"La realizzazione di un monumento nel campo di Birkenau fu oggetto di un concorso promosso dal Comitato Internazionale di Auschwitz nel luglio del 1957. Le attività di progetto e i successivi lavori di costruzione si protrassero per dieci anni, fino alla primavera del 1967. Questo volume ha lo scopo di delineare la storia delle vicende che portarono alla realizzazione del monumento, rammentando che esse si svilupparono in due fasi: una prima fase gestita da una giuria internazionale presieduta inizialmente da Henry Moore e poi da Lionello Venturi e sviluppatasi in tre gradi (1957-1959), e una seconda fase gestita da una "commissione tecnica" facente capo direttamente al Comitato di Auschwitz (1961-1965) e aperta solo agli autori dei precedenti progetti, in cui risultò vincitore il progetto proposto dal sottoscritto e da Pietro Cascella. Il monumento sarebbe stato poi costruito fra il 1965 e il 1967. In questo volume ho cercato di ricostruire, insieme alle vicende del concorso e delle corrispondenti attività progettuali, il contesto politico, sociale e culturale che ne ha influenzato gli sviluppi. Non ho potuto fare a meno di associare la storia del monumento al modo in cui nel corso di quello stesso periodo andò contemporaneamente evolvendosi la memoria di Auschwitz. D'altronde io penso che questo monumento si può considerare non solo un simbolo di quanto accadde nel campo, ma parte esso stesso della memoria degli eventi che vi si verificarono". (Giorgio Simoncini)
Dopo la proclamazione dell'Unità anche in Italia l'architettura ha scelto per le realizzazioni di maggiore prestigio il neorinascimento, chiamato anche il Risorgimento delle arti. Il volume analizza come e quando l'architettura abbia collaborato alla creazione di spazi e "altro" nella scultura, decorazione, ornato, industria dell'arte, e in tutti gli altri linguaggi artistici, fino a creare lo stile dell'Italia unita.
"Abitare" è una di quelle parole così cariche di significato che possono inchiodarci a pensare. Il quesito su cosa sia o in cosa consista un "abitare" corrispondente alle esigenze umane, e su quali presupposti si basi, rimane a tutt'oggi apertissimo. L'autore si occupa da lungo tempo di costruzioni storiche e della loro salvaguardia. In collaborazione con un team di ricercatori ha affrontato l'universo sconosciuto delle costruzioni in terra cruda o scavate nella roccia, percorrendo parte del Nord Africa e del Vicino Oriente e imbattendosi in culture raffinate e oggetti preziosi. Il libro è la testimonianza inaspettata di questa esperienza di ricerca sul campo e di vita, è il racconto dei viaggi e delle scoperte di luoghi e dimore dimenticati, oggi peraltro fortemente in pericolo. Da Chefchaouen agli insediamenti delle valli del Dràa e del Dadès in Marocco, da Djenné in Mali alla cittadella di Shali nel deserto egiziano, dai villaggi a cupola nella regione di Aleppo in Siria all'antica moschea di Hàji Piyàda in Afghanistan, alle architetture ipogee di Lalibela in Etiopia. Infine, l'incontro destabilizzante con le immagini, in parte inedite, lasciate negli altopiani del Tassili da una straordinaria, e poetica, popolazione neolitica. Una sorta di viaggio tra culture e modi di realizzare lo "stare al mondo" distanti e diversi da quelli vissuti quotidianamente e coltivati dal nostro immaginario; ma non per questo meno liberi.
Nell’opera di Paul Valéry, l’architettura ha una duplice centralità. Da un lato, rappresenta la metafora più convincente della logica costruttiva e della chiarezza ideale che devono guidare la riflessione sull’esistenza. Dall’altro lato, è quell’arte eccelsa che accoglie e custodisce il corpo dell’uomo, nell’orgoglio e nella bellezza, organizzando la materia bruta, secondo regola e numero. Su di essa, quindi, si addensano l’identità razionale e il destino vitale della civiltà. Così, guardare all’idea di architettura che Valéry esprime in pagine di raffi - nata scrittura, vuol dire guardare, da una postazione privilegiata, ad argomenti centrali nella cultura europea del Novecento. Muovendo da alcuni appunti inediti sull’architettura contenuti nei «Cahiers», gli autori propongono uno stimolante itinerario di lettura che attinge alla stessa passione per l’architettura nutrita da Valéry. Il volume è corredato da un inserto illustrativo con una selezione degli straordinari disegni dedicati da Valéry al tema dell’architettura
La prima edizione di questo libro usci nel dicembre 1962. Da allora "Roma moderna" si è imposto come la più organica storia urbanistica della capitale dall'Unità d'Italia agli anni Settanta. Ha avuto ristampe ed è stato coronato da un grande successo editoriale. Il periodo allora scelto come "Roma moderna" era il secolo seguente al 1870, quando il 20 settembre le truppe sabaude avevano occupato Roma. Questa edizione si estende fino al 2011 e inizia due secoli fa. Nel 1811 (27 luglio e 9 agosto) Napoleone I firma a Parigi (l'imperatore non visitò mai Roma) le prime leggi "moderne" della storia di Roma capitale del Pontificato, del Regno d'Italia e della Repubblica. A distanza di cinquant'anni Roma moderna viene riproposto in una nuova edizione riveduta e ampliata, in cui sono ricostruite le vicende e le condizioni culturali, sociali, politiche ed economiche che hanno determinato lo sviluppo problematico e appassionante di una città che continua a rincorrere una propria fisionomia urbanistica.
