Sono trascorsi quarant'anni da quando il figlio del fabbro di Dovia ha mosso i primi passi in politica; quasi venti da quando ha impugnato lo scettro del potere; poche settimane da quando ha annunciato agli italiani che il destino batte l'ora della guerra. Proprio adesso, alla fine di giugno del 1940, quel destino offre al Duce un segno, forse un presagio: Italo Balbo, il condottiero della Milizia, il maresciallo dell'aria celebre in tutto il mondo, viene abbattuto in volo dal fuoco amico. Ma non c'è più tempo per volgersi indietro. Affinché la Storia metta in scena l'immane tragedia della guerra, ciascuno deve interpretare la sua parte. Come il generale Mario Roatta, feroce pianificatore di rappresaglie e capo di un esercito spaventosamente impreparato. Come Galeazzo Ciano, ossessionato dall'idea di dominare il Mediterraneo; Edda, pronta a unirsi alla Croce rossa per avere la sua prima linea; Clara Petacci, che stringe tra le braccia un uomo sempre più simile a un fantasma; Amerigo Dùmini, l'assassino di Matteotti, che ha prosperato ricattando quel fantasma. Come una generazione intera di soldati tra cui l'alpino Mario Rigoni Stern, arruolatosi volontario, che nel gelo del fronte russo apre gli occhi sulla natura del dramma a cui partecipa, o il maggiore Paolo Caccia Dominioni, che deve guidare il suo reparto nelle sabbie della tragica battaglia di El Alamein; e una generazione intera di gerarchi tra cui Dino Grandi, sempre più insofferenti verso il Duce. E infine c'è lui, Benito Mussolini, ancora convinto di poter bilanciare in Europa le brame conquistatrici di Hitler ma in realtà pronto a scodinzolare al fianco della tigre tedesca come un patetico sciacallo. A questo quarto pannello della sua epopea letteraria e civile Scurati affida il gigantesco affresco dell'Italia fascista sui fronti del secondo conflitto mondiale, degli errori, degli orrori e dell'eroismo ancora possibile per uomini e donne reduci da vent'anni di dittatura. E tratteggia il ritratto al nero di un uomo di fronte al destino che ha plasmato per sé e per un'intera nazione, solo all'incrocio tra il parallelo del crepuscolo e un meridiano di sangue.
«Carlotta mia, io dell'arancio amaro conosco solo le spine e ormai non mi fanno più male. Ma il profumo del suo fiore bianco è il tuo, è quello della libertà.» A cosa serve essere giovane e piena di progetti, se sei nata nel tempo sbagliato? Tre protagoniste straordinarie fronteggiano la sfida più grande: trovare il senso del proprio essere donne in un mondo che vorrebbe scegliere al posto loro. Nardina, dolce e paziente, che sogna di laurearsi ma finisce intrappolata nel ruolo di moglie. Sabedda, selvatica e fiera, che vorrebbe poter decidere il proprio futuro ma è troppo povera per poterlo fare. Carlotta, orgogliosa e determinata, che vorrebbe diventare avvocato in un mondo dove solo i maschi ritengono di poter esercitare la professione. E un segreto, che affonda nella notte in cui i loro destini si sono uniti per sempre. Tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del Novecento, Sabedda, Nardina e Carlotta lottano e amano sullo sfondo di un mondo che cambia, che attraversa il Fascismo e la guerra, che approda alla nuova speranza della ricostruzione. Per ciascuna di loro, la vita ha in serbo prove durissime ma anche la forza di un amore più grande del giudizio degli uomini. Partendo da una storia vera, Milena Palminteri esordisce con un romanzo maturo e travolgente, scritto con una lingua ricca di sfumature, popolato di personaggi memorabili per la dolente fierezza con cui abbracciano i propri destini.
Alle 5.46 del mattino del 15 ottobre 1943 le allieve infermiere dell'ultimo anno della Nightingale Training School for Nurses partono da Londra dirette a un ospedale allestito per curare i feriti che giungono dai fronti di guerra. Tra le ragazze, emozionate nelle loro uniformi impeccabili, ce n'è una snella e buffa per via delle lunghe gambe e dei piedi grandi: la famiglia l'aveva instradata verso l'università di Oxford, ma lei ha deciso di diventare infermiera. Si chiama Cicely Saunders. Durante le infinite notti in corsia, Cicely vede morire tra sofferenze indicibili ragazzi belli e coraggiosi, suoi coetanei. Sa di non poter fare per loro nulla se non ciò che i medici prescrivono, eppure si rende conto con orrore che per un medico ogni moribondo è una causa persa, un insuccesso professionale. Cicely comincia a fare una cosa a cui dedicherà la vita intera: annotare i tentativi e i fallimenti, le intuizioni, le buone pratiche che consentono di lenire la sofferenza di chi non è più guaribile. E quando capisce che il suo diploma di infermiera non basta più, si laurea in Medicina e, nel 1967, riesce ad aprire il primo moderno hospice: non un posto dove si va a morire, ma dove si può vivere fino all'ultimo istante con dignità. Emmanuel Exitu si ispira alla storia di Cicely Saunders - le cui procedure sono tutt'oggi considerate dall'OMS il punto di riferimento per migliorare la qualità della vita dei malati terminali - per scrivere un romanzo luminoso, che racconta il misterioso abbraccio tra il dolore e la speranza e ci riguarda tutti. La storia di questa donna dalla caparbietà visionaria ci dice che la sofferenza si sconfigge prima di tutto con un farmaco di cui tutti possiamo disporre, l'empatia, e che la speranza è, come scriveva Emily Dickinson, "quella cosa piumata / che si viene a posare sull'anima" e può illuminarci fino all'ultimo nostro respiro.
A Roma, il 31 dicembre 1990, una sedicenne si prepara per la sua prima festa di Capodanno: indossa un maglione preso alla Caritas, ha truccato in modo maldestro la sua pelle scura, ma è una ragazza fiera e immagina il nuovo anno carico di promesse. Non sa che proprio quella sera si compirà per lei il destino che grava su tutta la sua famiglia: mentre la televisione racconta della guerra civile scoppiata in Somalia, il Jirro scivola dentro il suo animo per non abbandonarlo mai più. Jirro è una delle molte parole somale che incontriamo in questo libro: è la malattia del trauma, dello sradicamento, un male che abita tutti coloro che vivono una diaspora. Nata in Italia da genitori esuli durante la dittatura di Siad Barre, Igiaba Scego mescola la lingua italiana con le sonorità di quella somala per intessere queste pagine che sono al tempo stesso una lettera a una giovane nipote, un resoconto storico, una genealogia familiare, un laboratorio alchemico nel quale la sofferenza si trasforma in speranza grazie al potere delle parole. Parole che, come un filo, ostinatamente uniscono ciò che la storia vorrebbe separare, in un racconto che con il suo ritmo ricorsivo e avvolgente ci svela quanto vicende lontane ci riguardino intimamente: il nonno paterno dell'autrice, interprete del generale Graziani durante gli anni infami dell'occupazione italiana; il padre, luminosa figura di diplomatico e uomo di cultura; la madre, cresciuta in un clan nomade e poi inghiottita dalla guerra civile; le umiliazioni della vita da immigrati nella Roma degli anni novanta; la mancanza di una lingua comune per una grande famiglia sparsa tra i continenti; una malattia che giorno dopo giorno toglie luce agli occhi. Come una moderna Cassandra, Igiaba Scego depone l'amarezza per le ingiustizie perpetrate e le grida di dolore inascoltate e sceglie di fare della propria vista appannata una lente benevola sul mondo, scrivendo un grande libro sul nostro passato e il nostro presente, che celebra la fratellanza, la possibilità del perdono, della cura e della pace.
È nato con una voglia sotto l'occhio sinistro, come un pallido frutto incastonato nella pelle: Uvaspina si è abituato presto a essere chiamato con quel nome che lo identifica con la sua macchia. A quasi tutto, del resto, è capace di abituarsi: a suo padre, il notaio Pasquale Riccio, che si vergogna di lui; alla Spaiata, sua madre, che dopo aver incastrato Pasquale Riccio con le sue arti di malafemmina e chiagnazzara non si dà pace di aver perduto il proprio fascino e finge di morire ogni volta che lui esce di casa. Ma soprattutto Uvaspina è abituato a sua sorella Minuccia, abitata fin da bambina da un'energia che tiene in scacco il fratello con le sue esplosioni imprevedibili, le ripicche, la ferocia di chi sa colpire nel punto di massima fragilità, come quando gli dice: "Avevano ragione i compagni tuoi, sei veramente un femminiello." Eppure, solo Uvaspina conosce l'innesco che rende la sorella uno strummolo, una trottola capace di ferire con la sua punta di metallo vorticante. E solo Minuccia intuisce i sogni di Uvaspina, quando lo strummolo la tiene sveglia e può scrutare i suoi finissimi lineamenti nel sonno. Intorno a loro, Napoli: la città dalle viscere ribollenti, dai quartieri protesi verso il cielo, dai tentacoli immersi in quel mare che la fronteggia e la penetra. È proprio sul confine tra la città e il mare, tra la storia e il mito, che Uvaspina incontra Antonio, il pescatore dagli occhi di colori diversi, che legge libri e non ha paura del sangue, che sa navigare fino a Procida e rimettere al mondo un criaturo che dubita di se stesso. La purezza del loro incontro, però, non potrà nascondersi a lungo nelle grotte di Palazzo Donn'Anna: la città li attira a sé, lo strummolo gira e il suo laccio unirà per sempre i loro destini. Una passione assediata dallo scherno e dallo scuorno. L'ambiguità dell'amore fraterno, la necessità dell'ombra perché ci sia luce. Infine una scrittura, quella della giovane Monica Acito, che sa inserirsi con originalità in una grande tradizione letteraria e, mescolando la forza tellurica del vernacolo alla freschezza di un racconto sulla giovinezza, invoca la fame di felicità che abita ciascuno di noi.
