Con il secondo tomo del terzo volume, il grande lavoro di James Dunn sugli inizi del cristianesimo è completo. Dedicato alle origini del movimento cristiano e alla formazione delle prime istituzioni ecclesiastiche, questo tomo affronta la problematica della cosiddetta divisione delle strade, ossia di come si poté giungere a un movimento cristiano distinto dal «giudaismo».
Dunn mostra come questo sviluppo sia alquanto più intricato di quanto sovente lo si voglia rappresentare, e come l’immagine stessa di una separazione delle vie possa essere fuorviante. Particolarmente interessanti e importanti si profilano in questa vicenda le figure di Giacomo, Pietro, Paolo e Giovanni, che Dunn fa emergere in tutta la loro statura e nel significato che ebbero per le generazioni successive. Completano il volume e l’opera generale ricchissimi indici parziali, delle opere e degli autori citati oltre che degli argomenti.
Chi fu san Pietro? Per molti secoli figliastro ignorato della ricerca critica sulla Bibbia (soprattutto protestante), nel corso degli ultimi due decenni il personaggio di Simon Pietro ha conosciuto una grande rinascita. Un numero crescente di studi, sia di protestanti sia di cattolici, ha aperto la strada a un modo meno polarizzato di comprendere il ruolo di Pietro nella prima generazione del movimento di Cristo, tanto da poter dire che in un certo senso il nuovo impulso ormai più di mezzo secolo fa impresso agli studi su Pietro ha prodotto, sia pure con grande ritardo, frutti eccezionali. Oggi la figura non poco nebulosa di Simon Pietro viene ad assumere un ruolo inaspettatamente vitale all'epicentro delle origini cristiane, e nella sua varietà la memoria protocristiana fa emergere come di fatto e per i suoi effetti Pietro fu probabilmente l'uomo ponte (pontifex maximus) che più di ogni altro si adoperò per tenere insieme le diversità del cristianesimo nel primo secolo.
Il saggio di Maurice Sachot è un tentativo di rendere conto della genesi del cristianesimo come religione sotto l'impero romano, in particolare con Tertulliano e gli apologeti di lingua latina - "vera religione del vero Dio" -, dopo una prima fase in cui si può parlare di movimento cristiano impegnato nella predicazione del compimento del regno di Dio, con Gesù e i suoi discepoli, e di una seconda di natura sapienziale più propriamente greca e filosofica, con gli apologeti di lingua greca e le prime forme istituzionali di culto. Al centro degli interessi dell'autore sta la dinamica dei meccanismi istituzionali che hanno consentito la trasmissione del discorso cristiano e le trasformazioni e i sovvertimenti che questa trasmissione ha comportato, fino a fare della religione cristiana un'entità del tutto peculiare e paradossale e della cristianità l'archetipo storico della civiltà occidentale. Nel riorientamento prospettico e nell'articolazione che ne consegue delle tre fasi attraverso cui il movimento cristiano e la chiesa delle origini sono passati sta la novità dell'opera.
Quello delle persecuzioni è sempre un tema tanto terribile quanto attuale, e all'argomento Marie-Françoise Baslez dedica uno studio che si distingue per adottare principi metodologici innovativi. L'ambito della ricerca abbraccia la storia delle persecuzioni dal periodo classico al mondo ellenistico greco e romano, nella tradizione sia greca sia ebraica sia cristiana, mostrando come le persecuzioni siano state più spesso scatenate contro gruppi o categorie di persone che contro dottrine. A una prima parte dell'opera dedicata al quadro sociale e religioso nel quale le persecuzioni poterono svilupparsi, fa seguito una seconda che mette al centro la figura del martire (distinta da quella della vittima e dell'eroe greco), con esempi attinti alla storia sia cristiana sia ebraica. Una terza parte affronta i rapporti fra religione, diritto e libertà, fra il potere e i cristiani fino al momento in cui il cristianesimo diventa religione di stato. Ricchissima miniera di dati, nell'edizione italiana il saggio di Marie-Françoise Baslez è reso ancor più fruibile da minuziosi indici analitici settoriali.
