La basilica ambrosiana di Milano, edificata per la prima volta negli anni di Ambrogio (374-397) e ricostruita radicalmente alla fine dell'XI secolo, è uno straordinario luogo di memoria e di presenza di oggetti e monumenti medievali. Attraverso lo studio di alcune celebri opere in essa conservate, tra cui il sacello di San Vittore in Ciel d'Oro, l'altare d'oro e il ciborio di Sant'Ambrogio, il libro si propone di indagare l'interazione tra la topologia dell'edificio e i suoi oggetti, le reliquie attorno alle quali l'Ambrosiana è costruita, e la nozione di "migranti". In altre parole si vuole analizzare come, sulla lunga durata, alcuni oggetti diventino riflesso delle reliquie, e la santità materiale che da essi deriva venga usata come strumento di esclusione e intrusione in un contesto etnico problematico. Il volume presenta un ricco apparato iconografico, frutto di un'apposita campagna fotografica.
Potrà mai risorgere quel piccolo Cristo smarrito, che Bruegel nasconde tra la folla, ignorato e affondato nell’indifferenza degli uomini? Qui la croce non sembra aprire il movimento della storia, ma piuttosto precipitare nella lunga notte del mondo. Con Rembrandt, nell’atmosfera sfibrata della «Cena in Emmaus», anche l’evento della resurrezione si stempera: il risorto, seduto al tavolo dei viandanti, viene risucchiato indietro dalle tenebre verso un’esile luce. La sparizione del Cristo, l’assenza di ogni Dio su questa terra sono forse segni con cui oggi dobbiamo confrontarci.
Gabriella Caramore è autrice della trasmissione di cultura religiosa di Rai Radio 3 «Uomini e Profeti». Per il Mulino ha pubblicato «Pazienza» (2014).
Maurizio Ciampa, saggista, ha pubblicato tra l’altro «L’epoca tremenda. Voci dal Gulag delle Solovki» (Morcelliana, 2010). Sono autori di «La vita non è il male» (Salani, 2016).
Concepire un’arte ornamentale proclamando, allo stesso tempo, l’intangibilità delle leggi della natura insieme con l’incontenibile ed esuberante fecondità che quest’ultima aveva ritrovato grazie alla pace: questa è la sfida apparentemente contraddittoria che Augusto ha lanciato a sé stesso e che ha saputo affrontare con successo. Fondata sulla riflessione dei filosofi , della creazione artistica dei Greci, la rivoluzione ornamentale augustea ha soprattutto beneficiato dell’incontro tra il principe e Virgilio, poiché il poeta aveva compreso, sin dall’epoca sanguinosa del triumvirato, che gli scontri che avevano diviso Roma e il mondo nel corso di un secolo dovevano trovare una risoluzione che fosse anche estetica. Non si può che rimanere colpiti, in effetti, dalla straordinaria efficacia dell’arte ornamentale augustea, che rimane una delle creazioni più durature del fondatore dell’impero. Le sue forme traggono certo la loro necessità dalle leggi della natura da esse stesse mostrate, dal geniale equilibrio dell’arte greca di cui rappresentano la continuazione, e anche dall’estrema semplicità del verso virgiliano che illustrano. Sembra che queste forme non vogliano morire, come se si ricordassero di esser state concepite per celebrare la rinascita del mondo.
Nella Chiesa d’Oriente l’icona occupa un posto fondamentale e primordiale. È parte integrante della celebrazione liturgica come strumento e mezzo di preghiera; riunisce in sé la dimensione del sacro e quella del divino, esprime una visione teologica e una prospettiva estetica. In questo volume, l’artista libanese Mahmoud Zibawi illustra il significato dell’icona a partire dai principi teologici e dai fondamenti dogmatici che ne hanno consentito la genesi, in un’area del mondo antico in cui nella specificità di questa arte si fondono genio indoeuropeo, umanesimo greco-latino e immaginario indo-iraniano. Grazie a un ricco apparato di illustrazioni e carte, e a un’accurata appendice cronologica e museografica, Zibawi descrive lo sviluppo storico dell’icona. Prendendo in considerazione tutta l’area mediorientale (Bisanzio, ma anche Siria, Palestina, Cipro), la Grecia, la Macedonia e la Russia, procede in un approfondito percorso documentario, dai primi secoli dell’era cristiana al classicismo bizantino dei secoli XII-XIV fino ai tempi moderni, nell’esplorazione dell’arte dell’Oriente cristiano e di tutta la sua enigmatica ricchezza.