"Si dicono tante cose di lui, che era a bordo del Malaspina quando ha affondato la British Fame, che è un mago, un fachiro, un ipnotizzatore, che non dorme mai": questo sanno del loro Comandante gli uomini che all'alba del 28 settembre 1940 si imbarcano sul sommergibile Cappellini per andare alla guerra. Sanno anche che il Comandante potrebbe rimanere a terra, al riparo, perché un incidente lo ha condannato a vivere in un busto d'acciaio che gli toglie il fiato. E invece lui, Salvatore Todaro, è lì, pronto a guidarli al di là delle mine che rendono Gibilterra una trappola, a combattere per l'Italia nell'oceano aperto, e "quando lui è sicuro, ti senti sicuro". Marcon, aiutante di bordo, il volto sfigurato dall'acetilene e quell'accento venexian che piace tanto al Comandante. Schiassi, il marconista, che con l'idrofono ausculta le profondità. Stumpo, il motorista-corallaro, capace di riconoscere i polpi femmina. Stiepovich, il tenente di Trieste che ha portato con sé il violino. Giggino, il cambusiere, che ancora non sa quanto scaldano il cuore le patatine fritte... Sono le loro voci a raccontare la sorda monotonia delle ore in immersione e il momento cruciale in cui, lungo la linea immobile dell'orizzonte, si profila la sagoma di un mercantile a luci spente. Bisogna affondarlo, sfidare la morte propria e quella dei nemici: è allora che il Comandante prende una decisione fatale, capace di rischiarare la notte. Perché i corpi che galleggiano nel mare nero per lui non sono nemici, sono naufraghi. Raccontando e restituendo al nostro legittimo orgoglio uno degli episodi meno conosciuti e più luminosi dell'ultima guerra, Edoardo De Angelis e Sandro Veronesi denunciano la barbarie di ogni conflitto e celebrano la grandezza dei valori dell'umanità quando ci sono donne e uomini pronti ad affermarli nonostante tutto.
"Chi siamo noi?", ci chiediamo all'inizio di questo romanzo. "Noi siamo ignoranti. Noi siamo, in miliardi di pixel, gli eredi", coloro che vivono ormai fuori della linearità storica, dove il solo modo per capire i nostri padri è studiare. Così, in principio c'è un padre bambino, appena nato e già pronto ad affrontare il Novecento perché è un "bambino diacronico", "creatura della durata". Grazie alle parole che ha scritto - perché i bambini diacronici hanno lasciato montagne di parole, con le loro grafie sghembe, i loro dattiloscritti, telegrammi, articoli, faldoni - possiamo seguirne i passi attraverso il secolo breve, che non lo è stato affatto per chi come lui lo ha vissuto in ogni suo palpito. L'educazione fascista, l'amore con Michela, l'Etiopia, il fronte greco-albanese; la consapevolezza, l'adesione al comunismo, la Resistenza; la militanza politica che assorbe ogni altra vocazione, anche quella di padre, di scrittore; il terrorismo, poi il destino del partito, le verità, la perdita di identità; la vecchiaia come un "brodo sugli occhi" attraverso cui cercare di credere ancora. Questa la sorte di Pietro Migliorisi, protagonista di "Storia aperta" ed eteronimo di tanti uomini e donne della sua generazione: Davide Orecchio li riporta in vita attraverso una vertiginosa tessitura delle proprie parole e di quelle (in larghissima parte inedite) lasciate dal padre Alfredo Orecchio, insieme ai testi di molti comprimari, di cui nella Nota finale è offerto un toccante catalogo. In queste pagine avviene una moderna nékyia, la rievocazione di coloro che vissero in un tempo altro, nel quale splendeva il sole dell'avvenire, e si compie l'impresa di un romanzo in cui la polvere di tante voci ne compone una sola. Davide Orecchio insegue il mistero di un padre sconosciuto, ne indaga le traiettorie possibili, si impone un ferreo rigore documentario ma al tempo stesso permette alla fantasia di colmare lacune, sognare destini. Nel silenzio del passato, nel buio dell'inchiostro, cerca la luce.
Il 3 maggio 1938, nella nuova stazione Ostiense, Mussolini insieme a Vittorio Emanuele III e al ministro degli esteri Ciano attende il convoglio con il quale Hitler e i suoi gerarchi scendono in Italia per una visita che toccherà Roma, Napoli e Firenze. Da poche settimane Hitler ha proclamato l'Anschluss dell'Austria e Mussolini, dopo aver deciso l'uscita dell'Italia dalla Società delle Nazioni, si appresta a promulgare una legislazione razziale di inaudita durezza. Eppure sono ancora molti a sperare che il delirio di potenza dei due capi di Stato possa fermarsi: tra loro Ranuccio Bianchi Bandinelli, l'archeologo incaricato di guidare il Führer tra le rovine della città eterna; Renzo Ravenna, decorato nella Grande guerra, fascista zelante e podestà di Ferrara, che al pari di migliaia di altri ebrei italiani non si dà pace per i provvedimenti che lo pongono ai margini della vita civile; Margherita Sarfatti, che sino all'ultimo spera in uno spostamento degli equilibri verso l'asse anglofrancese ma deve cedere il passo alla giovane Claretta Petacci e fuggire; e lo stesso Ciano, distratto da tresche sentimentali e politiche insensate come il piano di conquista dell'Albania, che solo un anno dopo, nel maggio 1939, si trova a siglare insieme a Ribbentrop il Patto d'Acciaio con il quale "l'Italia e la Germania intendono, in mezzo a un mondo inquieto e in dissoluzione, adempiere al loro compito di assicurare le basi della civiltà europea". Antonio Scurati ricostruisce con febbrile precisione lo spaventoso delirio di Mussolini, pateticamente illuso di poter influenzare le decisioni del Fu?hrer, consapevole dell'impreparazione italiana, più che mai solo fino alla sera del giugno 1940 in cui dal balcone di Palazzo Venezia proclama "l'ora delle decisioni irrevocabili". In questo nuovo pannello del suo grande progetto letterario e civile, Scurati inquadra il fatale triennio 1938-40, culmine dell'autoinganno dell'Italia fascista, che si piega all'infamia delle leggi razziali e dell'alleanza con la Germania nazista, e ripercorre gli ultimi giorni di un'Europa squassata da atti di barbara prevaricazione e incapace di sottrarsi al maleficio dei totalitarismi: un romanzo tragico e potente, carico di moniti per il nostro futuro.
Un'esplosione squarcia la quiete della campagna corleonese. Il giovanissimo Totò Riina assiste allo sterminio dei suoi familiari intenti a disinnescare una bomba degli Alleati per ricavarne esplosivo. È un boato che distrugge e che genera. La piaga che molti, con timidi bisbigli, chiamano mafia, ma che d'ora in poi si rivelerà a tutti come Cosa nostra, s'incarna da qui in avanti nella sua forma più diabolica. Ma con potenza uguale e contraria, per fronteggiare l'onda di quella deflagrazione scaturisce anche il suo antidoto più puro. È il coraggio, quello che sorregge l'ingegno e l'intraprendenza, che sopperisce ai mezzi spesso insufficienti: il coraggio che scorre in Giovanni Falcone, negli uomini e nelle donne che insieme a lui sono pronti a lanciarsi in una battaglia furiosa dove la vita vale il prezzo di una pallottola. La storia di un magistrato che insieme a pochi altri intuisce la complessità di un'organizzazione criminale pervasiva, ne segue le piste finanziarie, ne penetra la psicologia e ne scardina la proverbiale omertà, è narrata in queste pagine con l'essenzialità di un dramma antico: sul proscenio, un uomo determinato a ottenere giustizia, assediato dai presagi più cupi, circondato dal coro dei colleghi che prima di lui sono caduti sotto il fuoco mafioso; stretto, nelle notti più buie, dall'abbraccio di una donna che ha scelto di seguirlo fino a dove il fato si compirà. Roberto Saviano ha voluto onorare la memoria del giudice palermitano strappandolo alla fissità dell'icona e ripercorrendone i passi, senza limitarsi a una ricostruzione fondata su uno studio attentissimo delle fonti, degli atti dei processi, delle testimonianze, ma spingendo la narrazione fino a quello "spazio intimo dove le scelte cruciali maturano prima di accadere". Questo romanzo ci racconta una pagina fatidica della nostra storia, illumina la vita di un uomo che, nel pieno della carriera, fu in realtà al culmine del suo isolamento. E leva il canto altissimo della sua solitudine e del suo coraggio.
Tutti vorrebbero la vita di Anna e Tom. Un lavoro creativo senza troppi vincoli; un appartamento a Berlino luminoso e pieno di piante; una passione per il cibo e la politica progressista; una relazione aperta alla sperimentazione sessuale, alle serate che finiscono la mattina tardi. Una quotidianità limpida e seducente come una timeline di fotografie scattate con cura. Ma fuori campo cresce un'insoddisfazione profonda quanto difficile da mettere a fuoco. Il lavoro diventa ripetitivo. Gli amici tornano in patria. Il tentativo di impegno politico si spegne in uno slancio generico. Gli anni passano. E in quella vita così simile a un'immagine - perfetta nel colore e nella composizione, ma piatta, limitata - Anna e Tom si sentono in trappola, tormentati dal bisogno di trovare qualcosa di più vero. Ma esiste? Vincenzo Latronico torna alla narrativa con una storia lucida e amara di sogni e disillusioni, una parabola sulle nostre vite assediate dalle immagini dei social media e sulla ricerca di un'autenticità sempre più fragile e rara.
