L'autore. studioso e coraggioso anticonformista, analizza in termini culturali e filosofici il percorso tortuoso e complesso dell'Italia unita dal particolare punto di vista dello Statao nazionale. Un compendio di storia italiana dal 1861 a oggi.
Il lunghissimo regno di Elisabetta II è la storia enigmatica di una donna timida e inavvicinabile che dell'accettazione del proprio destino, dell'appassionata difesa della corona, ha fatto la suprema ragione di vita e uno schermo impenetrabile. Con un'eccezione: la fotografia, che l'ha accompagnata nel suo lungo viaggio di sovrana e nell'iconografia del secolo. L'unico palcoscenico in cui The Queen, cedendo anche solo per pochi minuti alle leggi universali della luce e alle esigenze pratiche di un ritrattista, si è davvero rivelata. Delegando così ai grandi autori che con il loro obbiettivo l'hanno seguita nei decenni - da Cecil Beaton a Yousuf Karsh, da Lord Snowdon a Brian Aris, da Annie Leibovitz a Harry Benson - non solo il racconto della propria immagine nel tempo e la memoria dei favolosi e talvolta drammatici giorni dei Windsor, ma anche la testimonianza del ruolo della monarchia in una società in costante evoluzione. Bambina giudiziosa, acerba erede al trono, regina in ogni grammo del proprio corpo, madre distante, sovrana impopolare (e poi amatissima), più forte di ogni scandalo o dolore, espressione massima del senso del dovere e di equilibrio nella discordia e nel disordine: c'è materia sufficiente per il mito. Ma Paola Calvetti, in queste pagine, delinea anche un profilo personale, quasi intimo, di Elisabetta: l'amore per Filippo (solo formalmente due passi dietro la moglie) e le «affettuose amicizie» vere o presunte di entrambi; il legame profondo con il padre Giorgio VI e l'indomabile sorella Margaret; i complessi rapporti con i membri della numerosa e impegnativa famiglia, troppo spesso fonte di pettegolezzi e imbarazzanti rivelazioni. E c'è spazio per i momenti più lievi, le passeggiate in stivaloni e foulard con gli inseparabili corgi, gli scambi di battute con gli stilisti che creano gli abiti e i bizzarri cappellini per i quali è famosa, fino alla scelta della borsetta e del gioiello più adatto in ogni occasione: aneddoti e retroscena che mostrano anche la verità di una donna sempre in attesa di vivere, di essere compresa e amata dentro il nostro sguardo. In un ritratto rigoroso e incalzante che per la prima volta riavvicina donna e simbolo, tra i mille irresistibili dettagli di un'esistenza e di una royal family senza pari al mondo, l'autrice rende ancora più amabile una protagonista della storia, con noi da quasi un secolo e finora sconosciuta.
In una ricostruzione che si avvale di lettere, diari e documenti inediti, Raffaela Milano attraversa i primi decenni del Novecento per raccontarci la vita di una donna rivoluzionaria che ha sfidato il suo tempo in nome di un unico principio - "Salvarne il più possibile".
Nel 1919 in Europa si muore di fame. La guerra è finita, ma il blocco degli aiuti alimentari imposto dai vincitori ai Paesi dell'Europa centrale prosegue. Solo in Germania si contano settecentomila morti per denutrizione, e ovviamente i bambini sono i più colpiti. "Non posso avere nemici che abbiano meno di sette anni" dichiara George Bernard Shaw quando quello stesso anno aderisce al Fight the Famine Council, il comitato inglese che nasce per aiutare i Paesi sconfitti. L'anima del comitato è Eglantyne Jebb, una giovane insegnante che di lì a poco fonderà Save the Children. La "fiamma bianca", la chiamano i suoi amici: "Un viso che fa parlare l'anima e la voce delicata, senza clamore, che si fa ascoltare da tutti, e che non sa dire altro che la verità". All'evento di presentazione della nuova organizzazione, il pubblico arriva armato di mele marce da tirare in faccia ai "traditori": l'Inghilterra ha perso nella Grande Guerra mezzo milione di uomini sotto i trent'anni, non è il momento di occuparsi dei nemici, né dei loro figli. Eglantyne però è una combattente straordinaria e, nonostante il patriottismo cieco che prevale su tutto, raggiunge dei risultati che ancora oggi appaiono impensabili. "Le donne sono in grado di cambiare l'intero corso della storia del mondo" ha scritto Eglantyne. E lei ci ha davvero provato. In una ricostruzione che si avvale di lettere, diari e documenti inediti, Raffaela Milano attraversa i primi decenni del Novecento per raccontarci la vita di una donna rivoluzionaria che ha sfidato il suo tempo in nome di un unico principio - "Salvarne il più possibile" - e che nel 1924 getterà le basi della Dichiarazione dei diritti del fanciullo: non per il suo buon cuore, ma perché è un investimento per il futuro. Con un occhio al presente, perché molto di quello che racconta ha a che fare con le emergenze del mondo di oggi.