Come qualsiasi grande opera letteraria e artistica, le parabole sono al tempo stesso antiche e nuove e non si lasciano ingabbiare in un unico movimento o una sola prospettiva. Se spesso si sono studiate e si studiano le parabole come via maestra alla vita e all'insegnamento di Gesù, altrettanto di frequente si trascura che il contesto letterario primario delle parabole è costituito dalla loro collocazione nei vangeli. Intento delle pagine di John Donahue è di illustrare come la parabola sia il vangelo in miniatura e come le singole parabole diano forma, direzione e significato ai vangeli in cui si trovano. Studiare le parabole evangeliche equivale a studiare il vangelo in parabola: al pari della parabola, il vangelo è anche una forma di discorso dal finale aperto che fa appello alla libertà dell'uditorio. Un discorso che richiede d'essere esaminato nel proprio contesto letterario e insieme nel contesto stesso in cui viene proclamato, in modo che possa emergere come per il tramite delle parabole si viene introdotti nel mistero divino e nella relazione di Dio col mondo.
La traduzione greca della Bibbia ebraica è, com'è noto, la prima e più importante traduzione apparsa nella cultura occidentale, il cui significato difficilmente potrebbe essere sottovalutato: senza Bibbia greca la storia europea sarebbe stata totalmente diversa, per non dire che nessun cristianesimo sarebbe mai stato possibile. Una delle novità dello studio di Tessa Rajak consiste nel mostrare come le traduzioni bibliche greche siano servite per secoli da dispositivi di sopravvivenza culturale delle comunità giudaiche, e come ciò implichi un profondo cambiamento di prospettiva che comporta di riscrivere tutto un periodo di storia culturale ebraica non di rado presentato come racconto cristiano. Ne emerge un'immagine del giudaismo della diaspora che spesso si trovò a dover cambiare atteggiamento nei confronti della cultura dominante e dei poteri imperialistici in cui via via venne a trovarsi, come del resto mostrano sia la lingua della traduzione greca della Bibbia, sia i testi che vennero a costituire la nuova raccolta biblica...
Quest'opera si rivolge non allo specialista ma al lettore che mostra interesse anche per la storia grazie alla quale è andata formandosi la raccolta degli scritti biblici, così da poterne meglio apprezzare le qualità letterarie. L'introduzione di Alexander Rofé è tutt'altro che un'opera di consultazione. Frutto di decenni di ricerca e di una lunga pratica d'insegnamento, più che fornire risposte essa intende suscitare domande secondo i criteri e i metodi che la critica biblica è andata elaborando in duecent'anni e più di studi e di controversie. Suo scopo è di mettere in grado di affrontare la lettura dei testi biblici sapendo come collocarli nel loro contesto storico, culturale e letterario, e insieme coglierne i pregi artistici, oltre che di fornire le basi per una ricostruzione plausibile della storia politica e religiosa dell'Israele antico. L'opera si compone di due volumi, il primo dedicato ai libri storici, il secondo alla letteratura profetica e sapienziale oltre che alla poesia liturgica.
Dopo un primo volume dedicato ai primi cinque libri della Bibbia e alla narrativa storica delle vicende d'Israele, questo secondo volume dell'introduzione di Alexander Rofé espone la problematica della letteratura profetica come di quella liturgica e sapienziale, con i loro vari e peculiari generi letterari che costituiscono uno dei tratti di originalità del corpo degli scritti biblici. Se nel primo volume si sono potuti vedere all'opera sacerdoti, anziani, giudici e scribi, in questo secondo tomo si tratta soprattutto dell'attività letteraria di profeti, poeti e sapienti - dai primi anche molto diversi, e come i primi creatori di testi e collezioni di testi fra i più celebri della Bibbia ebraica -, che l'autore illustra con abbondanza di esempi testuali.