Mentre infuria la peste del Seicento, una bambina cresce in totale solitudine nel cuore di un bosco e a sedici anni è così bella e selvatica da sembrare una strega e far divampare il fuoco della superstizione. Un uomo si innamora delle orme lasciate sulla sabbia da piedi leggeri e una donna delusa scaglia una terribile maledizione. Il profumo di biscotti impalpabili come il vento fa imbizzarrire i cavalli argentini nelle notti di luna. Bianca Pitzorno attinge alla realtà storica per scrivere tre racconti che sono percorsi dal filo di un sortilegio. Ci porta lontano nel tempo e nello spazio, ci restituisce il sapore di parole e pratiche remote - l'italiano secentesco, le procedure di affidamento di un orfano nella Sardegna aragonese, una ricetta segreta - e come nelle fiabe antiche osa dirci la verità: l'incantesimo più potente e meraviglioso, nel bene e nel male, è quello prodotto dalla mente umana. I personaggi di Bianca Pitzorno sono da sempre creature che rifiutano di adeguarsi al proprio tempo, che rivendicano il diritto a non essere rinchiuse nella gabbia di una categoria, di un comportamento "adeguato", e che sono pronte a vivere fino in fondo le conseguenze della propria unicità. Così le protagoniste e i protagonisti di queste pagine ci fanno sognare e ci parlano di noi, delle nostre paure, delle nostre meschinità, del potere misterioso e fantastico delle parole, che possono uccidere o salvare.
Odore di alghe limacciose e sabbia densa, odore di piume bagnate. È un antico cratere, ora pieno d'acqua: è il lago di Bracciano, dove approda, in fuga dall'indifferenza di Roma, la famiglia di Antonia, donna fiera fino alla testardaggine che da sola si occupa di un marito disabile e di quattro figli. Antonia è onestissima, Antonia non scende a compromessi, Antonia crede nel bene comune eppure vuole insegnare alla sua unica figlia femmina a contare solo sulla propria capacità di tenere alta la testa. E Gaia impara: a non lamentarsi, a salire ogni giorno su un regionale per andare a scuola, a leggere libri, a nascondere il telefonino in una scatola da scarpe, a tuffarsi nel lago anche se le correnti tirano verso il fondo. Sembra che questa ragazzina piena di lentiggini chini il capo: invece quando leva lo sguardo i suoi occhi hanno una luce nerissima. Ogni moto di ragionevolezza precipita dentro di lei come in quelle notti in cui corre a fari spenti nel buio in sella a un motorino. Alla banalità insapore della vita, a un torto subito Gaia reagisce con violenza imprevedibile, con la determinazione di una divinità muta. Sono gli anni duemila, Gaia e i suoi amici crescono in un mondo dal quale le grandi battaglie politiche e civili sono lontane, vicino c'è solo il piccolo cabotaggio degli oggetti posseduti o negati, dei primi sms, le acque immobili di un'esistenza priva di orizzonti.
Incontriamo Edmond Bovet-Maurice una mattina di maggio, nel suo appartamento parigino, in colloquio con la governante: deve scegliere l’abito adatto per la giornata, fa già caldo, forse è ingrassato un po’ perché è goloso. Ha sessantotto anni, gliene mancano due alla pensione, è un uomo di successo, affascinante, elegante: direttore di un grande museo, sempre al centro dell’attenzione del mondo, ha fatto di una deliberata vaghezza la sua chiave di conquista di donne e uomini, ma sul lavoro è attento, rapace, sempre teso verso nuove conquiste. Il suo più grande desiderio è di entrare a far parte dell’Accademia di Francia. Si è dato molto da fare per questo, tessendo con garbo e determinazione una rete di relazioni utili. Ma in questo umido giorno di maggio tutto sembra premergli addosso: il pensiero doloroso della relazione finita con Odile, che la presenza della vivida Saskia non riesce a dissipare; un neo sul fianco, che sembra minaccioso e richiede una visita medica immediata. E poi la rivelazione: nei salotti parigini, nelle alcove intellettuali si mormora, si sussurra, si sostiene che all’Accademia lui non entrerà, a causa di una serie di macchie sulla reputazione della nonna e della madre. Tra memorie personali, memorie contraffatte, dicerie e verità, il viaggio velocissimo di un uomo ambizioso si compie nell’arco di un solo giorno. Un romanzo breve sulla brevità dei destini umani.
All'alba del 1925 il più giovane presidente del Consiglio d'Italia e del mondo, l'uomo che si è addossato la colpa dell'omicidio di Matteotti come se fosse un merito, giace riverso nel suo pulcioso appartamento-alcova. Benito Mussolini, il "figlio del secolo" che nel 1919, rovinosamente sconfitto alle elezioni, sedeva nell'ufficio del Popolo d'Italia pronto a fronteggiare i suoi nemici, adesso, vincitore su tutti i fronti, sembra in punto di morte a causa di un'ulcera che lo azzanna da dentro. Così si apre il secondo tempo della sciagurata epopea del fascismo narrato da Scurati con la costruzione e lo stile del romanzo. M. non è più raccontato da dentro perché diventa un'entità distante, "una crisalide del potere che si trasforma nella farfalla di una solitudine assoluta". Attorno a lui gli antichi camerati si sbranano tra loro come una muta di cani. Il Duce invece diventa ipermetrope, vuole misurarsi solo con le cose lontane, con la grande Storia. A dirimere le beghe tra i gerarchi mette Augusto Turati, tragico nel suo tentativo di rettitudine; dimentica ogni riconoscenza verso Margherita Sarfatti; cerca di placare gli ardori della figlia Edda dandola in sposa a Galeazzo Ciano; affida a Badoglio e Graziani l'impresa africana, celebrata dalla retorica dell'immensità delle dune ma combattuta nella realtà come la più sporca delle guerre, fino all'orrore dei gas e dei campi di concentramento. Il cammino di M. Il figlio del secolo - caso letterario di assoluta originalità ma anche occasione di una inedita riaccensione dell'autocoscienza nazionale - prosegue qui in modo sorprendente, sollevando il velo dell'oblio su persone e fatti di capitale importanza e sperimentando un intreccio ancor più ardito tra narrazione e fonti dell'epoca. Fino al 1932, decennale della rivoluzione: quando M. fa innalzare l'impressionante, spettrale sacrario dei martiri fascisti, e più che onorare lutti passati sembra presagire ecatombi future.
Il ragazzo corre nella notte d'inverno, sotto la pioggia, scalzo, coperto di sangue non suo. Chiamiamolo L.B. e avviciniamoci a lui attraverso gli anni e gli eventi che conducono a quella notte. A guidarci è la voce di una giovane donna brusca, solitaria, appassionata di letteratura, e questo romanzo è memoria e cronaca del confronto con la scomparsa del padre, con ciò che è rimasto di un legame quasi felice nell'infanzia felice da figlia di genitori separati, poi fatalmente spinoso, e con la tardiva scoperta della vicenda giudiziaria che l'ha visto protagonista. Chi era quello sconosciuto, L.B., il giovane sempre dalla parte dei vinti, il medico operaio sempre alle prese con qualcuno da salvare, condannato al carcere per partecipazione a banda armata? E perché di quel tempo - anni prima della nascita dell'unica figlia - non ha mai voluto parlare? Testimonianze, archivi e faldoni, ricordi, rivelazioni lentamente compongono, come lastre mescolate di una lanterna magica, il ritratto di una persona complicata e contraddittoria che ha abitato un'epoca complicata e contraddittoria. Torino è il fondale della lotta politica quotidiana con le sue fatiche e le sue gioie, della rabbia, della speranza e del dolore, infine della violenza che dovrebbe assicurare la nascita di un avvenire radioso e invece fa implodere il sogno del mondo nuovo generando delusione e rovina. Il romanzo di un uomo, delle sue famiglie, delle sue appartenenze, la sua vita visitata con amore e pudore da una figlia per la quale il mondo si misura e si costruisce attraverso la parola letta e scritta.
Emma ha davanti a sé una giornata speciale: niente scuola oggi, niente ragazzi difficili a cui dare una possibilità di riscatto. Andrà invece all'incontro con Carlo, il grande amore della giovinezza. Sono vissuti insieme a lungo, finché lui, sempre meno idealista e sempre più ambizioso, ha scelto di andare all'estero per inseguire i suoi sogni di gloria; e lì la loro storia si è fermata. Emma è ostinatamente rimasta fedele ai suoi ideali. Ha da tempo un compagno, un sindacalista ardente, e un mestiere, quello dell'insegnante in una scuola di borgata, che la appaga. Eppure i diari della sua vita di prima sono sempre lì, a raccontare un tratto di strada che, nel bene e nel male, l'ha segnata profondamente: il primo tratto di strada, quello che non si scorda mai. Buffo, appassionato, irripetibile. Ora che Carlo torna per incassare anche in Italia il successo del suo film, ispirato proprio agli anni della giovinezza condivisa, sono tante le cose che Emma sente di dovergli dire. Una su tutte, un segreto lungo vent'anni che ha tenuto per sé e che è venuto il momento di svelare. Dopo lunghi e accurati preparativi, che danno conto della solennità del momento per lei, Emma sale sulla bici e corre all'appuntamento con Carlo. Lui la aspetta seduto al bar quando un incidente in presa diretta sospende tutto e lascia la vita di Emma appesa a un filo. Le cose non dette restano non dette. Ma il passato preme, e Carlo, disperato, si ritrova a confronto con quello che sa e quello che non sa. Soprattutto con un'esistenza possibile a cui ha voltato le spalle. Ci sarà il modo e il tempo di aggiustare ciò che si è rotto, di ricostruire, di riprendersi un po' di quel grande amore che ha attraversato tutta la loro vita senza mai placarsi?
L'isola di Sant'Elena sarà davanti a lui all'alba. Napoleone si ritira presto nella sua cabina la sera del 14 ottobre 1815. Un'ultima notte a bordo, dopo mesi di navigazione. A visitarlo, forse nel sonno forse no, è una bella clandestina: forse Eugénie, l'eroina del suo romanzo giovanile rimasto chiuso in un cassetto. Poi arriva la madre, e altri spettri che incarnano la memoria dei grandi eventi attraversati dall'imperatore in esilio. Un uomo che non si è ancora arreso e che ancora pretende di poter mutare il corso degli eventi, mentre la Northumberland si perde in un banco di nebbia. Un romanzo storico e visionario, che umanizza un grande offrendogli uno scorcio di altra vita possibile.