Conosciuto come il Re lebbroso, Baldovino iv fu il giovane re di Gerusalemme che, pur se affetto da una gravissima malattia, difese le terre conquistate dai cristiani affrontando le armate del suo grande rivale Saladino.
Figlio di Amalric e Agnese di Courtenay, Baldovino divenne re ad appena tredici anni nel 1174, per decisione della corte, accettato dai capi dei crociati che lo ritenevano debole a causa di una forma devastante di lebbra che si era manifestata sin dalla fanciullezza. Un re che non sarebbe dovuto durare e che non avrebbe dovuto avere alcun peso nella feroce guerra tra le fazioni politiche per il controllo della Terra Santa.
La storia di Baldovino iv fu invece sorprendente: un giovane cavaliere crociato che vide la sua giovinezza e la sua forza divorate dalla lebbra e che tuttavia mai si arrese al male, che prese su di sé come una croce da portare in battaglia. Invece di chiudersi nella difesa di Gerusalemme, Baldovino decise di attaccare, invece di essere docile strumento nelle mani di duchi e conti, tenne loro testa; malato e ormai in punto di morte si pose alla testa del suo esercito nella battaglia di Montgisard. Vinse issando la reliquia della Vera Croce. Il re lebbroso si spense il 16 maggio 1185 a soli ventiquattro anni e riposa nel Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Biografia dell'autore
Ilaria Pagani
Ilaria Pagani è storico dell’arte, saggista e pubblicista, ha lavorato alla RAI, per il quotidiano Il Tempo di Roma, per Zetema Progetto Cultura e collaborato con la cattedra di Storia generale dell'Università “Neofit Rilski” di Blagoevgrad (Bulgaria).
Tra le pubblicazioni in volume segnaliamo I ponti fortificati del suburbio (Aracne 2004); Globalizzazione e valori. Il mondo romano davanti a nuove culture e nuovi valori (Blagoevgrad 2007); Constitutum Costantini. Riflessi nell’arte figurativa (Museo Diocesano Albano Laziale, 2016).
Suoi interventi sono stati pubblicati in riviste e collettanee: La chiesa di S. Filippo Neri in via Giulia (in “Studi sul Settecento Romano”, n. 15 a cura di E. Debenedetti, Roma 2000); Frammenti scultorei del lapidario di Grottaferrata (in “Documenta Albana” 09/2003); voce Matteo di Giovannello (in Saur 05/ 2006); Note introduttive per una iconografia dell’esilio (in “Flussi migratori e accoglienza”, a cura di P. Celozzi Baldelli e E. Baldassarri, Aracne 2009); Caterina Cornaro. Mitografia di una regina dalla Repubblica di Venezia al Risorgimento italiano (in “Studi sull’Oriente Cristiano” 16, 2 [2012]).
Un viaggio tra storia, letteratura e spiritualità nei luoghi in cui si è forgiata la nostra memoria collettiva, una mappa interiore alla ricerca di ciò che sta cambiando nel nostro continente e mette in crisi la stessa idea di Europa. Da Patmos a Salamanca, da Praga a Parigi, Lisbona, Berlino, Londra, Copenaghen fino al Cammino di Santiago, Pietro Pisarra, giornalista e sociologo, scatta le sue istantanee di eventi lontani e di drammi recenti. E si profila il volto dei testimoni che hanno segnato il secolo scorso: Miguel de Unamuno, Etty Hillesum, Dietrich Bonhoeffer. Un viaggio tra capitali e luoghi periferici dove la geografia provoca la storia. Dove sono ancora visibili le cicatrici delle tragedie di ieri. E dove, per contrasto e tra mille difficoltà, si concretizza la realistica utopia di un'Europa unita, pacifica, senza le guerre che ne hanno funestato la storia.
