alla ricerca di un futuro migliore di quello lasciato alle spalle: povertà, persecuzioni e miseria in patria, violenze e torture in Libia, il rischio di un naufragio sui barconi del Mediterraneo.
Nicoletta Ferrara, la mamma, ci racconta giorno per giorno il formarsi di questa inedita famiglia: 12 persone tra cucina e soggiorno; le lingue wolof, mandingo e fula mescolate all’italiano come la pastasciutta e i cibi africani; le regole di casa: scuola e lavoro. E poi le lungaggini della burocrazia, ma anche il sostegno di tanti amici. E il bene che si fa contagio intorno.
«La nostra casa non è più nostra. È casa per chi non ha casa», scrive Ferrara spiegando il perché di una scelta radicata in una visione cristiana delle cose. Una decisione profetica, che brilla in queste pagine intense e appassionanti.
Queste lettere “private”, indirizzate da Zaccagnini ai famigliari e ad alcuni amici, ci fanno ritrovare il cristiano in politica a causa della fede, in un rapporto particolarissimo con il potere. «attenzione», scrive l’arcivescovo di Modena-Nonantola Erio castellucci, «Zaccagnini non appare mai diviso tra un’obbedienza a Dio e al suo Regno (spiritualità) e una all’uomo e alla storia (impegno politico), ma le pratica assieme, avvertendole come due dimensioni dello stesso amore». Tutte le lettere qui raccolte hanno lo stesso filo conduttore: la vita è un dono, è bella, in sé è un valore incommensurabile e incomparabile; “per fortuna che si muore”, perché solo così si ha la possibilità di conoscere l’unica cosa che vale più della nostra vita: la vita nella Gerusalemme celeste, che Zaccagnini è certo di raggiungere, al massimo con una spinta. La politica? È solo uno strumento per aiutare gli altri. Non è il caso, dunque, di menare vanto per incarichi, onori e onorificenze: tutta roba effimera di cui si perde presto persino la memoria. «Assume prezioso valore», scrive il Presidente Sergio Mattarella nella sua testimonianza, «questa raccolta di scritti così personali, a volte commoventi, comunque espressivi di una umanità tanto ricca da non poter essere ricompresa soltanto nella dimensione politica». Fede, mitezza, ma uomo capace di decisioni solitarie, sottolinea guido Bodrato, mentre Pierluigi castagnetti ci ricorda che «il cuore di Benigno non si era mai inaridito, nonostante la politica». «Un cuore ricco di valori umani», insiste Aldo Preda, che ha curato diverse pubblicazioni su Zaccagnini perché il messaggio di questo cristiano prestato alla politica non vada disperso.
Suor Nazarena, monaca camaldolese morta a Roma nel 1990, ha vissuto per oltre 40 anni volontariamente reclusa in una cella non per una fuga o per disprezzo del mondo, ma per amore a Cristo e ai fratelli: «L'amore per Gesù e i fratelli divori il mio cuore in un martirio di amore ignoto anche a me stessa».
Samuele scopre di essere «una bomba che cammina».
Alla dottoressa che gli chiede se è disposto a lottare per la vita e quali motivazioni ha per farlo, risponde di sì, perché è marito e padre di due bambini ancora piccoli, ha ancora tante cose da fargli vedere, «e poi… devo andare sul Monte Bianco».
Un libro a più voci, in cui il dramma di Samuele è raccontato non solo dal protagonista, ma anche da quanti gli sono stati vicini e lo hanno accompagnato in un cammino sospeso tra la vita e la morte: la moglie, i figli, i medici, gli amici, visibili e invisibili.
Una storia che ha il sapore del miracolo e della gratitudine.
Il volume tratta di una figura tra le più importanti del mondo ebraico italiano ed europeo, Tranquillo Vita Corcos, rabbino e medico attivo a Roma tra fine Seicento e primi decenni del Settecento. Stranamente trascurato dalla storiografia sull’ebraismo, Corcos si muoveva abilmente tra le relazioni intrecciate con membri illustri della politica e della cultura romana e italiana – papi compresi –, e quelle con le comunità ebraiche europee, che si rivolgevano a lui come a una indiscutibile autorità. Il personaggio, la vita e le opere di Corcos rinviano a una serie di tematiche storiografiche che illumina il contesto storico-culturale, non solo ebraico, dell’Italia e dell’Europa tra XVII e XVIII secolo e chiarisce quale fu la natura, essenzialmente negoziale, dei rapporti tra ebrei e cristiani ma anche la loro trasformazione nel tempo. Quella esercitata indefessamente da Corcos, politico avveduto, intellettuale complesso, attratto dalla Kabbalah e dal sabbatianesimo, fu davvero un’“arte della mediazione” pur all’interno di una strenua difesa dell’identità ebraica. Siamo di fronte a un personaggio razionale e aperto e a uno sforzo di dialogo e di conciliazione che non impediva però il ricorso a più dure proteste e denunce rivolte agli stessi pontefici per difendere gli ebrei da preconcetti e accuse, come quella, temibilissima, di omicidio rituale.
Una biografia sul Venerabile don Giuseppe Morgera, parroco di Casamicciola dal 15 dicembre 1883. Il Venerabile è descritto nel contesto della sua epoca, facendo riferimento ai vari ambiti storici locali e generali, e attingendo a una vasta e aggiornata bibliografia. In tal modo, don Giuseppe Morgera viene calato nella sua epoca storica e la sua figura viene inquadrata nelle complesse dinamiche che caratterizzarono il periodo tra il 1844 e il 1898: un arco di tempo importante e ricco di cambiamenti, che investirono il sacerdote di Casamicciola, che li sperimentò e li interpretò dall’osservatorio peculiare dell’isola d’Ischia.
Gli scritti di Teresio Olivelli rivelano la figura di un giovane che è stato coraggioso protagonista del suo tempo, icastico modello di una Chiesa in uscita, che non ha paura di inoltrarsi nel mare aperto della storia, affrontando anche la veemenza delle tempeste e la contraddittorietà di onde anomale e malvage. La sua testimonianza è stimolo per i laici, specialmente per i giovani, ad essere parte attiva di una Chiesa ospedale da campo, aperta a tutti soprattutto alle persone fragili e ferie.