Lupo e Nicola nascono alle soglie del secolo nuovo, il Novecento, ultimi della progenie di Luigi Ceresa, fornaio nel borgo marchigiano di Serra de’ Conti. La vita dei Ceresa è durissima, come quella di tutti gli abitanti di Serra, poveri mezzadri che vedono spegnersi figli e speranze una dopo l’altra. Lupo, vigoroso e ribelle, e il fragile Nicola sopravvivono forse in virtù della forza misteriosa che li unisce pur nella loro diversità. Zari nasce in Sudan ma viene rapita ancora bambina e poi convertita alla religione cattolica: in pochi sanno che questa è l’origine della Moretta, la badessa del convento di clausura di Serra, che con la sua musica straordinaria e la sua forza d’animo è punto di riferimento per tutta la comunità. Intanto il vento della storia soffia forte: le idee socialiste e quelle anarchiche, la Settimana Rossa del ’14, la Grande Guerra, l’epidemia di Spagnola... Lupo, Nicola e la Moretta dovranno resistere, aprire gli occhi e scoprire il segreto che lega le loro esistenze. Quella della Moretta – suor Maria Giuseppina Benvenuti, e prima Zeinab Alif, ancora oggi oggetto di culto – è una storia vera, le vicende dei fratelli Ceresa sono invece frutto di invenzione: ma in queste pagine ogni personaggio è seguito con il medesimo sguardo, frutto di una rigorosa documentazione storica e insieme di un’ardente partecipazione spirituale, e raccontato con una scrittura tesa, vibrante, capace di scavare nelle pieghe del tempo e trarne schegge di emozione vivissima. Alla sua seconda prova narrativa, Giulia Caminito sceglie di dare voce a chi non l’ha mai avuta, a chi è ultimo per nascita o per scelta: e si misura così con il grande tema della fede, della speranza salvifica in un mondo migliore.
Che cosa rimarrà di noi nella memoria di chi ci ha voluto bene? Come verrà raccontata la nostra vita ai nipoti che verranno? Andrea Camilleri sta scrivendo quando la pronipote Matilda si intrufola a giocare sotto il tavolo, e lui pensa che non vuole che siano altri - quando lei sarà grande - a raccontarle di lui. Così nasce questa lettera, che ripercorre una vita intera con l'intelligenza del cuore: illuminando i momenti in base al peso che hanno avuto nel rendere Camilleri l'uomo che tutti amiamo. Uno spettacolo teatrale alla presenza del gerarca Pavolini e una strage di mafia a Porto Empedocle, una straordinaria lezione di regia all'Accademia Silvio D'Amico e le parole di un vecchio attore dopo le prove, l'incontro con la moglie Rosetta e quello con Elvira Sellerio... Ogni episodio è un modo per parlare di ciò che rende la vita degna di essere vissuta: le radici, l'amore, gli amici, la politica, la letteratura. Con il coraggio di raccontare gli errori e le disillusioni, con la commozione di un bisnonno che può solo immaginare il futuro e consegnare alla nipote la lanterna preziosa del dubbio.
«Do not enter the room! Animale pericoloso!»: armati di questo minaccioso cartello partono per le vacanze Paola Capriolo e suo marito. Sì, perché insieme a loro, sempre, gira il mondo anche Ela, gatto dal pelo fulvo e dall'indole carismatica con il quale i due padroni intrattengono un rapporto silenzioso e profondissimo che non può esser messo a repentaglio dalla sventatezza di una cameriera che lasci la porta spalancata per dare aria alla camera... «Avventure di un gatto viaggiatore» è il racconto dell'estate di una coppia di intellettuali con il loro inseparabile micio e insieme una meditazione sulla misteriosa natura dei nostri compagni felini e sul fascino sornione con cui da sempre ci incantano.
1945. La Seconda guerra mondiale sta per terminare. Martin Davies, storico dell'arte e spia, che già abbiamo conosciuto in "Rex", è sulle tracce del Lupo, un nazista misterioso che diffonde il terrore dalle due parti del fronte. Ma da cacciatore diventa presto preda. Nelle strade di Lubecca, fra le vie e i canali di Copenhagen e nei boschi incontaminati della Germania, Martin ha l'impressione di muoversi fuori dal tempo. Contro di lui, oltre al Lupo, il capo dello spionaggio nazista Walter Schellenberg, le SS e soprattutto una realtà che sembra mutare di continuo. Nulla è ciò che sembra, nemmeno a Copenhagen, dove Elinor, una coraggiosa ragazza della Resistenza danese, beffa ripetutamente gli occupanti nazisti. Con il passare del tempo e l'avvicinarsi della sconfitta tedesca tutto si complica, e anche le poche certezze acquisite si tramutano in nuovi pericoli. Sullo sfondo la storia vera degli Autobus Bianchi svedesi e danesi del conte Bernadotte, i cui equipaggi sono in corsa per salvare quante più persone possibile dai lager nazisti. Le storie di Martin e dei suoi compagni incrociano le vicende del transatlantico tedesco Cap Arcona, affondato al largo della costa tedesca, della coraggiosa Wanda Heger, della splendida e imprevedibile Grete che da Roma conduce un gioco difficile e pericoloso.
Sicilia, 1949. Il giovane commerciante di bovini Peppino Maiorana affronta una meravigliosa impresa: fornire diecimila muli alla Grecia come risarcimento dei danni di guerra. Dovrà trovare le bestie in tutta l'isola, farle arrivare a Messina, sottoporle all'esame di una commissione e imbarcarle per il Pireo, centocinquanta alla volta, anticipando le spese con denaro che non possiede. Prodigiosamente l'avventura impossibile prende il via. Davanti al mare si anima una città provvisoria di contadini, mercanti, sensali, spie e prostitute, una folla di personaggi disperati, comici, soli, che cercano con molta immaginazione e senza troppi scrupoli di reinventarsi un'esistenza sulle macerie della guerra finita da poco. Maiorana si ritrova a fronteggiare due ostacoli enormi, la sua famiglia e la mafia, ma prosegue ostinato, zigzagando tra dubbi e minacce, convinto che il tempo delle antiche soggezioni sia finito per sempre e che quella sia l'occasione della sua vita. Troverà un singolare alleato in Giulio Saitta, commissario di polizia segnato da un lutto che alimenta il suo desiderio di vendetta. Le indagini solitarie di Saitta si allargano alla strisciante sovversione neofascista e s'intrecciano con le vicende degli omicidi impuniti di cinquanta sindacalisti capi contadini, della guerriglia di Salvatore Giuliano, delle stragi - prima fra tutte quella di Portella della Ginestra - che rischiano di trasformare la Sicilia in un lago di sangue.
Un giovane incontra a Parigi una ragazzina enfant prodige della matematica e i due s'innamorano, si fidanzano, si sposano. Lei, poco più che ventenne, va in America. Ma il mondo s'inceppa e in un batter d'occhio tutto finisce: niente più petrolio, niente più energia elettrica, commercio né moneta, niente più regole sociali. Ovunque solo guerre e carneficine. Il mondo si imbarbarisce e la sua caduta coglie i due innamorati ai due lati dell'oceano, senza possibilità di comunicare. Per vent'anni i due vivranno lontani, lei ha una vita durissima, lui comincia a scrivere per non dimenticarla, finché, dopo tanti anni, i due si ritroveranno, accesi dal fuoco della passione e dal bisogno di verità. "Le cose semplici" è il tentativo di raccontare il cammino dei nostri desideri più comuni ed elementari - e di tutto quello che ci tocca il cuore, fino a straziarci con la sua bellezza o con il ricordo pungente di essa - attraverso la labirintica distruttività del mondo. Il nostro bisogno di vivere una vita che si possa dire umana, di gioia ma anche di un dolore dotato di senso, è destinato a infrangersi contro il muro del potere, della superficialità, del pensiero indotto e dei luoghi comuni? O può trovare soddisfazione?
Italia. Estate del 1972. Ivo il Barrocciai convince il padre Ardengo a finanziargli l'acquisto di un terreno per costruire una fabbrica di tessuti da "far invidia ai milanesi". Cesare Vezzosi, piccolo impresario edile, sposato con la bellissima Arianna che lascia lunghi mesi al mare a badare al figlio Vittorio, costruisce di lena appartamenti popolari per ospitare l'ondata di intrepida immigrazione che viene dal Sud. Pasquale Citarella è venuto dall'Irpinia a cercare fortuna, con moglie e figli, e pittura senza sosta le case e i capannoni e i palazzi che sembrano spuntare ovunque. Siamo all'alba di un nuovo mondo e l'albero della vita sta intrecciando i destini: l'audace Barrocciai incarica il Vezzosi di costruire la faraonica fabbrica mentre lui si getta, con l'entusiasmo di un fanciullo, alla conquista del mercato tessile d'Europa e d'America. Il Vezzosi, a sua volta, incarica Citarella della costruzione: una commissione che può valere il futuro suo, della sua famiglia, e anche di qualche parente rimasto ad Ariano Irpino. E mentre la fabbrica si va edificando, gloriosa ed eccessiva come il sogno che l'ha voluta creare, mentre quei tessuti iniziano a generare denaro e spargere benessere condiviso, mentre gli anni vengono divorati dalla voglia di futuro, le vite private dei protagonisti iniziano a scricchiolare, a scomporsi e ricomporsi, travolte dall'impeto di una vita che è benzina per i sogni e di una crescita continua e rapidissima, onnipresente, naturale quanto l'aria e il cielo.
"Un cuore pensante" è la storia del cammino spirituale di una bambina diversa dalle altre che amava la solitudine e che si faceva molte domande; una bambina che coglieva il sacro nel dettaglio quotidiano, che sapeva sorprendersi della natura, delle sue leggi e delle sue meraviglie. Susanna Tamaro continua il percorso iniziato con "Ogni angelo è tremendo" offrendo ai suoi lettori un personalissimo diario dell'anima che si legge come un romanzo e che mette a nudo, come mai aveva fatto sinora, la sua spiritualità concretissima, che non sacrifica la realtà al mistero ma coglie il mistero nella realtà.
