Da sempre le grandi civiltà preclassiche dell'Oriente mediterraneo, dall'Egitto alla Mesopotamia, dall'Anatolia alla Siria all'Iran, sono state fonte d'ammirazione per l'imponenza colossale di celebri opere architettoniche, dalle Piramidi di Giza alla Torre templare di Babilonia al centro cerimoniale di Persepoli. Questa dimensione monumentale ha contribuito da sola a definire agli occhi dell'Occidente l'elemento distintivo e il limite fatale di tutta l'arte orientale antica, cioè la sua immutabilità e ripetitività ossessiva e straniante. Risalente a una sorta di età preistorica, l'espressione artistica di quelle civiltà, così dedita al meraviglioso, sarebbe stata del tutto estranea al rapporto con la Storia, che con le sue costanti trasformazioni sarebbe divenuta prerogativa fondamentale ed eccellenza dell'arte greca, romana e tardoantica. In realtà, nella prospettiva di Paolo Matthiae, proprio il ritratto, forma espressiva realistica e quindi storica tra tutte, costituì fin dagli inizi del III millennio a.C. una dimensione specifica di tutte le culture artistiche dell'Oriente antico. «Il ritratto è usualmente considerato un genere che, fin dalla civiltà etrusca, ha percorso tutta la storia dell'espressione artistica del mondo occidentale e che non ha conosciuto che rarissimi, inconsistenti e accidentali precedenti nel mondo orientale antico d'Egitto e d'Asia. Questo giudizio è non soltanto inaccettabilmente sommario, ma soprattutto non è per nulla corrispondente alla realtà, in quanto forme di rappresentazione che, pur molto approssimativamente, possono definirsi di ritratto, concepite e realizzate in relazione a definite visioni della natura - umana, divina o divinizzata - dei detentori del potere come maschere create in un complesso processo di comunicazione visiva di eccezionale rilievo per le società di quasi tutte le realtà statuali storiche - urbane, territoriali, nazionali, imperiali - dell'Oriente antico, sono ben documentate, con infinite varietà, lungo tre millenni di storia. Nelle pagine che seguono, per l'attenzione prestata alla restituzione dei collegamenti tra le opere artistiche e le concezioni dei ruoli istituzionali dei personaggi raffigurati, il tema del "ritratto" è trattato nella prospettiva di una sempre più avanzata storicizzazione dell'arte dell'Oriente antico».
Quali immagini ha visto Dante? Su quali di esse si è soffermato a pensare? Che ruolo hanno avuto nella scrittura della Commedia? In questo volume, Laura Pasquini ci guida come in un ideale viaggio (Firenze, Roma, Padova, Ravenna, Venezia) attraverso le opere che hanno agito sulla principale creazione dantesca. Mosaici, affreschi, sculture, di cui Dante non parla direttamente, ma che di certo hanno catturato la sua attenzione, finendo per concorrere in vario modo alla costruzione dell'immagine poetica. Talvolta presenza emersa dalla memoria, talvolta riconoscibile spunto figurativo consapevolmente amplificato. Ne risulta un libro fitto di richiami testuali e di prospettive inedite su quello che dovette essere l'immaginario dell'Alighieri; un libro ricco di suggestioni e di scoperte affascinanti (in particolare sul suo soggiorno romano in occasione del Giubileo del 1300) corredato di un denso e prezioso apparato iconografico.
La nascita, lo sviluppo e i diversi accenti della pittura italiana attraverso i protagonisti, le opere, i luoghi. La narrazione di tre secoli d'arte in 60 serrati capitoli, introdotti dalle parole dei testimoni dell'epoca: con un linguaggio piano, la storia della pittura italiana si intreccia con una geografia culturale in evoluzione. Si alternano sulla scena artisti e committenti, intellettuali e condottieri, nella cornice meravigliosa di città bellissime, di monumenti celebri, di cicli d'affreschi e di quadri indimenticabili. L'opera segue il percorso storico, dalle soglie del Trecento ai primi anni del Seicento, proponendo un orizzonte culturale che comprende tutta l'Italia. Il testo è corredato da una accurata selezione di immagini, da mappe storiche che documentano le variazioni dei poteri e da un apparato di brevi e incisive biografie dei principali artisti coinvolti.
Leonardo ebbe un rapporto complesso e per certi versi contraddittorio con la scrittura. Discendente da una famiglia in cui si erano succedute generazioni di notai, era però figlio illegittimo e per questo destinato a un'educazione limitata al sapere pratico. Proiettato verso il futuro nella sua attività progettuale, ma sempre rivolto alla lezione degli antichi. Convinto della superiorità del disegno sulla parola, ma impegnato per buona parte della vita a registrare per iscritto le attività di bottega, i pensieri o i fatti della quotidianità. Il volume ricostruisce la relazione che il genio universale ebbe con lo scrivere e con i libri. Dopo averne ripercorso la formazione grafica, l'autore indaga sulla sua scrittura e in particolare sul singolare orientamento da destra a sinistra, per passare infine all'esame dei suoi libri, testimoni in presa diretta del lavoro svolto giorno dopo giorno nell'officina vinciana.