"L'autore offre al lettore due saggi di natura storica sul Sessantotto, con un approfondimento sulla vicenda della «città-stato» di Fiume. L'elemento che accomuna i due testi è il tema della «Rivoluzione» e della «Contro-Rivoluzione», che l'autore mutua da Plinio Corréa de Oliveira. Formicola tratta del Sessantotto e di Fiume con abbondanza di riferimenti e con spessore di riflessione. Fra i maestri che ispirano le sue valutazioni vi è Eric Voegelin. Non mancano numerosi richiami ad altri autori, cattolici e non, come pure al Magistero della Chiesa. Questi scritti di Giovanni Formicola provocano una riposta, che potrà essere di adesione o di rifiuto, di accettazione o di critica; tuttavia, di certo non possono essere ritenuti insignificanti, né improduttivi. Essi invocano una presa di posizione e, di conseguenza, un impegno personale. Per quanto riguarda il Sessantotto, Formicola vi vede la «cifra» storica del tragico realizzarsi dello spirito rivoluzionario nel XX secolo." (dalla Prefazione di don Mauro Gagliardi). Epperò non chiude alla speranza, non solo teologale. Gli effetti di certe premesse ideologiche ormai sono vita vissuta, ed è difficile che l'uomo voglia perseverare ancora a lungo tra le macerie di un mondo senza e contro Dio.
Furono gli illuministi per primi a ridefinire un’etica dei diritti cosmopolita, razionale, mite, umanitaria, fatta dall’uomo per l’uomo, capace di dar vita a un potente linguaggio politico dei moderni contro il secolare Antico regime dei privilegi, delle gerarchie, della disuguaglianza e dei diritti del sangue. Furono gli illuministi a far conoscere al mondo intero che i diritti dell’uomo per definirsi tali devono essere eguali per tutti, senza alcun tipo di distinzione di nascita, ceto, nazionalità, religione, genere, colore della pelle; universali, cioè validi ovunque; inalienabili e imprescrittibili di fronte a ogni forma di istituzione politica o religiosa. Spaziando dall’Italia di Filangieri e Beccaria alla Francia di Voltaire, Rousseau e Diderot, dalla Scozia di Hume, Ferguson e Smith alla Germania di Lessing, Goethe e Schiller, sino alle colonie americane di Franklin e Jefferson, Vincenzo Ferrone affronta un tema fondamentale e attualissimo di storiografia civile.
La guerra di liberazione dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista viene raccontata attraverso le tante storie di resistenza che hanno fatto l’Italia e cambiato il corso della Storia. Una grande narrazione popolare e collettiva che ripercorre i luoghi dove ancora vivo è il ricordo delle migliaia di persone che hanno pagato a caro prezzo gli ideali di democrazia e libertà. Questo libro è anche un progetto multimediale sulla Resistenza, una storia corale e necessaria che l’autore, con il supporto dell’Associazione «Ponti di memoria», spinto dall’urgenza di non disperdere il ricordo, riversa in un racconto frutto di intensi studi basati su documenti storici, archivi, testimonianze, atti giudiziari, soprattutto di storie partigiane inedite. Il progetto editoriale fa tesoro di uno spettacolo portato in scena dall’autore a partire dal 2011 con il supporto musicale dei Gang e di Michele Fusiello. Dopo oltre 400 repliche, L’Italia liberata rinasce, si allarga, inizia un nuovo percorso.
Quando non sono quelli delle case, i muri sono quasi sempre "strumenti politici". L'esempio più noto è quello che incarnò la guerra fredda: il Muro di Berlino. Ma nella storia del mondo le barriere politiche esistono fin dai tempi più antichi, ed è abbastanza eloquente che non siano mai state tanto numerose come ai giorni nostri. Muri imperiali come la Grande Muraglia cinese o il Vallo di Adriano, muri di separazione come quello tra Israele e i Territori e la Striscia di Gaza, muri dei ghetti e di segregazione - quelli all'interno dei quali vivono i cittadini bianchi del Sudafrica, le peacelines di Belfast o il recente e criticatissimo muro "anticrimine" di via Anelli, a Padova -, muri "di contenimento" come quello che corre lungo il confine del Texas e del Messico, muri di difesa come la Linea Maginot o il Vallo Atlantico, muri commemorativi, e tantissimi altri. Una lunghissima serie di muri corre e s'interseca senza quasi soluzione di continuità lungo tutta la storia umana, e il libro di Claude Quétel ne ripercorre le origini e talvolta la fine, come dimenticare la notte berlinese del 9 novembre 1989 e le picconate di gioia che iniziarono a scalfire il Muro?, ne ricostruisce minuziosamente le vicende, ne rileva puntualmente le conseguenze e talora le ferite dolorose, i danni insanabili, restituendoci con il suo sguardo una originale storia dell'umanità, consapevole che in attesa di un radioso avvenir senza barriere i muri hanno ancora, purtroppo, un brillante futuro.