Salvatore Petrachi ha un solo scopo nella vita: entrare nella piccola élite che decide le sorti del Salento, la terra dove vive. Faccendiere titolare di una ditta di security, Petrachi è proprietario con Adamo Greco, amico d'infanzia ed ex contrabbandiere, di un ristorante di lusso attorno al quale ruotano numerose attività illegali. Grazie ai servigi che compie per un avvocato legato alla politica, Petrachi è sul punto di portare a compimento la sua scalata sociale quando un fatto di sangue in un campeggio di Frassanito mette lui e Greco in una posizione che minaccia tutto quello che i due hanno costruito negli anni. Il cinismo, la spietata pulsione al dominio e alla manipolazione di Petrachi lotteranno però per non morire e, anzi, volgere la situazione a proprio favore anche se questo dovesse significare compromettere le esistenze e le speranze del variegato coro di personaggi che incontra sulla sua strada. Con uno sguardo atipico nel panorama italiano, lucido, disincantato ma anche pieno di vitalità, Daniele Rielli alterna stili e registri fra loro diversi che vanno dal dramma a momenti di dirompente ilarità. Il risultato è un romanzo polifonico in cui la narrazione dei giochi di potere nella provincia italiana, in crisi ma ancora saldamente in mano a piccoli gruppi d'interesse, si rivela pretesto per raccontare l'indistricabile rapporto fra vita e male.
Nick, un giovane ricercatore di L'Aquila sfuggito miracolosamente alla terribile scossa di terremoto, torna a vivere nella casa dove è cresciuto, insieme al padre Ivo che ha frequenti vuoti di memoria. Mentre cerca di assorbire il trauma e occuparsi della malattia di Ivo, riceve una richiesta di amicizia su Facebook da parte di un misterioso "Il Ragno", un utente con soli altri quattro amici. Tutti morti. Tranne Nick e Tamara, una spogliarellista di night club. Apparentemente, nessun legame esiste tra gli amici del Ragno, ma quando anche Tamara sparisce, Nick comprende di essere in pericolo di vita. La sua unica speranza è scoprire chi è il Ragno e cosa vuole da lui. Un thriller tra hacker, amori e le rovine di L'Aquila.
Oltre Eboli c'è un più profondo Sud, sconosciuto e laborioso, qui descritto attraverso le vicende di tre generazioni di una famiglia dell'Aspromonte. È la saga degli umili, vi si racconta il Sud degli ultimi, in cento anni di un cammino verso l'Italia, dall'impresa dei Mille alla devastante alluvione del 1951. Cento anni che attraversano un piccolo angolo di mondo: un paese osserva e interpreta l'eco di vicende lontane dentro cui spesso non si riconosce ma che muteranno il corso della sua vita. Una grande forza morale, la disperazione e il rifiuto dell'emarginazione stanno all'origine del tentativo di percorrere il proprio tempo. Sullo sfondo di un Aspromonte misterioso e impenetrabile, che cova, avvolge e segna i caratteri degli uomini, la storia di una famiglia si dispiega dentro la storia d'Italia, ma senza farne parte davvero appieno, e tinge di unicità quei frustoli di vita quotidiana di cui il tempo non serba il ricordo. Una variopinta folla paesana accompagna, come un coro greco, nella sorprendente esplorazione di un mondo che poteva essere piccolo e che invece giganteggia sotto sapienti pennellate capaci di commuovere nel profondo. Romanzo di grande forza narrativa, diventa metafora, anzi tante metafore che si intrecciano e si alternano senza mai sostituirsi luna all'altra.
Nell'Italia europea di un futuro prossimo, il Partito Unico, che ha preso il potere in nome dei trenta/quarantenni, stabilisce, per legge, il ritorno a una società "naturale", in cui le generazioni, invece di accavallarsi, tornino a susseguirsi, in buon ordine. A trent'anni si coprono le postazioni di comando, a sessanta, si viene ritirati. Dove? Non è chiaro. Un mondo a parte di cui si sa poco e si cerca di immaginare il meglio. Gli anni del Grande Disordine hanno messo a dura prova la pazienza dei cittadini, le nuove regole vengono perciò accettate come un cambiamento necessario. Anche Umberto, amministratore delegato di una azienda importante, allo scadere del suo tempo, accetta di lasciare casa amici posizione e l'amatissima moglie Elisabetta, di poco più giovane di lui e altrettanto ben piazzata nel mondo del lavoro. Forse è giusto scansarsi e fare posto ai figli, come Matteo che, a 35 anni, ancora vive all'ombra di suo padre. Non è colpa di nessuno se, oggi, si muore più tardi. Se "gli scaduti" hanno ancora, davanti, 30 anni di vita attiva. Bisogna collaborare, non bisogna sentirsi defraudati. E poi Elisabetta lo raggiungerà. Peccato che le cose non siano come sembrano, come vengono rappresentate. Ribellarsi è giusto. Ma è anche possibile?
Nella Germania del Seicento Adam Brux è un medico affermato che insegue un sogno: inventare una tecnica di memoria che spinga all'estremo le potenzialità della mente umana. Studiando le opere di Giordano Bruno e i testi alchemici, la soluzione sembra a portata di mano, ma presto Adam si rende conto che la memoria non è priva di rischi: conservare tutti i ricordi, non dimenticare più nulla di quanto ci accade è una condanna troppo pesante da sopportare. Per questo, all'alba della Guerra dei Trent'anni, Brux pubblica il suo libro più importante per rivendicare il diritto all'oblio, ma la sua vita è in pericolo: qualcun altro sta conducendo stud su memoria e oblio, e non vuole rivelarne i risultati, destinati a cambiare per sempre il corso della storia.
Questa è la storia di Alessandro ed Ettore, due ragazzi genovesi a cui la vita ha tirato presto uno dei suoi colpi peggiori: la perdita del padre. Alessandro è ambizioso, egocentrico e fragile. A diciannove anni si ritrova già a essere un perdente: suo padre, il "faccendiere", si è ucciso dopo la scoperta di un giro di corruzione e malaffare, facendogli conoscere la povertà e il desiderio di ritrovare il suo posto nel mondo. Ettore è figlio del primo italiano morto a Kabul, ed è diventato un piccolo criminale irresponsabile a causa dell'abbandono e dei privilegi a cui l'ha abituato il fatto di avere avuto per genitore un "eroe" - il fatto che al posto di suo padre ci sia il poliziotto più marcio della città non aiuta. Alessandro ed Ettore sono due kickboxer che vengono da esperienze estreme, al margine della legalità, in una Genova in bianco e nero che è un porto delle nebbie, e non solo esteriori. Sono in guerra con il mondo, con le donne e con gli uomini. Il loro coraggio, la loro volontà di sacrificio sono sempre sul punto di trasformarsi in odio e risentimento. Due vite abbandonate a un vortice autodistruttivo che si incroceranno in un incontro decisivo di fronte a una platea molto più vasta di quanto potessero immaginare, sotto lo sguardo corrosivo dei media. Ma alla fine saranno loro due soli, uno di fronte all'altro sul ring, armati solo di se stessi, dei loro corpi mortali e delle loro esistenze scheggiate dal caso, dal destino, dagli amori incompiuti.
Tre continenti, tre storie d'amore indissolubilmente legate, tre personaggi che raccontano e si raccontano in totale abbandono. Zeno, broker veronese quarantenne, divorziato e con un figlio di nove anni, conosce Talila, addetta stampa di una grande casa cinematografica con una piccola cifra da investire. Non è solo una passione travolgente quella che lo attira verso di lei, ma la progressiva e inarrestabile rivelazione di uno slancio in grado di scardinare le sue comode abitudini. Sette anni prima Talila ha avuto una relazione con Rocco, pittore incupito da un successo che non arriva. Il rapporto, burrascoso fin dall'inizio, implode tra gelosia e ossessioni quando un famoso regista con cui lavora Talila vuole Rocco in un suo film. Talila si perde, divorata dal desiderio di compensare col sesso il vuoto dell'abbandono. E infine, un perfetto meccanismo narrativo a ritroso ci porta indietro di altri sette anni. È Rocco che ci conduce in un viaggio che porta il giovane artista in compagnia di Michael e Ana da Londra al Brasile all'India, in fuga non solo dal passato ma anche da una minaccia che incombe sulla sua vita. In questo nuovo romanzo Federica De Paolis racconta la forza del passato: tutto ritorna, nulla si cancella, il mosaico si ricompone sempre. Solo la consapevolezza e la memoria permettono di ricostruire ogni storia, di rimetterla, forse, in piedi.
Due sconosciuti in attesa di sparare durante un safari umano. Un'artista vestita da sposa che attraversa l'Europa in autostop. Un giovane sacerdote, ignaro del suo futuro di papa, in un drammatico corpo a corpo con il desiderio. Gli attentati compiuti nei supermercati da un tranquillo padre di famiglia con la passione per gli esplosivi. Le peripezie di un cuore espiantato, in corsa verso la seconda vita. Un uomo deciso a condividere la casa con un branco di lupi. Fatti realmente accaduti che si fondono a invenzioni folgoranti e brevi digressioni autobiografiche, come la lezione di frisbee al nipotino, nella quale affiora la dolente sterilità di un'intera generazione che ha rinunciato ai figli per le proprie ambizioni personali. "La sposa" è un unico flusso di pensieri sul presente, lo stesso che da molti anni caratterizza la scrittura di Mauro Covacich e che trova in "Anomalie" (1998) la sua iniziale scaturigine. Diciassette storie colme di bruciante amore per la vita, scaturite dai recessi di una normalità spesso, a ben vedere, fenomenale.
