"La poesia di Loretto Rafanelli si è sempre incentrata su un nodo tragico: esilio, solitudine, necessità della voce. Esilio significa solidarietà della voce del poeta con chi non ha diritto riconosciuto alla voce: il soffio della poesia crea fermezza in chi sta sentendo svanire la propria esistenza. Solitudine è un tema centrale della poesia d'Occidente, centrale e molto presente, non esclusivo: sulla scia della lirica assoluta e quindi sola, da Petrarca a Ungaretti, Rafanelli fissa la voce poetante come unica risposta a un mondo che chiude la comunicazione naturale, implicandone un'altra, forzatamente innaturale. Necessità della voce è la conseguenza di questo: mentre il mondo, per Rafanelli, pare sempre svanire, una necessità umana e civile pretende memoria, risposta, certezza, durata. Fino a ieri. Ora la poesia di Rafanelli, senza nulla perdere di questa agonica necessità e questo etico dolore, cerca altre cose. Non i nomi, che sempre esistono nel suo canzoniere, e che perdurano come in una memoria inconscia e dettante. Non i luoghi, che da sempre esistono nella sua opera, come emblemi. Ora entra in scena un'altra realtà, più semplice, difficile da perseguire, teoricamente ineffabile: Rafanelli trasforma nomi e luoghi in storie, come un pittore barocco o uno scultore antico crea forma, traduce le visioni, le vuole fare vere, presenti, qui e ora." (Roberto Mussapi)
"Concentrata e leggera, nitida e profonda, la poesia di Tiziano Broggiato è insieme ermetica e depistante. Ermetica perché il dettato quieto e fermo cela in realtà sempre una visione inquietante, un tremore tellurico impercettibile ai sensi se non nel vibrare demonico del verso. Per questa ragione depistante: non siamo nella poesia del quotidiano che del quotidiano si appaga, e magari esalta, come spesso accade, né quindi in una visione minimalistica della realtà. Ci troviamo piuttosto in un mondo di visioni rapide, concluse e serrate, che si succedono come fotogrammi di una pellicola il cui movimento è impercettibile. Ogni verso è un'immagine, generalmente priva di bagliori o svelamenti, ma ogni immagine è profonda, pare emergere da una vecchia fotografia, o ancor più da una traccia lapidea invisibile se non agli occhi, meglio alle antenne del poeta. Ferma, priva di sbavature, la poesia di Broggiato ha una sua fredda potenza tragica, inchiodando cose e persone alla realtà del tempo eveniente, e una freddezza anatomistica che felicemente convive con una fraterna solidarietà di fatto con il coro del mondo: 'E quando riesce a vedere un sole bianco, anche attraverso basse nubi, e avvertire che aumentano le acque, mentre la luce riposa, che uno capisce che il suo luogo, è quello. Per sempre.'" (Roberto Mussapi)
"Con 'La caccia spirituale', Massimo Morasso mette in scena uno degli spettacoli poetici più originali di questi anni: ispirato alla grande linea della poesia alta di Rilke e Yeats, visionario e mito-poietico, fonde rivelazione e misticismo, fuoco lirico e narrazione epica, dove la poesia è intesa come ricerca totale di conoscenza. Sapienziale e svelante, nelle sue tre sezioni il libro offre una rappresentazione dell'agonismo dell'anima nel corpo cosmico: '"Non c'è un movimento del tempo/ nessun movimento nel tempo,/ il tempo inizia e seguita a iniziare nel principio,/ ci sono i suoni che picchiettano la mente, e quei migranti/ respiri di altra vita, le mitragliette/ dei vuoti che si inseguono/ per strada, un clacson, un bobtail che latra [...]". La lezione di Coleridge, Novalis, la visionarietà che nella poesia diviene natura e scienza, l'esplorazione avventurosa e profonda delle grandi tradizioni religiose nella ricerca dell'unità dell'essere: il tutto in un poema dove gli uomini si incontrano, la folla fluttua sciamando nella città come accade quando la poesia vuole essere teatro del mondo. Al centro Genova, la città dei poeti rabdomanti, la capitale portuale che cela gli enigmi della navigazione e della terra, palpitante città-universo. Morasso è autore di un'opera saggistica e critica originale e profonda, la sua cultura e il suo background non sono limitati, nello spazio e nel tempo, ma straordinariamente contemporanei." (R. M.)