Al centro del saggio di Scot McKnight sta la problematica della concezione che Gesù ebbe della propria morte, nella consapevolezza che poter ricostruire come Gesù intese la sua morte non può restare senza conseguenze per il modo di pensare la storia della chiesa delle origini e per l'immagine del Gesù storico. Per l'autore ricercare che cosa Gesù pensasse della propria morte equivale a chiedersi se l'interpretazione cristiana della morte di Gesù come fatto espiatorio e salvifico si fonda su qualcosa di storico e se le diverse spiegazioni protocristiane di questa morte furono mai pensate da Gesù. Scot McKnight scandaglia le domande che muovono le sue pagine: Gesù pensò mai di dover morire prematuramente? se sì, quando ciò accadde? fin dall'inizio? dopo la morte di Giovanni Battista? soltanto dopo il suo ingresso a Gerusalemme nell'ultima settimana? Gesù pensò alla sua morte in termini salvifici? se la risposta fosse negativa, che cosa si dovrà fare del valore espiatorio della morte di Gesù, che la chiesa non ha mai cessato di testimoniare?
L'opera di Everett Ferguson, in tre tomi, raccoglie i risultati di una vita di studi dedicati al battesimo nei primi secoli cristiani e abbraccia un arco temporale che si estende dai riti di purificazione in età precristiana fino ad Agostino di Ippona, passando per il battesimo nella letteratura neotestamentaria. Come il sottotitolo recita, l'analisi di Ferguson affronta la problematica del battesimo nei suoi sviluppi non soltanto storici ma anche teologici e liturgici, con tutta una parte dedicata alla documentazione archeologica e un interessante apparato iconografico. L'opera di Ferguson è condotta su una miriade di testi, spesso poco noti, riportati per esteso ed esaminati approfonditamente nel loro significato religioso e teologico, e anche questo è uno degli aspetti che fa l'originalità dell'opera.
L'opera di Everett Ferguson, in tre tomi, raccoglie i risultati di una vita di studi dedicati al battesimo nei primi secoli cristiani e abbraccia un arco temporale che si estende dai riti di purificazione in età precristiana fino ad Agostino di Ippona, passando per il battesimo nella letteratura neotestamentaria. Come il sottotitolo recita, l'analisi di Ferguson affronta la problematica del battesimo nei suoi sviluppi non soltanto storici ma anche teologici e liturgici, con tutta una parte dedicata alla documentazione archeologica e un interessante apparato iconografico. L'opera di Ferguson è condotta su una miriade di testi, spesso poco noti, riportati per esteso ed esaminati approfonditamente nel loro significato religioso e teologico, e anche questo è uno degli aspetti che fa l'originalità dell'opera. Dopo una breve rassegna della ricerca, il primo tomo affronta gli antecedenti del battesimo cristiano in ambiente greco e giudaico, il battesimo di Gesù e nel Nuovo Testamento, il rito e la dottrina battesimali in età apostolica fino a Clemente di Alessandria.
Pur essendo un libro eminentemente religioso, e benché non proponga una teoria politica, la Bibbia ebraica parla spesso di capi e di leggi, di aspri conflitti interni e di guerre tra nazioni, di questioni di autorità e di politica, di critiche mosse pubblicamente al governo e agli strati sociali dominanti. Tutto ciò all'ombra di un Dio onnipotente. Di qui consegue una serie speciale di domande a cui ci si trova davanti nel caso della Bibbia: quale spazio può esservi per la politica quando chi governa in ultima istanza è Dio? In altre parole, in una nazione che vive sotto la dominazione divina e la protezione di Dio, quale spazio resta al processo decisionale guidato da assennatezza e prudenza? Com'è compreso il tempo, come viene usato il passato e come s'immagina il futuro? Quand'è giusto muovere guerra? L'assolutismo religioso favorisce il fanatismo e la guerra santa oppure l'accordo e la pace? Queste sono alcune delle domande che guidano un celebre teorico della politica in un'analisi sottile e avvincente dei testi biblici.