Un guizzo di pazzia attraversa la vita di Francesco di Assisi. La sua pazzia inquieta i contemporanei e anche noi. Inquietante è soprattutto il suo desiderio di oltrepassare, disarmato, le linee crociate per chiedere ospitalità ad al-Malik, il saggio e cortese Sultano d'Egitto. Ma Francesco non ottiene la conversione di al-Malik, né la corona del martirio. Questo esito inconcludente disorienta i suoi biografi: c'è forse una perfezione differente dal martirio? Orientando l'analisi sul significato attribuito all'evento dai testimoni diretti e dagli interpreti delle epoche successive, è l'antropologia dell'ospite disposto a lasciarsi trasformare dall'accoglienza altrui che l'autore intende verificare nell'esperienza di Damietta. Francesco non si reca in visita al Sultano per cambiare l'altro, ma per cambiare se stesso. È questa, dunque, la novità dell'evento di Damietta? È questa la novità di questo "pazzo per Dio"?
Due sono i protagonisti di questo libro: il cardinale castigliano Gil Albornoz e l’Italia, in cui il cardinale fu inviato dai papi di Avignone dal 1353 al 1367.
In quegli anni Albornoz assunse il ruolo di indiscusso protagonista nella storia politica e militare e seppe riorganizzare profondamente lo Stato della Chiesa, tanto che nella tradizione storiografica ne è considerato il secondo fondatore, dopo Innocenzo III.
L’autore non propone una biografia tradizionale d’impianto cronologico, bensì indaga gli ambiti nei quali si svolse la missione di Albornoz per tentare una sintesi, che consenta di comprendere meglio i cambiamenti nella storia d’Italia. Sia sotto il profilo politico, nella costante ostilità verso i Visconti di Milano, sia per l’aspetto militare, nell’urgenza di una Penisola invasa dalle truppe mercenarie europee, o nella riconfigurazione dei poteri all’interno dello Stato della Chiesa, l’attività di Albornoz fu vigorosa.
Se il suo ruolo di legato dei papi avignonesi si poneva sul solco di una tradizione che percorre tutto il Trecento, è indubbio però che la sua forte personalità e la sua personale visione sulla realtà italiana seppero dar vita ad assetti e soluzioni innovative.
Il libro indaga luci e ombre di questa vicenda, talora complicata dai difficili rapporti fra Albornoz e i papi di Avignone, e valorizza al contempo il ricco lascito ereditario del cardinale: il Collegio di Spagna di Bologna, istituito dal cardinale nel suo testamento, è infatti il più antico collegio universitario italiano che abbia conosciuto una vita ininterrotta fino ad oggi.
Francesco Pirani
è ricercatore in Storia medievale all’Università di Macerata. Si occupa di storia istituzionale, in particolare della civiltà comunale e signorile, e rivolge al contempo i suoi interessi alle strutture politiche dello Stato della Chiesa. Tra le sue pubblicazioni: Tiranni e città nello Stato della Chiesa. «Informatio super statu provincie Marchie Anconitane» (1341), 2012.
"Se la dittatura non è stata instaurata, la Camera è pregata di non nutrire illusioni. Se farà dei mali passi sarà soppressa"; "Noi non temiamo di essere chiamati reazionari e di invocare per tutti i nemici di destra e di sinistra un poco di corda e un poco di sapone": mentre "Il Popolo d'Italia" scrive queste parole, a San Vito Chietino "squadre di fascisti armati mettono a soqquadro il paese bastonando e distribuendo olio di ricino ai non-fascisti e sparando sui fuggiaschi" e a Milano "i fascisti provocano un incidente al teatro della Scala col maestro Toscanini, per la imposizione di suonare i loro inni". Quando, dopo la marcia su Roma, Mussolini conquista il potere, il giovane deputato socialista Giacomo Matteotti compila una sorta di libro bianco in cui dimostra, dati alla mano, che i provvedimenti economici del nuovo governo da un lato sono iniqui e dall'altro rivelano un'incompetenza assoluta, condanna l'abuso dei decreti legge e soprattutto raccoglie le "parole dei Capi" e le "cronache dei fatti": dichiarazioni incendiarie e una catena infinita di brutalità. Come scrive Walter Veltroni nell'introduzione, Matteotti "vede prima di altri la natura violenta e l'intenzione totalitaria del fascismo" e con questo libro denuncia, "in modo tanto puntiglioso e circostanziato quanto coraggioso, le violenze fasciste che si stanno intensificando in ogni parte d'Italia". Ecco perché è così importante ripubblicare questa sconvolgente documentazione in diretta di una nazione che corre verso la catastrofe. Leggere oggi Matteotti significa chiedersi - scrive Umberto Gentiloni Silveri nel saggio che conclude il libro - "se nel ventre molle della società italiana abbia continuato ad annidarsi un modo di pensare, di agire, di esprimersi: un'ossessiva e insensata ricerca del nemico o del capro espiatorio che appare e s'inabissa a seconda delle circostanze". Introduzione di Walter Veltroni.