"Poemetto gastronomico e altri nutrimenti" di Tomaso Kemeny è un libro strano: da un lato pare una sorta di canzoniere-poema in cui tutta la realtà viene sottoposta alla prova della poesia: le persone amate, i poeti maestri, le ritualità cosmiche. Dall'altro manifesta un fluire narrante, apparentemente stralunato, in cui il libro si rivela una sorta di convivio dove immagini, ricordi, visioni si incontrano secondo un moto ondoso, creando una specie di moderna satura. Dallo sberleffo al desiderio del sublime (desiderio però controllato da un'ironia obbligatoria in questi casi), all'abbandono commosso di fronte a realtà concrete: elementari, non quotidiane. E in tal senso la prima parte del libro, il compatto "Poemetto gastronomico" che all'opera dà il titolo, si rivela il luogo di massima originalità. La lezione del Byron eroicomico, quello del Beppo e del Don Juan, attingente ai modelli italiani del Boiardo e del Pulci, si manifesta in Kemeny in forma di festosa poesia sul cibo e sulla gioia del vivere, un divertito canto alla vita che, nella sua piena felicità, porge la chiave per interpretare la seconda parte. Dove i nomi dei poeti amati e delle persone, i sogni notturni e cosmici di armonia celestiale, rivelano la loro natura malinconica, sempre confortata da un sorriso, realtà rara in poesia.
Con Red Rover di Susan Stewart, Jaca Book propone una voce della grande poesia statunitense rinascente. La situazione poetica del secondo Novecento registra, in tutto l'Occidente, e in particolare negli USA, una caduta minimalistica: poesia frammentaria, quotidiana, secondaria rispetto alla vita. In America, come in Europa, resistono grandi voci a mantenere il filo di una poesia assoluta e metafisica. Assoluta in quanto capace di una visione universale; metafisica in senso eliotiano, non speculazione astratta, ma al contrario la forza di rendere evidente l'invisibile nel visibile e nel concreto, svelando. I maestri americani del primo Novecento sono tra i principali fondatori di questa linea: Eliot, Pound, Hart Crane. Susan Stewart, nata nel 1952, riprende quella lezione alta e metamorfica, baluginante e cosmica, con una potenza lucida e pregnante: i suoi versi interrogano e mettono a nudo il mondo, similmente ai migliori lirici americani di oggi, Charles Simic e Charles Wright, e attingendo alla tradizione metafisica europea che da Dante Alighieri a John Donne corre a Eliot.
Alessandro Rivali, poco più che trentenne, è già un poeta inconfondibile, importante. Intatta da ogni cedimento minimalista, o sentimentale, coraggiosa e imprudente, la sua poesia visionaria e sontuosa si staglia con la forza divampante del fuoco eracliteo: le sue visioni di Bisanzio, delle civiltà che sorgono e vengono mutate dal tempo in polvere, la ruota del destino contro cui stoicamente l’uomo combatte propongono una poesia epica, bronzea, dai bagliori poundiani, che pare attingere a certe grandi (e poco o nulla seguite) esperienze poetiche del Novecento, come quella dell’americano Hart Crane (inizio secolo) e del serbo Ivan Lalic (seconda metà del secolo). La poesia nel nodo agonico, amletico tra essere e non essere, lampeggiante di visioni e oscurata da presagi. Originario e presente il conflitto tra luce e buio, tra divenire e sospensione del tempo, appare in turbinose scene di lotta dell’uomo tra destino e divenire, travolto da un’energia spirituale spesso inafferrabile, o non percepita, o fraintesa, come un fuoco fuggente. Attingendo alle fonti della tradizione occidentale Rivali riscopre la storia (Historia), genere letterario e filosofico inventato in Occidente, come pelle, immagine del mito, come la stoffa di cui il mito è tessuto e da cui è tramato per assumere forma visibile. Ispirato dai tragici greci e dal cinema di Kurosawa, antico nella posizione morale ma mai anacronistico, il suo libro riporta nella poesia lirica il brivido dell’avventura e la tormentosa domanda sul destino del mondo, in una perenne ricerca di una luce ulteriore presente ma spesso, nel tempo terreno, inattingibile o offuscata dal turbine degli eventi.