Questo saggio di Jerome Neyrey dedicato alla preghiera nel Nuovo Testamento è interessato a mettere in luce in particolare l'alterità - ossia la diversità culturale - dei moduli espressivi e delle pratiche cultuali nel cristianesimo delle origini. Dal Padrenostro al Magnificat, passando per la preghiera giovannea di Gesù al Padre e prendendo in esame anche le notizie fornite dalla Didachè e dalla Prima Apologia di Giustino Martire, nelle pagine di Neyrey si approfondisce una gran quantità di materiali e di documentazione riguardo al culto e alla preghiera in età neotestamentaria, e al tempo stesso si mette alla prova una nutrita serie di modelli allo scopo di evitare le sabbie mobili dell'etnocentrismo e le trappole di una critica anacronistica. Quello che qui si propone è: fornire testi e lenti nuove all'impresa dell'interpretazione, non per mero gusto della novità ma perché i materiali culturali e i mezzi forniti dalle scienze sociali sembrano gli strumenti che meglio consentono di riconoscere l'alterità del mondo che vide emergere il cristianesimo, e anche di iniziare a vedere le cose come allora le si vedevano.
Terzo e conclusivo tomo di quella che è stata definita "una magnifica esposizione e illustrazione di tutte le maggiori problematiche dei primi quarant'anni di cristianesimo" (D.C. Allison), nelle pagine di questo volume si affrontano gli ultimi tempi della vita di Paolo e le due altre grandi figure del cristianesimo delle origini: Pietro e Giacomo. Queste personalità non marginali sono approfondite nel contesto tragico della Galilea di quegli anni, e anche forniscono il destro a utili considerazioni su come si debba pensare il rapporto fra i primi cristiani e la predicazione di Gesù, quale sia insomma la natura del cristianesimo alla fine della prima generazione. La grande opera di James Dunn - messa in valore anche dagli estesi indici editi in questo terzo tomo - combina visione generale, sensibilità per questioni specifiche e per la documentazione pertinente con una padronanza impareggiabile della ricerca odierna e con uno stile che non cessa di sorprendere per la sua gradevolezza.
Il secondo tomo del vol. 2 degli "Albori del cristianesimo" è dedicato interamente a Paolo. A un capitolo iniziale che fissa per quanto sia possibile la cronologia della vita e della missione paoline, segue una parte dedicata alla figura del Paolo missionario: alla sua identità di apostolo e di apostolo dei gentili, con la strategia e le tattiche sue proprie per acquistare alla nuova fede - anche grazie a una nutrita schiera di collaboratori - nuove terre e nuove comunità. In questa parte James Dunn non perde mai di mira quale sia l'idea di chiesa di Paolo e come di fatto si presentino le comunità sia fondate da lui sia con cui egli entra in rapporto. Sullo sfondo così delineato in tutti gli aspetti storici, culturali e sociali, vengono illustrate le varie fasi della missione di Paolo nell'Egeo e al tempo stesso si approfondiscono le lettere inerenti ai diversi periodi e ai diversi luoghi dell'impresa di Paolo. Conclude questo secondo tomo un capitolo dedicato espressamente alla lettera ai Romani e al testamento dell'apostolo riportato negli Atti degli Apostoli, entrambi testi con cui si chiude la grande avventura di quello che spesso si è tentati di chiamare "secondo fondatore del cristianesimo".
Il volume tratta del periodo compreso tra il 30 e il 70 d.C., molto più esteso dei (probabili) tre anni della missione di Gesù. Questi due periodi e due argomenti - la missione di Gesù e la prima generazione del movimento che ebbe inizio con Gesù - sono probabilmente i periodi e gli argomenti più approfonditi di tutta la storia delle origini cristiane. In quest'opera James Dunn dà ancora una volta prova delle sue capacità di dominare pienamente sia le fonti primarie anche non cristiane sia la sterminata letteratura secondaria dedicata alle origini della chiesa, attento al particolare senza per questo perdere mai di vista l'insieme. Senza mai essere presi in uno stile pedantesco, in questo primo tomo si viene di pagina in pagina condotti attraverso gli episodi e le figure salienti delle origini cristiane: dalla pentecoste ai dodici, a Pietro, Giovanni e Giacomo, dalle credenze riguardo a Gesù agli ellenisti e a Stefano, fino alla comparsa di Paolo e alle basi della sua missione.