Il seminario intitolato a Saffo nasce dal desiderio di riportare le idee alla loro scaturigine esistenziale, in una riunificazione di elementi palpabili e sottili che le discipline hanno via via svincolato e dissolto, ma che si presentano unite nell'esperienza della vita. Come dice la poesia che celebra l'amore - massima potenza dell'umana esperienza conoscitiva - al culmine del piacere pare di morire: un «convergere di opposte passioni» permette di cogliere, con tutto l'essere, il significato della vita. Saffo ci invita a pensare col corpo, al cui centro batte il cuore, dispensatore di impulsi poetici. Se Eros è la via della conoscenza filosofica, la poesia celebra questo cammino e il teatro lo rappresenta. Stare sul crinale della passione conoscitiva forse vuol dire correre il rischio di andare fuori orbita, come l'asteroide, o alla deriva, come la nave di Platone verso Siracusa, perché la salvezza è continuare a percorrere quelle stesse rotte antiche e ricordare perché si misero in mare Ulisse e i suoi compagni, oltre le colonne d'Ercole, alla ricerca della propria umanità, sempre da venire, da fare, da inseguire in versi. Il canto echeggia come nostalgia di casa a cui voler tornare sempre, senza potervi dimorare mai.
Leonardo da Vinci non fu né “letterato” né “filosofo” professionale. Eppure, nonostante la sua vita errabonda, sempre alla ricerca di incarichi per dipingere, costruire macchine, proporre nuove invenzioni, ebbe la costanza di scrivere migliaia di pagine, rimaste quasi del tutto private. Oggi, a distanza di cinque secoli dalla sua morte (1519), il corpus dei suoi manoscritti ci appare come un immenso teatro, in cui molte nuove scienze furono progettate, ma nessuna portata a un livello accettabile di definizione. Ma è proprio in questa difficoltà a definire dei saperi particolari, che risiede il maggiore motivo di interesse per il pensiero di Leonardo: egli, scontrandosi con l’enciclopedia delle scienze che si trovava dinnanzi, aspirò a ripensare e riorganizzare tutto a partire da due punti di riferimento: la pittura, intesa essa stessa come una “filosofia”, e, a ciò legata, la natura, vista come un circuito di innumerevoli energie e “potenze”. La sua è quindi, per quanto frammentaria, una proposta schiettamente filosofica, da ricostruire alla luce della “filosofia naturale” del Rinascimento.
In che termini e con quali iniziative può avviarsi oggi un reale cammino di dialogo tra i popoli del Mediterraneo? Occorre puntare con “fraternità inclusiva” ad un’autentica azione umanistica, oltre che politica e sociale, agendo, ha affermato Papa Francesco, come "etnografi spirituali dell'anima dei popoli per poter dialogare in profondità”. È in questo quadro che l’arte può giocare un ruolo significativo, riflettendo nella sua stessa natura la complessità della vita, interpretata nel segno della libertà, della creatività, della verità umana. Il volume raccoglie i contributi degli studiosi partecipanti al convegno di studi “Arte e dialogo nel Mediterraneo”, tenutosi nel marzo del 2019, a Napoli, presso la Pontificia facoltà Teologica dell'Italia Meridionale, sez. San Luigi. Il volume è stato realizzato con la collaborazione di Giuliana Albano e Francesco Raucci.
"Il metodo" è l'ultima opera teorica di Sergej M. Ejzenstejn, lasciata incompiuta alla sua morte (1948). In queste pagine il regista riattraversa molti dei temi della sua riflessione, allo scopo di sciogliere i nodi teorici di una ricerca che accompagna costantemente la pratica artistica, da quella teatrale a quella cinematografica, senza dimenticare il disegno. Il risultato è un lavoro concepito per chiarire in via definitiva «il problema fondamentale» dell'arte: quello che, nella fattispecie, contiene il segreto del suo funzionamento o, per essere più precisi, della sua «efficacia». La messa a punto di un vero e proprio «metodo» consente a Ejzenstejn di svelare i meccanismi che regolano la vita di un'opera d'arte, dal momento in cui viene ideata fino a quello in cui entra in relazione con il suo spettatore. La tesi che si delinea è tanto chiara, quanto radicale: la forma di pensiero attivata dall'arte e dai suoi prodotti corrisponde, per struttura e funzionamento, a quella del pensiero primitivo. Il «metodo» di cui stiamo parlando diviene così uno strumento prezioso per scrivere, a partire dalla comprensione di una singola opera, non solo una più generale storia delle arti, ma anche una storia naturale delle forme viventi.