Mara Abbiati, scultrice di grandi gatti in pietra, e suo marito Craig Nolan, famoso antropologo inglese, hanno una piccola casa di vacanza vicino a Canciale, paesino ligure arrampicato tra il mare e l'Appennino. Un mattino d'estate Craig sale sul tetto per controllare da dove sia entrata la pioggia di un temporale estivo, e ci cade attraverso, quasi spezzandosi una gamba. Alla disperata ricerca di qualcuno che gli aggiusti la casa, vengono in contatto con Ivo Zanovelli, un costruttore con molte ombre nella vita. Nel corso di pochi giorni di un luglio incandescente l'equilibrio già precario di ognuno dei tre si rompe, e fa emergere con violenza dubbi, contraddizioni, desideri fino a quel momento dormienti. In "Cuore primitivo", il suo diciottesimo romanzo, Andrea De Carlo utilizza le tecniche di spostamento della prospettiva sviluppate in "Giro di vento", "Leielui" e "Villa Metaphora, per raccontare a capitoli alterni le ragioni dei tre protagonisti in tutta la loro complessa, incontrollabile verità.
"Quando è scoppiata la guerra, eravamo tutti contenti." Jolanda detta Jole, tredici anni nell'estate del 1914, non ci metterà molto a capire e subire le conseguenze di un conflitto che allontana gli uomini da casa e lascia le donne sole. Separate dalla mamma, sconvolte dai bombardamenti, lei e la sorellina viaggeranno per la campagna alla ricerca di una nonna che non sapevano nemmeno di avere. Da Udine a Grado, e poi in fuga dopo Caporetto, vivranno appese al desiderio di ricomporre la famiglia dispersa, salvate sempre dalla forza e dallo spirito indipendente che è il loro tratto distintivo. Narrate dalla voce di Jole, una prima persona vivida e pungente, le loro vicende sono quelle di tutte le donne che restano fuori fuoco, lontano dal fronte, come sfumate, quasi invisibili, mentre la Storia procede impietosa. Tredici immagini raccontate, come foto perdute di un album di famiglia, scandiscono una narrazione basata su diari, testimonianze, cronache e documenti. Per parlare di guerra dal punto di vista di chi non la fa.
Quando si diventa davvero grandi? Quanto coraggio ci vuole per fare il grande passo e uscire dall'adolescenza una volta per tutte? Viola e Kimi hanno sedici anni, e non lo sanno ancora. Lei è italiana, lui finlandese. Lei socievole e intraprendente, lui con gli occhi fissi sul libro che sta leggendo, come se il mondo intorno non ci fosse. Entrambi hanno un segreto che li rende molto diversi dagli altri. Viola ha perso la madre, Kimi è affetto da una indefinibile forma di autismo. Lei non vuole, o meglio, non vorrebbe che quello che le è successo condizionasse la sua vita, lui percepisce la realtà soltanto attraverso le note di un pianoforte. Si incontrano a un corso d'inglese a Londra, e da quel momento, ogni anno, a luglio, si incontreranno attraverso l'Europa, mentre la vita scorre loro accanto. Fino a quando, sedici anni dopo il primo incontro, entrambi riceveranno un invito che li porterà a prendere un'altra decisione, che cambierà per sempre le loro vite. Un romanzo sulla necessità e la voglia di crescere. Un romanzo sulle occasioni che la vita ci offre, e non sempre riusciamo a cogliere, ma anche un richiamo all'autenticità, all'intensità che i protagonisti devono affrontare. E soprattutto, un romanzo sul coraggio e sulle prove che bisogna superare per poter dire di essere veramente vivi.
Giovanni Caonero vive tre fulminei incontri trasgressivi nell'arco di pochi giorni. Si tratta infatti di uomini e tutti assai più giovani: un palestrato, uno stilista di moda e uno studente. Ma la vicenda del sessantenne protagonista non narra soltanto l'affollarsi di occasioni erotiche che rivelano il suo improvviso lasciarsi andare a quello che più desiderava e temeva. In "La trasparenza del buio" si insinuerà anche, oltre a quella evocata di "Giovanna la pazza", la nonna cantante, la forte presenza di Milena, la donna che continua ad amarlo e a influenzarne le scelte. La scrittura di Roberto Pazzi si cala nella sequenza delle ore e dei giorni, nell'incalzare dei cellulari, delle video chat, degli sms, delle e-mail, restituendo alle perenni verità della letteratura gli effimeri linguaggi della comunicazione virtuale. S'inseguono così, in presa diretta, tradimenti e ossessioni, colpi di scena e inaspettate metamorfosi, sullo sfondo di un'Italia ancora omofoba, pur se diversa da quella narrata da Bassani, da Pasolini e da Tondelli. "La trasparenza del buio" ritrae, nel sentimento del tempo che lo divora, un uomo dai desideri che non invecchiano, determinato a non perdere le estreme occasioni di una vita con la disperata golosità di chi teme di non aver saputo cogliere, fra divieti e tabù della sua società, quanto della felicità gli spettava.
Duro, incalzante, corrosivo "Il sale rosa dell'Himalaya" racconta la disavventura di Giada Carrara, una trentenne milanese. Tutto ha inizio il 13 febbraio, in una sera di pioggia, mentre la ragazza aspetta un ospite molto importante, anzi, decisivo. La cena è pronta, ma, poco prima che l'uomo arrivi, mossa dall'assurda necessità di aggiungere una nota esotica ai sapori della serata, Giada esce di casa per comprare del sale rosa dell'Himalaya. I tacchi, il telefono, i capelli lisci, la fretta, l'attesa di un uomo che potrebbe cambiare il corso delle cose... All'improvviso entrano in scena due sconosciuti che stravolgeranno i suoi programmi, cambiandole la vita in modo ben diverso dalle aspettative. Giada vuole farsi strada. È furba, ma purtroppo scopre di esserlo molto meno della somma delle furbizie altrui. La sua lotta per affermarsi nel lavoro diventa, dopo quella sera di pioggia, la lotta della "biondina di via Massena" contro il mondo. Un conflitto non solo contro i cattivi conclamati, i mostri espliciti: anche contro i nemici sottotraccia che sono ovunque, dove meno te li aspetti, impliciti. "Il sale rosa dell'Himalaya" racconta l'avventura di Giada a partire dal momento in cui nulla potrà più essere come prima. Un romanzo sul tradimento e la sopraffazione, descritti con il tono distaccato e beffardo di Camilla Baresani, in un continuo contrappunto tra il dentro e il fuori di Giada.
Un uomo riceve l'incarico di andare alla Casa dei Matti, padiglione I, per far compagnia ai degenti. Ed ecco spalancargli di fronte il mondo dell'ex manicomio, diverso da quello riformato coraggiosamente da Franco Basaglia, ma al tempo stesso sempre uguale, come un mito che non tramonta. Qui tutti hanno un'identità e una storia, anche se in frantumi. Tra l'odore del disinfettante e quello degli alimenti si aggirano Amalia, che si crede nobile, Anita, la "donna down" sempre col cappotto addosso, Maria che non fa che cantare, Olga, senza denti e con la mania religiosa, Berto, fissato con le parole crociate. E poi Cecilia: una donna molto anziana, di novantasei anni, di cui molti, troppi, trascorsi in manicomio, non si sa neppure perché. Cecilia è litigiosa, solitaria, bizzarra. Ma forse ha solo bisogno che qualcuno riconosca che lei "è". Allora l'io narrante le offre una cioccolata. Lei si scioglie, cominciano a parlare. Gli racconta la sua vita, di quando faceva la commessa in una pasticceria e guadagnava settanta centesimi alla settimana. Altri tempi: ora lei, come gli altri, non sa più cosa accade nel mondo. E per quanti sforzi si facciano, non si può più tornare indietro, recuperare il tempo ormai trascorso. Si può solo ballare: un ballo reale e metaforico insieme, perché sulle note scorrono come in un sogno gli anni non vissuti da questi degenti, Cecilia compresa: gli anni perduti.
In un Medioevo "pieno di stupore", teatro di battaglie, custode di segreti, terra di avventure e di viaggi, di amori e paure estreme, dispensatore di attimi sottratti a un'eternità di cui pareva si cibasse ogni cosa, sorse un uomo, Giovanni di Bernardone, poi conosciuto come Francesco. L'uomo di Assisi, colui che vedeva la luce e la bellezza del suo Maestro Gesù in ogni volto di persona ma anche di animale, e non solo in essi ma pure nel sole, nella luna, nella terra su cui camminava insieme agli altri. San Francesco, il "poverello" per antonomasia, il folle di Dio. Aldo Nove in questo suo nuovo libro non si limita a ricostruire la storia di Francesco. Lo fa dal punto di vista del nipote Piccardo, un ragazzino dapprima spaurito di fronte alle scelte radicali dello zio, ma poi gradualmente pervaso di una ammirazione giocata sullo stacco fra il riconoscimento della Verità e la coscienza di non poter essere come Francesco, di non poter seguire il suo cammino nello stesso modo. Sullo sfondo, le forti emozioni e gli sconvolgimenti di un'epoca che non fu affatto buia come talora si crede, ma viva come lo sono i linguaggi infantili, forse i soli a cogliere il momento indicibile in cui la vita di un testimone del Regno come Francesco si trasforma in esperienza condivisibile di santità.
Il mistero circonda François de Nomé, detto Monsù Desiderio, uno straordinario pittore del Seicento. Ben poco si sa di lui: nato a Metz, in Lorena, visse in Italia, tra Roma e Napoli. Dipinse architetture fantastiche squassate da silenziosi cataclismi, abitate da statue spettrali che sembrano muoversi come figure viventi. Scenari da incubo, sogni pietrificati, il gran teatro della morte e della notte. Su questi quadri densi di ambigue valenze Fausta Garavini costruisce il romanzo di Monsù Desiderio, disegnandone una possibile biografia. La difficile infanzia lorenese, poi l'adolescenza a Roma, dove impara la pittura, incrocia gli artisti del momento e partecipa alla variopinta e tumultuosa vita della città: conosce la corruzione della corte papale, il sesso, i bassifondi, le feste, i soprusi contro gli ebrei, le prediche infuocate dei frati contro le forze demoniache, ma orecchia anche i segreti che filtrano dai circoli ermetici in cui si riuniscono i seguaci di Bruno e Campanella. In questo clima eterogeneo e straniante s'insinua in lui la fascinazione per le antiche rovine, simbolo di una sofferta inclinazione a registrare i crolli interiori, il senso della vanità del tutto. Ventenne, si sposta a Napoli e altre esperienze lo segnano: l'amore per Isabella, l'incontro con lo scienziato, astrologo e "mago" Giambattista Della Porta, la miseria del popolo, le crudeltà del governo spagnolo.