Molti sono i tratti originali che di questo volume di Wolfgang Stegemann dedicato a Gesù e i suoi tempi fanno un'opera nuova, due in particolare. Da una parte il rifiuto di una posizione ingenua che tra l'immagine neotestamentaria dei tempi e della figura di Gesù e le rappresentazioni della scienza storica vorrebbe privilegiare l'una a discapito o a mero invalidamento delle altre, o viceversa. In secondo luogo una padronanza e una messa a frutto della ricerca sul Gesù storico che ne ricostituisce e ne problematizza quelli che sono stati e spesso ancora sono i fili conduttori. È un tipo di analisi che mira anzitutto a dissipare l'opacità di ingranaggi che per necessità non ineludibili non cessano di girare su se stessi. Se Cristo è un cronometro come afferma l'autore di Moby Dick , l'analisi serrata di Wolfgang Stegemann porta a chiedersi quale tempo egli misuri per chi nel Gesù costruito dalla ricerca storica cerca il Gesù "reale", o per chi nel Gesù storico ricerca un fondamento teologico ultimo, oppure ancora per chi in Gesù di Nazaret vede il Cristo secondo la carne dei poveri e dei crocefissi.
Dopo un primo volume dedicato ai primi cinque libri della Bibbia e alla narrativa storica delle vicende d’Israele, questo secondo volume dell’introduzione di Alexander Rofé espone la problematica della letteratura profetica come di quella liturgica e sapienziale, con i loro vari e peculiari generi letterari che costituiscono uno dei tratti di originalità del corpo degli scritti biblici. Se nel primo volume si sono potuti vedere all’opera sacerdoti, anziani, giudici e scribi, in questo secondo tomo si tratta soprattutto dell’attività letteraria di profeti, poeti e sapienti – dai primi anche molto diversi, e come i primi creatori di testi e collezioni di testi fra i più celebri della Bibbia ebraica –, che l’autore illustra con abbondanza di esempi testuali.
Il titolo di questa nuova opera di Alexander Rofé ne esprime gli intenti: essa vuole proporsi come guida per il lettore che inizi a muovere i primi passi nella tematica della composizione della letteratura biblica. Lo scopo è di presentare non i risultati di duecento e più anni di critica biblica, ma piuttosto i metodi adottati dalla ricerca per comprendere la formazione di questa letteratura e individuarne gli autori e i testi da loro prodotti. L’introduzione non si rivolge quindi agli studiosi e a quanti abbiano già una certa familiarità con gli studi sulla Bibbia ebraica, bensì è destinata al grande pubblico di quanti l’hanno a cuore, la leggono, sia pure in traduzione, e desiderano approfondire come e quando essa si sia formata. Ma il testo biblico è di primaria importanza anche per la ricostruzione degli eventi storici della storia d’Israele, ragione per la quale il problema della natura delle sue testimonianze è meludibile. L’introduzione di Alexander Rofé cerca di riflettere anche su questa problematica, la stessa a cui si trova davanti la ricerca storica sul Vicino Oriente antico, la quale per quel che riguarda la Siria e la terra d’Israele nei primi trecento anni dell’insediamento deve confrontarsi con l’assenza di documenti esterni.
L'opera di John Howard Schütz tratta una serie di temi che continuano ad avere grande rilevanza. Quali erano, per Paolo e per il cristianesimo nascente, i significati, le funzioni e le interazioni fra vangelo e tradizione, autorità e potere - in relazione sia alla persona dell'apostolo sia alla comunità? Nell'analisi di Schütz, per Paolo l'autorità dell'apostolo è un'interpretazione del potere, il potere del vangelo. A questo vangelo, che nella morte e risurrezione di Gesù opera il grande scambio tra potenza e debolezza, l'apostolo resta sempre subordinato e lo incarna nella sua vita e la sua persona. Poiché il vangelo è attivo ed efficace nel mondo, plasmando e continuando a formare comunità di fede, per la sua autorità l'apostolo non è separato né messo al di sopra della comunità. L'introduzione di Wayne A. Meeks illustra come "Paolo e l'anatomia dell'autorità apostolica" resti una pietra miliare della storia della ricerca biblica.