Un capolavoro architettonico ammirato in tutto il mondo. Una città, Firenze, al culmine della sua fortuna storica e artistica sotto i Medici. E un genio tormentato, Filippo Brunelleschi, destinato a lasciare un'impronta indelebile nella storia. Sergio Givone tesse in queste pagine la trama che portò alla nascita della cupola del Duomo di Santa Maria del Fiore, simbolo indiscusso del Rinascimento, ripercorrendo i giorni di una città colpita dalla peste, il magico incrocio degli artisti dell'epoca, da Masaccio a Donatello, da Arnolfo di Cambio a Lorenzo Ghiberti, le rivalità, le delusioni e i drammi di un'impresa temeraria. A seicento anni dall'inizio dei lavori di costruzione, riviviamo le voci, i gesti, i personaggi e i retroscena di una saga drammatica ed eroica, scopriamo il sogno di un artista visionario che sfidò le leggi della fisica e lo scetticismo dei contemporanei, ma anche il suo rapporto col figlio tanto profondo quanto contrastato. Nel romanzo della cupola s'intrecciano ricostruzione degli eventi e filosofia, scienza e biografia, svelando arcano e realtà di un'opera tra le più rilevanti della nostra civiltà.
La storia dell'arte può essere raccontata da tanti punti di vista: attraverso le tecniche, i movimenti, le committenze, i linguaggi o gli stili. Questo libro sceglie un'altra strada. Ci invita a compiere un viaggio nel tempo, dall'antichità ad oggi, per scoprire come gli artisti hanno rappresentato le emozioni, quelle che si annidano nei nostri stati d'animo più ineffabili e affascinanti. Lo storico dell'arte Costantino D'Orazio ci guida tra capolavori famosi e opere meno note per accompagnarci alla scoperta del desiderio, del delirio, del tormento, dello stupore, del dubbio e dell'allegria. Sentimenti che l'umanità ha avvertito e considerato in maniera sempre diversa nel corso dei secoli. Dai reperti dell'antica Grecia ai capolavori del Rinascimento, dalle invenzioni del Barocco alle rivoluzioni del Romanticismo, fino alle provocazioni del Novecento, l'arte ha attinto alle emozioni delle donne e degli uomini creando simboli e personaggi per raccontarle. Eros per il desiderio, Prometeo per il tormento, Medusa per il delirio, Maddalena per lo stupore, Polimnia per il dubbio e i putti per l'allegria, sono solo alcune delle figure che svelano il tumulto di emozioni contenuto in queste pagine.
Fin da giovane, tra Firenze e Roma, Michelangelo realizzò numerosi disegni, piccoli schizzi e “cartonetti” che, a detta di Giorgio Vasari, altri pittori avrebbero “colorito”. Alcuni di questi fogli, tracciati per farne dono ad amici e collezionisti, furono realizzati dall’artista “per amore e non per obrigo”, e presentano un maggior grado di finitezza. Il grande successo di queste immagini scatenò tra i collezionisti la smania di procurarsi riproduzioni disegnate e dipinte degli originali dell’artista toscano, il cui valore risiedeva più nella fedeltà al prototipo che nell’autografia. Il fecondo dialogo tra Michelangelo e i suoi seguaci è messo in luce in questo catalogo attraverso un piccolo e prezioso nucleo di opere di Marcello Venusti, Lelio Orsi, Marco Pino e Jacopino del Conte, derivate da celebri invenzioni del maestro toscano.
Contro l'arte romanica? Da qualche decennio l'arte romanica è alla moda. Ma la basilica di Ripoll o il Fondaco dei Turchi a Venezia sono veramente edifici romanici? Le statue lignee raffiguranti la Madonna e Cristo con il volto nero erano proprio così anticamente? In questo libro si mette in discussione il concetto stesso di romanico e di arte romanica, se ne indagano le origini, e soprattutto si contestualizza la sua genesi storiografica nel particolare ambiente culturale della prima metà dell'Ottocento, quando in tutta Europa per la prima volta si scoprì, come d'improvviso, la produzione artistica anteriore all'avvento di quella maniera di costruire che Vasari definì come tedesca o portata dai Goti. Il libro analizza l'elaborazione storiografica e nazionalistica dell'idea di romanico, decostruendone invenzioni ed errori, ponendo l'accento su alcune questioni controverse come la popolarità degli artisti, il ruolo della donna nell'universo artistico misogino dell'epoca o la ricca policromia degli edifici. Ma nello stesso tempo svela la vera personalità del Medioevo romanico, dalla Francia all'Italia, dall'Inghilterra alla Catalogna, mettendo a confronto idee e modelli architettonici e figurativi, in un dialogo che probabilmente in quei secoli fu molto più vivace e vitale di quanto oggi pensiamo. Prefazione di Serena Romano.