(Roberto Mussapi)
"Nel 2003 pubblicavo in questa collana Istinto e spettri, di Annelisa Alleva, non a caso studiosa di poeti russi contemporanei, toccata anche dal magistero del più recente e grande, Iosif Brodskij. Quel libro svelava una poesia traboccante e naturale, una pienezza lirica felice e palpitante, e una cifra originale, quanto internazionale, della sua autrice. Una voce originale e inconfondibile, come conferma questo trascinante La casa rotta, una scorribanda poetica ebbra, una corsa sulla neve e in volo, rasoterra, un'esplosione dell'io lirico antico, che a volte, in molti autori, può essere convenzionale, mentre qui nulla è di convenzionale, l'io si appropria sempre e subito dell'altro, della persona a cui parla e si rivolge, da quella malata alle creature palpitanti vitalità. La voce poetica di Annelisa Alleva pare un'amplificazione della realtà psichica e sentimentale, un'amplificazione perfettamente fedele alla fonte, priva di ogni deformazione, ma capace di far suonare le corde segrete e inespresse dell'emozione. Per questo dolore e gioia si mescolano con la fulminea naturalezza con cui buio e luce si susseguono a ogni batter di ciglio. Per questo tale voce suona autentica e inconfondibile, e le sue parole dettate da necessità naturale" (R. Mussapi).
Il libro prende il titolo da un breve poema, "Gita Meridiana", ispirato alla scoperta della tomba del Giovane Principe ad opera del paleontologo Giacomo Giacobini, avvenuta a metà degli anni Ottanta, vicino alla Grotta delle Fate. L'opera è ambientata negli anni Ottanta, in cui è scritta, in Liguria: prima dall'autostrada corrente lungo il mare, col sottofondo delle automobili che attraversano il buio delle gallerie, poi, in una sorta di rapimento meridiano, l'incanto di una sosta in cui l'unico suono è il gracidìo dell'autoradio, e l'improvvisa visione della grotta e del principe sepolto. Con Gita Meridiana la preistoria entra nella mitologia della poesia occidentale. Un altro breve poema costituisce l'asse portante del libro, "II Cimitero dei Partigiani", viaggio metafisico che è anche considerato uno dei capolavori letterari sul mito della Resistenza. Il viaggio all'Ade del poeta, la discesa agli Inferi, il dialogo con le ombre dei giovani partigiani morti per la nostra libertà rappresentano al massimo grado di pietas il percorso di "Gita Meridiana" alle fonti dell'esperienza poetica come sintesi bruciante di visione e compassione.
Alla lontana, alla prima luce del mondo di Alberto Toni è un libro dalla bellezza misteriosa e sfuggente. E come a volte accade dei libri in cui la bellezza si manifesta naturalmente, si stenta a capire la ragione di questa emozione di lettura. Non si incontrano eventi numinosi, scorrendo queste pagine, né lampi rivelatori, quei nodi snodati che danno il passo rivelante a molti libri brucianti e durevoli. Qui invece tutto scorre come in un film limpido e come animato da una quotidianità fuori dal tempo. Le poesie dedicate ai grandi trovatori sono forse una chiave sottile di lettura, in un poeta che peraltro non ama, o sa ben celare, ogni intenzione allegorica: certo Toni «trova», semplicemente, scrive occasioni, nel tempo che scorre. Alberto Toni ha scritto sempre versi riconoscibili, ha insomma una sua cifra personale, una propria voce, ma mai come in questo libro l’ha portata ai vertici. Un poeta che nel primo decennio del terzo millennio ci presenta un canzoniere in cui dominano la lezione di Orazio e Ungaretti, lo scorrere quieto del tempo e la percezione lirica molecolare del mondo: «non c’è motivo di resa, anzi per te nuove/ note, quegli accordi, senti, da foglia/ a foglia, da mare a mare, se mi raccogli/ e mi porti con te solo per un momento». Roberto Mussapi.
La poesia di Santos Lopez, venezuelano nativo dell'Orinoco, si manifesta con straordinaria originalità ed energia. E poesia sciamanica, conoscenza iniziatica, o meglio conoscenza in atto, della natura, e, contemporaneamente, lirica di assoluta semplicità. Quintessenziale impresa poetica: la scoperta e lo svelamento del mistero dell'essere in forme di sensuale e spirituale bellezza. La realtà della natura, la stessa che animò e mosse Lucrezio e Ovidio, anima questa rappresentazione del volto del mondo attraverso i volti in cui la sua anima misteriosa, magica, si manifesta.
Siamo già oltre il Novecento. Scritte negli ultimi anni di quel secolo queste poesie, di un autore già riconoscibilissimo e ancor giovane, testimoniano il brivido di metamorfosi dall'età dell'inquietudine e del dramma a una nuova, aurorale, seppur non meno tormentosa, epoca di rinascita.