Questo secondo volume della poetologia di Klaus Seybold, dedicato alle opere narrative raccolte nell'Antico Testamento, è un'esposizione organica delle caratteristiche strutturali e stilistiche dei vari tipi di questa letteratura, che in parte ha conosciuto un lungo periodo di trasmissione orale prima di essere messa per iscritto. Con abbondanza di esempi e con un'analisi puntuale dei testi si approfondiscono le forme minori che nel tempo sono andati acquisendo i racconti, i miti, le saghe, le leggende, gli aneddoti, come anche la natura di opere letterarie di maggior respiro come le novelle e i resoconti fino ai grandi complessi storiografici, le raccolte di documenti e di testi storici. Intento dell'opera è di portare alla luce il lato artistico della narrativa ebraica antica e di illustrarne la funzione che essa ebbe a svolgere nella religione e nella teologia bibliche.
L'importanza dei tempi esilici per l'Israele antico difficilmente potrebbe essere sopravvalutata: dei testi entrati a far parte della Bibbia ebraica, circa la metà proviene o si è formata in questo periodo, nel VI sec. a.C. L'opera di Rainer Albertz delinea l'immagine biblica dell'età esilica fino a quando questo "tempo infausto" viene a occupare una posizione centrale nella concezione apocalittica della storia. Dopo aver ricostruito il periodo esilico per quanto consentono le fonti orientali antiche, si cerca di esporre distintamente le vicende dei diversi gruppi di esiliati e anche di mettere alla prova un modo di scrivere la storia, che alla storia politica intreccia quella delle mentalità al di là di prese di posizione preconcette. La parte più considerevole del volume è dedicata a un'esposizione avvincente della letteratura dell'età esilica. Qui la ricostruzione di un lungo e talvolta tortuoso lavoro editoriale consente di mettere in luce alcuni degli elementi maggiori e più propri di quello che è venuto a configurarsi come pensiero religioso e teologico dell'Israele antico.
Questa raccolta di saggi guidata da Philip Esler fa per così dire il punto della ricerca sugli scritti dell'Antico Testamento esaminati nella prospettiva delle scienze sociali, dall'antropologia e l'antropologia sociale all'etnologia, dagli studi sul rito e gli stati estatici all'organizzazione sociale e politica delle società antiche, dalla linguistica alla narratologia. Intento dell'opera è mostrare come il ricorso alla strumentazione fornita dalle scienze sociali sia preferibile all'approssimazione di pregiudizi e assunti che conseguono da concezioni acritiche del funzionamento delle culture, in particolare quelle antiche, e che sono di serio ostacolo alla comprensione dell'Israele antico nei diversi contesti culturali del tempo. In quest'ottica la metodologia delle scienze sociali dà prova della propria utilità euristica a integrazione proficua dell'applicazione dei metodi comunemente in uso nella critica biblica, dalla filologia e la critica storica allo studio delle tradizioni e delle forme letterarie dei testi dell'Antico Testamento.
In questo studio Philip F. Esler colloca la lettera ai Romani sullo sfondo per molti versi unico di Roma e delle sue comunità del movimento di Cristo attorno alla metà del primo secolo, muovendo da una prospettiva sociale e culturale per molti versi inedita e innovativa. Nell'ottica di Esler la lettera ai Romani mostra d'essere un tentativo tanto elaborato quanto pregnante di riproporre l'identità del movimento di Cristo in una forma in cui domina il riconoscimento della differenza etnica. È una lettera in cui la verità teologica dell'unicità di Dio fa da fondamento all'identità comune patrocinata da Paolo. In un mondo come quello d'oggi che non cessa d'essere lacerato da conflitti etnici, la lettera che Paolo scrive ai credenti in Cristo delle comunità romane mostra come sia possibile preservare la propria e l'altrui identità etnica in un'identità comune che non annulla bensì esalta le peculiarità che distinguono gruppi etnici altrimenti diversi.