Nelle città europee sta crescendo una vera e propria "anti-città": migliaia di persone, giovani, coppie, anziani, tagliati fuori dalla vita culturale, dagli scambi economici, dalle relazioni istituzionali. Le caratteristiche principali dell'anti-città sono la frustrazione e l'omologazione: la frustrazione di una anti-società illegale e senza sbocchi che scopre che la mobilità sociale è un miraggio e l'omologazione di migliaia di concittadini resi simili nelle credenze, nelle aspettative e negli stili di vita. Sono loro gli abitanti dell'anticittà: sono, ad esempio, le diciassette mila famiglie che a Napoli dichiarano reddito zero o i dieci mila senza fissa dimora delle fabbriche dismesse di Milano, parenti stretti dei bambini che abitano i sotterranei di Bucarest, delle famiglie che vivono nel cimitero del Cairo o delle migliaia di immigrati di Dubai. Gli anticorpi contro tutto questo stanno in una architettura che cambi gli spazi abitati per cambiare le relazioni e con esse la qualità della vita. Questo libro parla di come lo spazio sia un protagonista determinante della politica, perché lo spazio fa, disfa, condiziona, promuove, distrugge. È necessario riscoprire il significato civile dell'architettura, la sua dimensione politica, perché è grazie ai progetti architettonici, ai piani urbanistici, alle proposte di design che lo spazio divide e connette pezzi di società, toglie e attribuisce loro risorse, nega o consente relazioni culturali ed economiche.
"In ogni cultura, per poter realizzare le proprie creazioni, gli architetti hanno dovuto stabilire un rapporto con i ricchi e i potenti. Nessun altro ha infatti le risorse per costruire. E il destino geneticamente predeterminato degli architetti è fare qualsiasi cosa pur di costruire, così come quello dei salmoni migratori è di compiere l'ultimo viaggio per deporre le uova prima di morire. Gli architetti non hanno altra alternativa che scendere a compromessi con il regime al potere, qualunque esso sia. Ma quando il calcolo politico si mescola alla psicopatologia, l'architettura non è più solo un problema di politica pratica, essa diventa un'illusione, e perfino una malattia che consuma le sue vittime. Esiste un parallelo psicologico fra il marcare un territorio per mezzo di un edificio e l'esercizio del potere politico. Entrambe le cose dipendono da un atto di volontà. Vedere affermata la propria visione del mondo in un modello architettonico esercita di per sé un certo fascino e ancora più attraente è la possibilità di imporre fisicamente il proprio volere a quella stessa città rimodellandola così come Haussmann fece a Parigi. L'architettura alimenta l'ego nei soggetti predisposti. Essi ne diventano sempre più dipendenti al punto che l'architettura si trasforma in un fine in sé che attrae i fanatici e li induce a costruire sempre di più su di una scala sempre più vasta." Deyan Sudjic
"Adorata nell'industrial design e nella moda, data per scontata nella tecnologia e nei media, la voglia di innovazione incontra sempre forti resistenze nel nostro paese quando si tratta dei settori creativi più 'tradizionali': letteratura, cinema, e architettura 'contemporanea'. Soprattutto se per contemporanea si intende un'architettura fortemente intrisa dello spirito, della tecnologia, delle disarmonie, dei conflitti e delle incertezze che caratterizzano il nostro tempo." Pippo Ciorra accompagna il lettore alla scoperta di alcuni punti critici del fare architettura nel nostro paese. Il primo campanello di allarme viene dal confronto con la situazione internazionale: l'Italia è paralizzata e incapace di accogliere ed elaborare in chiave locale le tendenze dominanti nel mondo; il secondo campanello d'allarme è che mai come oggi l'architettura è stata seguita e vezzeggiata dai media 'generalisti'. Ma la diffusa attenzione agli eventi di architettura non sembra tradursi in un parallelo affermarsi di una nuova generazione di architetture e spazi pubblici di qualità nel nostro paese; il terzo campanello, infine, è la preoccupazione legata alla sensazione di spreco del tessuto di energie nuove e quasi sempre frustrate: studenti e giovani architetti abituati a viaggiare, scambiare e lavorare in giro per il mondo, professionisti aggiornati e capaci che potrebbero lasciare ben altra traccia nel paese...