Nata nel XII secolo sui campi di battaglia, l'arte degli stemmi ha come funzione primaria l'identificazione dei cavalieri resi irriconoscibili dagli elmi e dalle armature. L'idea che gli stemmi siano monopolio della nobiltà nasce in quei giorni. Invece tutti possono portare degli stemmi, che sia nobile o plebeo, sempre che rispetti le regole del blasone. Un codice funzionale, nato dalla necessità di identificare da lontano i portatori di stemmi: colori vivi, simboli evidenti, segnaletica forte. Michel Pastoureau, storico dei simboli e dei colori, ci mostra come l'uso dell'araldica è universalmente diffuso, e come sia giunto a essere presente nei segnali stradali, nelle bandiere, nei marchi e in tutti gli altri grandi codici della società contemporanea.
Il libro di Giovanni Padroni è un vero “laboratorio di pensiero e di sensibilità. Per la sua ricerca personale, ma anche e soprattutto per chi vuole comprendere l’immenso sforzo che la nostra contemporaneità ha profuso per inseguire il sogno della bellezza, preludio insopprimibile a una vita buona e vera.
«In ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in
ogni diocesi... cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni». Era ciò che papa Francesco auspicava in occasione del Convegno Ecclesiale di Firenze nel 2015, è ciò a cui la Diocesi di Padova, e nello speci co il Centro Missionario, ha risposto, in modo creativo e coinvolgente. Come?
Alla luce di una sfidante riflessione di Ermes Ronchi sono proposti alcuni laboratori sinodali, finalizzati a costruire insieme una nuova pastorale, ad attivare in modo inedito e radicale una concreta conversione missionaria nella propria realtà ecclesiale.
Il cinema – nello speci co alcune sequenze di lm – è lo strumento di cui servirsi per camminare insieme e insieme generare il futuro della Chiesa.
Nel panorama europeo Frédéric Debuyst non è solo un testimone e un interprete autorevole del cammino dell’architettura liturgica dal dopoguerra ai nostri giorni, ma anche un ispiratore ascoltato e influente, attraverso intuizioni teologicamente nette e spiritualmente intense. La misura umana dell’architettura cristiana è la cifra sintetica del pensiero di Frédéric Debuyst, un pensiero e un’opera che sono la testimonianza spirituale di un uomo sedotto dalla bellezza, maestro del genio cristiano del luogo. Un volume omaggio al principale esperto del legame tra liturgia e architettura, monaco benedettino amico fedele della Comunità di Bose: l’ultimo suo libro scritto proprio come “testimonianza personale”.
Christian fu un giovane come molti altri; Christian fu unico nel suo genere. Tra queste due frasi sta l’esistenza di un ragazzo precoce, che fin da adolescente fu poeta dell’amore (divino e umano) e che volle coltivare la propria vocazione di musicista, percepita come dono per sé e per gli altri; la vita di un ragazzo di oggi che, per realizzare il suo sogno, mise in atto passione e rigore in ogni istante della propria vita, consumata ancora giovanissima, ma capace di lasciare un segno straordinario in chiunque abbia incontrato lui o la sua eredità (oggi testimoniata e portata avanti dalla Fondazione e presso il liceo classico e musicale, voluti dai suoi genitori): siano essi stati gli amici e la fidanzata, ma anche personalità della musica e della chiesa, come Mina, Red Canzian, padre Spadaro, Sua Eminenza monsignor Ravasi; fino alla testimonianza misteriosa della mistica Natura Evolo.