A 25 anni, Astrid è la stella del pomeriggio Tv e la fidanzata di Giangi di Settembrini, un giovane aristocratico, noto alle cronache rosa come campione di eleganza e playboy, ma che la sera si addormenta sul divano senza neanche guardarla. Arrivare a condurre lo show del sabato sera sarebbe per Astrid la svolta di un'intera carriera, il riscatto sociale di una vita, ma altre conduttrici, altrettanto agguerrite, le contendono lo stesso programma e i favori dello stesso potente: il presidente Cesare Gallia, capriccioso padrone della casta al governo. L'arrivo di una misteriosa busta verde sgretolerà in un attimo le speranze di Astrid, costringendola ad affrontare i suoi segreti e le sue paure. In un'unica, decisiva, settimana, scandita dall'attesa per la lesta di compleanno del presidente e dall'attesa per la presentazione dei palinsesti, si intrecciano i destini di questi e altri personaggi e si dipana un romanzo corale, popolato di politici nevrotici, principesse sull'orlo di una crisi di nervi, escort mascherate da sante, minorenni disinvolte, faccendieri di ogni risma, insospettabili cripto gay. Per tutti, il passato riemergerà a presentare il conto e, presto, tutti si ritroveranno a rischio di perdere tutto.
Ernesto è un sessantenne. Da poco ha perso la moglie, il grande amore della sua vita. Gli sono rimasti due figli, entrambi sposati, e due nipoti. Ernesto è un romanziere di successo. Ma ciò che gli è capitato è definitivo, inammissibile, gli ha tolto il gusto della scrittura, la voglia di raccontare gli altri, le altre vite. Segue le vicende dei figli e dei nipoti, così complicate e vorticose come tutte le esistenze di oggi, ma qualcosa di insanabile se ne sta annidato dentro di lui. Una brace. Fino a quando Ernesto conosce un'amica di sua nuora. Una donna giovane e sensuale che inaspettatamente riaccende in lui un senso delle cose che fino a quel momento si era assopito. Capita, è in fondo solo uno dei mutamenti dello stare al mondo. Ma qui c'è qualcosa di più. C'è uno scrittore che si è impedito di scrivere, un uomo che si è impedito di amare. L l'amore torna a bussare alla porta, buttando all'aria ogni impedimento. Come gestire allora l'opposizione fra il ricordo e l'onda della vita che conosce soltanto il presente?
Un giovane venticinquenne decide di intraprendere un viaggio a Illmitz, città al confine tra Austria e Ungheria, in cui viveva la sua famiglia prima che i genitori si trasferissero sul Carso. È un viaggio decisivo, che il protagonista, ora residente a Roma, ha deciso di compiere per fare i conti con se stesso, con la propria inquietudine, la propria fragilità, e per dare un senso a uno strisciante senso di inadeguatezza, al mondo e alle persone che lo circondano. Ma sarà, per lui, inevitabilmente, un viaggio insieme ai fantasmi che si stagliano nella propria memoria: Agnese, sua sorella, morta bambina, investita mentre attraversava una strada a occhi chiusi per mettere alla prova l'esistenza dell'angelo custode; il suo amico d'infanzia, Andrea, rimasto nel paese natale, sul Carso, lui sì, in salvo, vicino alle proprie radici; sua madre. Ma, soprattutto, Illmitz fa emergere il centro di questa inquietudine: Cecilia, la "fidanzata" del giovane, impiegata a Roma, dotata di una fisicità possente, una sessualità esuberante, un desiderio avvolgente, una vitalità istintiva. In lei il protagonista si specchia e con lei dovrà fare i conti.
Canti di un unico canto. Raccontati al modo dei cantastorie, forgiati sulla viva carne della memoria popolare, questi pezzi fanno della voce narrante l'orchestra di un mondo, il mondo che vive nell'emozione di paesaggi sazi di grano e di demoni. O, al contrario, nella risata di tipi tanto eccentrici quanto gravi di coerenza, nella nuda cronaca di disfatta e morte. Ecco allora il guascone rugbista diventato capomafia o la solare ascesa al cielo degli eroi del milite Zappalà, il soldato che combatte gli invasori e trovò la morte sulla spiaggia di Donnalucata. Comincia con i passettini dello Scravacchio, ovvero lo scarafaggio di tutti i Cunti, e si conclude con la rosa dai cento petali che in una notte nera d'aloe fece a gara di liuto con il cipresso d'argento.
A poco più di 16 anni Giovanni lascia Serana, villaggio dell'alta vai Susa, per studiare medicina a Padova. All'università assiste con passione alle lezioni di Vesalio, il più grande anatomista del Cinquecento, e diventa assistente di Corvinus, un medico spregiudicato e brillante che ha rinunciato alla vita accademica per dedicarsi a esperimenti poco ortodossi. Tra autopsie di corpi rubati nei cimiteri e dissezioni per svelare il funzionamento del cuore umano, si compie anche l'educazione sentimentale di Giovanni che, a casa del maestro, si innamora di Aurora, una cortigiana muta. E l'inizio di una rocambolesca avventura nei segreti della scienza e nelle malie dell'amore. Per sopperire al continuo bisogno di cadaveri, Giovanni e Corvinus si arruolano come chirurghi militari. Sullo sfondo degli assedi e battaglie che sconvolgono l'Italia del 1500, si intrecciano macabri esperimenti scientifici e furori bellici. Quando Giovanni tornerà a casa, il suo sapere sarà giunto al culmine, come gli eventi preannunciati e preparati dalla sua ingenuità esistenziale e dalle sue pericolose scelte di vita. Un romanzo di iniziazione, originale e anomalo, ironico e focoso come un balletto di satiri, svagato e irriverente come una novella rinascimentale.
"Forse non mi piacciono gli uomini." Il giorno in cui tua moglie, all'improvviso, scoppia a piangere in cucina, è una piccola apocalisse. Uno di quei giorni in cui la tua vita va in frantumi ma giunge, anche, per un attimo, a dire se stessa. E allora Glauco Revelli, chef di un ristorante blasonato, maschio di quaranta anni, padre di una figlia di tre, va alla ricerca della propria verità di uomo. Dall'ingresso nell'età adulta, l'innamoramento, la costruzione di una famiglia, la nascita e l'accudimento di una figlia, fino al disamore della moglie (che gli si nega dal momento del parto) e al ritorno feroce degli insaziabili demoni del sesso, tutto è passato in rassegna dal suo sguardo implacabile e commosso. Con "Il padre infedele" Antonio Scurati scrive il suo libro più personale, infiammato dal tono accorato della confessione e, al tempo stesso, il romanzo dell'educazione sentimentale di una generazione.
È il 1987. Georges Simenon vecchio e malato decide di tornare per l'ultima volta nella sua isola preferita, Porquerolles in Costa Azzurra, per trascorrere qualche settimana in una piccola villetta dentro la macchia mediterranea. Sulla stessa isola compare una giovane donna, molto bella, con uno sguardo strano, che si fa chiamare Betty, come il personaggio di un celebre romanzo di Simenon, anche se non è il suo vero nome. Poco tempo dopo l'improvvisa apparizione, Betty viene trovata in mare. Non è un suicidio. È stata assassinata. Da chi, e perché? Simenon deve improvvisarsi Maigret, e decide di scrivere in prima persona questa storia. E attraverso questo caso giudiziario, quello di una donna ossessionata dai suoi romanzi, riapre vecchie ferite, come il suicidio della figlia Marie-Jo, e indaga fino in fondo le contraddizioni della sua vita. Ci fa entrare in quel mondo di perdenti che ha descritto nei suoi libri più belli. Fino all'epilogo, davvero sconvolgente, che è un modo crudele per tirare le fila di tutto, e chiudere i conti di un'esistenza segnata da un tarlo, da una ferita che nessuno potrà mai guarire. E che non gli dà pace.
Nel torrido agosto del 1963 viene trovata, barbaramente uccisa nel suo laboratorio tessile, Clelia Santi, una nota maglierista di Alessandria. Il commissario Piazzi è tra i primi a giungere sul luogo dell'efferato delitto, che scuote la provincia piemontese. Ma, come è suo costume, inizia a indagare con calma, forte di un antico e inesorabile intuito. Piazzi sa che la pista da seguire porta alla numerosissima e complicatissima famiglia dei Santi, ma il lavoro è tutt'altro che semplice: la famiglia gli appare sin da subito come un bel guazzabuglio di sentimenti repressi, gretti interessi e odi incrociati. Tutti, al suo interno, potrebbero essere colpevoli; tutti avrebbero un movente per uccidere Clelia Santi; e solo in pochi hanno un alibi di ferro. E tutto pare ruotare intorno a una favolosa eredità lasciata ai Santi da un parente emigrato in America. Soldi che fanno gola a parecchi.
Giorgio Pressburger compie con questo libro un viaggio "dantesco", conducendo il lettore tra figure storiche, grandi dittatori, grandi filosofi e grandi artisti, personaggi della Divina Commedia, protagonisti della contemporaneità come il camorrista Sandokan e Nelson Mandela, figure amate e rimpiante come il nonno e il fratello Nicola... Tutte le presenze del libro vengono a costituire una galleria ricchissima e sfaccettata che impone al protagonista di ripensare alla propria vita collocandola sia all'interno della storia millenaria del popolo ebraico, sia sullo sfondo del recente "secolo breve" - quel Novecento che ha segnato la sua esistenza e che più che mai si è accanito contro i valori supremi cui Pressburger nonostante tutto crede: l'amore e la libertà. Il dialogo con i morti, la riflessione sulla storia, l'analisi critica di una realtà caotica e multiforme si risolvono in visione onirica, ma soprattutto poetica: e dichiaratamente poetica è infatti la prosa di Pressburger, scandita da spazi bianchi che accennano a un ritmo di versificazione e invitano a una lettura "inattuale", segnalando un progetto letterario contro corrente rispetto alle tendenze dominanti di questo inizio secolo.