«Lo spazio è un vuoto misurabile soltanto per mutui rapporti fra oggetti. La forma implica, cioè, per la qualità stessa del materiale che investe, presenze corporee opposte a un insieme di pure relazioni. Se le prime, in sé, conservano intensissimo il proprio peso, l’altro, essenziale, è già pronto, direi, per rivelare il suo significato, che è una trasformazione della struttura dell’esistere, senza richiedere d’essesere scoperto fra suggerimenti forviatori.
Ciascuno ama l’oggetto del proprio interesse; e io, l’architettura. Forse per questo mi sembra rivelatrice più di altre attività umane... Tracciarne e coglierne la storia e le forme vuol dire indagare e sentire l’esistere là dove si esplica».
(da Esistere e costruire, 1970)
Sotto i nostri occhi sta avvenendo una trasformazione radicale della città. Nessuno riesce a definire con certezza quale possa essere il suo destino, perché ha perso una delle caratteristiche che l'ha sempre contraddistinta: l'essere circoscritta. Non si sa che cosa diverrà proprio nel momento in cui diventa il luogo di vita della maggioranza degli abitanti del mondo. La città perde la sua fisionomia e invade il territorio circostante, che non acquista caratteri di urbanità, ma non è neanche più campagna. Il fenomeno è planetario e interessa sia i paesi industrializzati che quelli più poveri, anche se le forme di questo cambiamento sono molto diverse in Europa rispetto al Sud America o all'Africa. Ma questa lunga conversazione con Francesco Erbani, giornalista e scrittore, non è solo un bilancio dell'architettura e dell'urbanistica contemporanee. È anche un'autobiografia intellettuale e politica dove Benevolo racconta se stesso, la propria formazione, la crescita delle città italiane dal dopoguerra, le anomalie del nostro paese, le battaglie per la difesa del paesaggio da una speculazione aggressiva, i risultati raggiunti e le sconfitte, a Roma e a Palermo, a Venezia, a Urbino e a Brescia. E dove con passione sostiene la pratica di un'urbanistica che coniughi saperi diversi, slancio ideale e concretezza nelle realizzazioni, senza risparmiare giudizi "fuori dai denti" dei grandi protagonisti della scena internazionale.
“L’architettura è un’arte di frontiera. Solo se si accetta la sfida di farsi contaminare, di farsi costantemente provocare da tutto ciò che è vero, ha ragione di essere. Altrimenti è roba da salotto, da accademia. L’abbiamo già detto, c’è una profonda somiglianza fra la musica e l’architettura, così immateriale l’una quanto è materiale l’altra. La splendida esecuzione della Terza Sinfonia di Mahler diretta da Abbado al Lingotto (la cui sala rettangolare consente una delle migliori acustiche) era pura poesia, ed è svanita nell’aria. Penso all’Auditorium di Parma realizzato nella vecchia fabbrica dell’Eridania, di cui su quel tavolo vedi il modellino. Sì, nella musica come nell’architettura ritrovi la stessa voglia di precisione, di ordine matematico, geometrico, le stesse certezze, magari le stesse disubbidienze…”
“Sento molto gli elementi immateriali, come sono la luce, le trasparenze, le vibrazioni, il colore, tutti elementi che interagiscono con la forma dello spazio, ma che non sono riconducibili ad esso. Nella ricerca della leggerezza e della trasparenza, nel lavoro sulla luce, c’è una continuità logica e poetica. La luce naturale (spesso diffusa dall’alto) è una costante del mio lavoro. L’immaterialità è anche di Calvino, appartiene alla sua fantasia. Calvino non è solo lo scrittore delle Lezioni americane, ma è anche l’autore de Le città invisibili. Credo che in una delle prime edizioni avesse scritto di una città fatta di tubi, che in qualche modo richiamava il Beaubourg. Solo che i muratori in quella città non arrivarono mai e le Naiadi se ne impossessarono. Nella fantasia di Italo Calvino, insomma, il Beaubourg era diventato una città di tubi”.
Ormai giunto alla sua settima edizione, questo affascinante racconto-intervista di Renzo Piano con il giornalista Renzo Cassigoli si arricchisce di una inedita intervista di Enzo Siciliano al grande architetto. Altro tassello, dunque, di questo libro singolare che nelle sue sette edizioni si è progressivamente arricchito non solo dei commenti di Piano ai lavori che andava affrontando – dalla Potsdamer Platz di Berlino all’Auditorium di Roma, da Nouméa in Nuova Caledonia al museo di Sarajevo, dalla nuova sede de “Il sole 24 ore” al progetto per la Collina degli Erzelli, a Genova – e di riflessioni più generali sulla sua professione, sul concetto di “architettura sostenibile”, sulla responsabilità dell’architetto, su architettura e arte, sull’idea di città ma anche su temi più “eccentrici” quali il ricordo di Italo Calvino o il commento sull’attribuzione del Premio Nobel a Günter Grass.