L’affascinante e commovente parabola di Christian è qui raccontata lungo tredici capitolina attraverso una serie di testimonianze di chi gli è stato accanto nelle varie fasi della sua vita. Le persone più disparate, di età, paesi, formazione completamente diversi, intervistate per realizzare questo libro, hanno tutte sottolineato la sua ricchezza umana e di fede, da cui spicca la capacità di cercare costantemente il contatto con l’anima altrui. Una capacità che la sua morte non ha sconfitto; un dono che appartiene a ogni giovane che voglia mettersi in cammino per non dare per scontata la propria anima e il suo destino.
Il testo si propone una indagine sulla raffigurazione di Cristo nell'arte dei secoli XV e XVI nell'Europa occidentale. Attraverso un percorso storico sulla religiosità dell'epoca, favorita dalla Devotio moderna, esamina i diversi soggetti - dalle Pietà al Vir dolorum al Trono di gloria - attraverso cui si è espressa la spiritualità cristiana, partendo dal Nord dell'Europa. Si sofferma in particolare sulla teologia della gloria nel polittico di Gand e della croce in quello di Grunewald a Colmar. Analizza poi il rinascimento italiano nelle sue opere cristologiche della "teologia del corpo in diverse espressioni d'arte: da Masaccio a Botticelli, da Bellini a Leonardo e a Raffaello, anche nei loro soggetti mariani. Una indagine specie è rivolta all'opera di Michelangelo come figura-sintesi delle varie stagioni del Rinascimento: dai giovanili David e Pietà alle Cappelle Sistina e Paolina alle ultime ricerche religiose. L'ultima parte tratta dell'arte della Riforma cattolica e del suo scopo evangelizzatore. Si esaminano in modo speciale due rappresentanti: il Tintoretto autore del ciclo "glorioso" del vangelo alla Scuola Grande di San Rocco a Venezia e la spiritualità mistica tra Oriente ed Occidente in Spagna nei lavori di El Greco.
La Madonna della Madia di Monopoli: guardarLa e sentirsi guardato non è un semplice gioco ottico, è una preghiera silenziosa che nasce per fede convinta, qui riscaldata dallo sguardo dolcissimo, appena implorante, della Theotòkos, della Madre di Dio. Per questo in un certo senso la Città di Monopoli non avrebbe bisogno di sapere di più del linguaggio della sua Icona: per la sua natura di città di mare e per un destino segnato, Monopoli da secoli vi-ve e si sviluppa confermata e confermandosi nel Patto di Bellezza che la lega alla Sacra Immagine di Maria. Ma pure si può tentare di aprire e leggere di più di questo stupendo libro iconografico (tale è sempre un'icona). Per tradizione antica è giunto dal mare, una notte di dicembre, per regalare l'immagine di una Madre che porta un messaggio di salvezza, Suo Figlio: saperne di più sarebbe un atto di conoscenza che arricchirebbe il dialogo di ognuno con le Sacre Figure. Ecco allora la ricerca di una lettura più attenta dei segni e dei simboli con cui l'Icona è stata segnata dall'arte e dalla fede orientali. Se poi la ricerca permette di intravvedere sull'Icona i segni della storia di una grande reliquia della Chiesa, la Sacra Sindone di Torino, allora la ricerca può diventare necessaria. E può diventare più incisiva l'opportunità di parlare d'ora in avanti dell'Icona della No-stra Signora della Madia, della Città di Monopoli
L'"Amleto" rappresenta uno dei più grandi capolavori di Shakespeare. Composta agli inizi del '600, mette in scena una grande metafora della vita in cui bene e male si affrontano costantemente coinvolgendo l'omonimo protagonista in un vortice di dubbi e di incertezze esistenziali. Le domande che si pone Amleto sono le stesse che si pone l'uomo moderno: vivere o morire, agire o non agire? Proprio questa caratteristica rende questa tragedia un'opera sempre attuale che grazie alla sapiente drammaturgia shakespeariana, attenta soprattutto a far emergere le sfumature psicologiche dei suoi personaggi, coinvolge ogni tipo di lettore, trasportandolo in una dimensione profonda e complessa. Saggio introduttivo di Luigi Weber.