Compare, in questo volume morbido come un Notturno, una citazione di Attilio Bertolucci. Una volta tanto, i versi che poi disegnano il libro lo popolano di memorie e visioni quiete, preserali, dimostrano docilmente, per forza naturale, la loro discendenza dal quieto ed enigmatico Maestro, nella loro natura fluttuante, inafferrabile e dolcemente rievocante. Una volta tanto, perché Bertolucci è modello incompreso anzi frainteso da molti che si sentono onestamente nella sua scia, fermandosi poi al minimo della sensazione, al palpitare d'ala di farfalla, senza percepirne il ritmo lunare, la fintamente dimessa magia subliminale. Marco Vitale, che ha un background vasto, internazionale, è troppo sottilmente avveduto per non sapere che esiste una poesia apparentemente meditativa, crepuscolare, che invece dilata metafisicamente la dimensione dell'ombra, l'angoscia del tramonto, il sogno platonico della rinascita del sole, definitiva, oltre il flusso fenomenico e il triste divenire, domani, oltre, altrove: tre parole innominate in Canone semplice, quanto agognate. Morbido come velluto, il suo verso manifesta una vocazione poetica sicura e personale quanto sfuggente a ogni tentativo di catalogazione: non crepuscolare ma piena di attesa tremante, non meditativa ma immobilmente meditante: "E niente, niente che non avesse/ il peso di una neve/ benefica o una carezza/ tra il marciapiede e le stelle". (Roberto Mussapi)
"Rafanelli qui manifesta la metamorfosi di una poesia che pur conservando il suo inestinguibile cuore lirico, diremmo il suo combustibile, assume contemporaneamente, in modo non vistoso ma profondo, la forma cangiante, fluente del poema, recupera insomma il racconto. Intendo non il poema in senso stretto, ma un mutamento di passo rispetto alla lirica pura, la subliminale congregazione delle parti in un lucido e visionario racconto, in un dettato drammatico e anche sottilmente drammaturgico." (Roberto Mussapi)
La pagina di Patrizia Giovannoni è una mappa, i suoi versi svelano un ordito avventuroso ed enigmatico come le trame di un tappeto persiano: in questo senso il titolo esprime pienamente il senso profondo di questo libro visionario e rivelante. La lingua dell'autrice inscena un dramma di viaggio e sogno che svela il dilemma originario della poesia, lo slancio a una rappresentazione, complessa e semplice come un fiore, della realtà del mondo.
Marina Corona è nata a Milano nel 1949. Ha vinto nel 1990 il Premio Internazionale Eugenio Montale per la sezione "Inediti". Ha pubblicato il volume "Le case della parola" e il libro "L'ora chiara". Cura cicli di poesia e presentazioni di poeti presso la Casa della Cultura di Milano.
La poesia di Marco Massimiliano Lenzi rappresenta una doppia rivelazione: in primo luogo quella di un poeta importante, di valore indiscutibile, giunto alla prima pubblicazione di peso in età non giovanissima. La seconda rivelazione è forse ancora più significativa, perché il libro di Lenzi (fusione di canzoniere e poema, frutto di scaldica conoscenza del libro attesta l'esistenza di una linea etrusca della poesia italiana maturata negli ultimi lustri del Novecento, sotto i fari di Luzi, Bigongiari, peraltro diversissimi fra loro, con le opere di Ceni, Carifi, anch'essi lontanissimi l'uno dall'altro per cifra e stile, ma affini in una particolare tensione morale.
"Auspico una crescita di oggettivazione per questa poesia, e l'oggettivazione in poesia è azione, dramma, sensous thought, ma intanto ne registro la riuscita fedeltà al compito di un poeta: suscitando un mondo toscano non paesaggistico ma immaginale (il faro Luzi, il faro Cavalcanti con il suo ardere aspro e devastante, le mute e parlanti visioni di Pinocchio, una Toscana lucidamente onirica, hillmanniana accanto alla metafisica silente di Carrà e De Pisis), il poeta, alla fine, ci fa quasi dimenticare il tema per la fiamma azzurra con cui lo attacca e attraversa, e ci lascia feriti e speranti." (Roberto Mussapi)
Questo libro è una raccolta di poesie di Silvio Ramat. Fiorentino di nascita, l'autore insegna dal 1976 letteratura italiana contemporanea nell'Università di Padova. La sua attività di studioso è stata premiata nel 2001 dall'Accademia dei Lincei.