L'opera di Bruce J. Malina si fa apprezzare per la chiarezza dell'esposizione con cui vengono illustrate le caratteristiche antropologiche della cultura mediterranea antica in cui videro la luce gli scritti del Nuovo Testamento. I valori cardinali della cultura mediterranea nell'antichità, la psicologia sociale e l'orizzonte conoscitivo delle figure che intervengono nel Nuovo Testamento, la conformazione sociale in piccoli gruppi, le regole matrimoniali e le norme di purità che strutturavano la vita quotidiana della Palestina del primo secolo sono considerati per la loro incidenza sui personaggi neotestamentari e per la spiegazione che possono fornire della vicenda di Gesù e della storia dei gruppi dei suoi seguaci. Questo libro mira a contribuire alla comprensione degli scritti neotestamentari. Se questi devono farsi udire nei nostri diversi contesti culturali, se si deve rafforzare la fede con senso di responsabilità, allora la teologia dovrà svolgere la sua opera di articolazione dei simboli culturali del gruppo originario del movimento di Gesù e dei suoi epigoni nel Mediterraneo antico nel linguaggio più chiaro e secondo i modelli più adatti che è possibile rinvenire nelle culture nelle quali questo gruppo deve essere espresso, compreso e vissuto.
L'opera di James L. Resseguie introduce ai metodi e alla strumentazione della critica narratologica applicata ai testi del Nuovo Testamento. Dopo un primo capitolo in cui s'illustra l'utilità e la peculiarità dell'analisi del racconto a fianco degli altri metodi in uso nella critica biblica, se ne affrontano gli elementi costitutivi che consentono di esaminare il testo neotestamentario nel suo insieme, dalla retorica all'ambientazione, dai personaggi al punto di vista, dall'intreccio alla struttura narrativa. Come un puzzle non si lascia vedere finché non sia stato completato, così anche il senso di un racconto neotestamentario non emerge fino a che le parti non siano state assemblate. La critica narratologica consente di cogliere la vividezza e la novità di racconti che potrebbero sembrare scialbi e banali, ravvivando l'immaginazione e rimuovendo lo "strato di familiarità" che appanna la nostra idea dei racconti biblici.
Questo volume è la seconda edizione riveduta e aggiornata di un celebre saggio che ha segnato una svolta nella ricerca neotestamentaria, in particolare per lo studio dei quattro vangeli canonici. La novità e l'originalità del saggio di Richard Burridge sta nella comparazione dell'opera degli evangelisti cristiani con quella dei biografi classici di lingua greca e latina, da Isocrate e Senofonte a Tacito, Plutarco e Svetonio tra altri. Il ricco e documentato esame del genere letterario di queste biografie antiche consente all'autore di mostrare quanto fuorviante sia l'opinione diffusa dei vangeli come opere di un genere letterario che non avrebbe riscontro nell'antichità classica.
Con il volume dedicato al Pentateuco, l'Introduzione allo studio della Bibbia giunge a conclusione, in un senso, si potrebbe dire, anche emblematico. Il Pentateuco costituisce il cuore della Bibbia ebraica, ma la Bibbia cristiana certo non si lascerebbe pensare priva dei cinque libri che la inaugurano, così che se da una parte il Pentateuco è il fondamento della vita e del pensiero della comunità ebraica, in assenza di esso, d'altra parte, il Nuovo Testamento resterebbe incomprensibile.
La guida alla lettura fornita da Félix García López si distingue da altre opere analoghe per accompagnare l'esposizione chiara e rigorosa dei problemi sollevati dal Pentateuco – e da una storia della ricerca tanto fruttuosa quanto avvincente – a un interesse teologico sempre vivo che mette in risalto i molteplici e fecondi percorsi teologici rintracciabili nei libri del Pentateuco e ripresi negli altri scritti della Bibbia ebraica come anche nel Nuovo Testamento.
Dopo avere illustrato la persona, l'opera e l'ambiente del grande apostolo del primo cristianesimo, in due parti si affrontano le lettere paoline autentiche, senza trascurarne gli aspetti più propriamente teologici.