Cagliari, fine estate, in una cabina del lido Kalaris Giulia Hernandez di San Raimondo, bella donna appartenente a una delle famiglie più importanti della città, viene ritrovata morta: qualcuno ha sfregiato il suo corpo con decine di coltellate, fuggendo poi nella notte. A indagare sull'omicidio è il capitano Martino Crissanti, un carabiniere quarantacinquenne con una laurea in antropologia e un grande amore per l'estate, la musica argentina e i tramonti visti dal quartiere di Castello. La sua indagine sarà soprattutto un viaggio alla scoperta di Cagliari, dalla spiaggia caraibica del Poetto ai centri commerciali della cinta suburbana, dall'alta borghesia cittadina ai semi-occupati di periferia.
Iris ha 79 anni, una figlia intelligentissima e antipatica, che parla esclusivamente con Dio, e una nipote bellissima e ignorante, che trae vantaggio dalle passioni degli uomini. Vive sola ed è in ottima salute, ma quando, per risolvere una decorosa miseria ormai intollerabile, vende la nuda proprietà della casa in cui abita, incomincia a pensare alla morte. È perché ha scommesso sulla sua aspettativa di vita? Lo chiede a Carlo, lo psicoanalista che lavora al pianterreno e, da tre anni, prende il caffè con lei al bar di fronte. Carlo è una buona conoscenza, una consuetudine, quasi un amico. È lui che le consiglia di tenere un diario per contenere e disinnescare quei sintomi minacciosi, Iris esegue. Prima è cauta, racconta le sue paure per dominarle. Ma poi finisce per raccontare anche altro. E si scopre innamorata di Carlo. Anche questo è un sintomo, ma siamo portati a pensare che sia sintomo di una malattia giovanile. È così? Esiste una scadenza per l'eros, un inverno del nostro desiderio? Oppure è uno dei tanti stereotipi che ci obbligano a rinunciare alla vita? Contro ogni previsione Iris e Carlo vivranno la loro storia d'amore, impareranno a guardarsi l'un l'altra, e a guardare il tratto di strada che devono ancora percorrere, approfittando della luce più suggestiva. Quella del tramonto. Con "Piangi pure" Lidia Ravera racconta una storia struggente in cui l'età avanzata dei protagonisti diventa l'occasione per un rinnovato inno alla vita.
Una piccola isola vulcanica ai margini estremi del Mediterraneo meridionale, Tari. Uno squisito resort di lusso arrampicato sulle rocce, Villa Metaphora. Pochi ospiti internazionali, ricchi e famosi, in cerca di qualche giorno di tregua dalle pressioni del mondo. Quattordici personaggi che si passano il testimone di capitolo in capitolo: un architetto e imprenditore milanese, la sua assistente e amante tarese, un marinaio nato sull'isola, un falegname dall'animo artistico, un raffinato chef spagnolo, una ragazza italo-irlandese alla ricerca delle sue origini, un giornalista francese in incognito, un potentissimo banchiere tedesco e sua moglie, due anziani coniugi italiani dediti al gioco della deduzione, una giovane star americana e suo marito, inventore di un metodo per risolvere problemi altrui, un politico italiano che cerca il sostegno dei "poteri forti". Quattordici punti di vista, ognuno con la sua voce, il suo mondo, i suoi riferimenti. Ognuno credibile, coerente, e del tutto inconciliabile con gli altri. Una trama serrata, piena di coincidenze, complicazioni, colpi di scena . Un tour de force stilistico, sfaccettato in una quantità di prospettive e di modi di raccontare. Con Villa Metaphora Andrea De Carlo scrive il suo romanzo più ambizioso, ironico, cattivo, avventuroso, polemico, raccogliendo la sfida di raccontare il mondo di oggi, con le sue virtù e i suoi difetti peggiori, i suoi vizi, le sue paure e le sue insostenibili contraddizioni.
La Domiziana è una strada con troppi indirizzi, molte lingue misteriose e nessuna concessione alla normalità. Incrocio geografico che collega Lagos con Mosca, passando per la premier league. Sul suo asfalto corrono cecchini serbi, ragazze nigeriane, camorristi e comandamenti narcos, comboniani, concorrenti del Grande Fratello, killer sadomaso, tigri, gorilla, pornodivi e senatori, tutti inseguiti da un commissario, Claudio Valenzi: fascista, rugbista, orgoglioso del lavoro fatto a Genova e di Almirante, con una sola preoccupazione: il suo cactus. Almeno fino a quando non incontra la Malinese, regina della strada e delle nigeriane. Ad animare ulteriormente le sue giornate, due eventi, quasi contemporanei: la strage di sei clandestini neri, compiuta per ordine del boss Casalese da un ex criminale di guerra serbo, Dragoslav, che suscita una vera e propria rivolta della comunità nigeriana, e l'omicidio del produttore di porno Gennaro Romeo, uomo della camorra nonché senatore della Repubblica, a opera di un attore stanco del mestiere e del suo agente. Proprio l'attore e il suo agente, con le loro ingenuità, mettono in moto una catena rocambolesca di delitti e "lezioni", cui Valenzi dovrà cercare di far fronte.
Descrizione
"Continuo a scrivere papà, scrivere veloce, con la parola che attacca la parola, la riga che rincorre la riga, con lo spazio che si accorcia, e con le cose da dire che pretendono di essere raccontate." È una confessione al padre, questo libro. Un padre operaio-calzolaio sordomuto, scomparso, ma che è ancora vivo nel ricordo e nelle parole di chi ha preso la penna per fissarlo per sempre, per iscriverlo nei dati sfuggenti della vita. È un padre, quello di cui si parla, che votava Berlinguer, ma, prima che per una scelta ideologica, per la consapevolezza che lui era "una brava persona", e questo giudizio continua a premere sulla realtà rimasta, di oggi, e a porre problemi. Un buon padre, certo, anche se l'alcol era una delle sue debolezze. E un figlio che ripercorre una sua vita di cadute e risalite, private e pubbliche, alla luce del sole: un figlio che rivendica la sua terza media, il suo operaismo, la sua irregolarità di scrittore, e che si pronuncia sull'attualità rimpiangendo, ma a occhio asciutto, la "fatica" di un tempo, la solidarietà. Fino a comprendere che se parliamo con i nostri morti, essi non muoiono davvero, ma anzi, eccoli tornare qui, in una danza che ci coinvolge tutti e ci fa capire che la memoria è vita. Pino Roveredo in questo nuovo libro racconta se stesso più che mai. E lo scrittore che ha molto vissuto, lirico, duro e puro.
Il mondo in un possibile futuro. La Chiesa cattolica ha esteso il suo potere instaurando in Italia una teocrazia e controllando ogni aspetto della vita politica e sociale. Il Papa governa un feroce sistema inquisitoriale. L'eroe di questa sacra rappresentazione esplosa è Domingo Salazar. Orfano, allevato dai domenicani, è diventato un agente segreto pontificio, o meglio, un cane sciolto, che non disdegna l'amicizia del musulmano Guntur e combatte con ogni mezzo lecito e illecito gli atei, i negatori di ogni fede e senso dell'ordine cosmico. L'incarico che Salazar ha ricevuto da un misterioso Vicario è di catturare Ivan Zago, l'imprendibile capo dei nemici della Chiesa, e di sventare l'attentato che incombe sulla cerimonia per la santificazione del Santo Padre. Ma nella polizia vaticana qualcuno ordisce altre trame e Domingo da cacciatore, sta per diventare preda. Diego Marani ci porta con il suo nuovo romanzo, veloce e pieno di sorprese, nel cuore segreto e inquietante di un nuovo impero del male.
Roma, Los Angeles, Viareggio. Tre città, tre luoghi dell'immaginario popolare, che qui si incentra sul mito degli anni sessanta, rivissuto dal protagonista, Alfredo il Tenebroso. Un ragazzo innocente e destinato a perdere questa innocenza, nell'attrito che gli oppone una vita violenta, tra riformatorio e bar di periferia, ai sogni della giovinezza, tutti convergenti verso quegli anni leggendari, contenitori magici di tutto e nulla: i film di James Dean, le moto rombanti, le Cinquecento Fiat e le Giulie Super Alfa Horneo, i cantanti melodici, i concerti di Gianni Morandi, i discorsi di Almirante, l'omicidio di Kennedy e quello di Sharon Tate. Fatti che sembravano simboli universali, di un qualcosa che forse non c'era e non c'è, ma che si legava a un ribellismo difficile da dimenticare, perché legato al senso di un'esistenza che desiderava a più non posso essere diversa e libera. Dal profondo delle realtà metropolitane agli anni di piombo il passo è stato nulla più di un grande salto. Ciò che vi sta in mezzo è il racconto che ci offre Aurelio Picca. Un inno all'imprevedibilità della vita umana, sorretto in punta di penna da una profonda nostalgia.
"Una notte, a Évian, fui svegliato da mio padre, e con mia sorella scendemmo nel parco in pigiama e vestaglia. 'Cosa succede?" chiesi. 'C'è un incendio," rispose mio padre. 'Sta bruciando l'albergo. Il nonno è chiuso a chiave nella sua stanza e dorme. La nonna è al casinò. Bambini, aspettate qui." Ci lasciò con la governante sul prato, dove c'erano altri clienti, altri bambini, tutti intenti a guardare le fiamme che salivano dal torrione centrale. A un tratto si sentì un tonfo terribile: l'ascensore era precipitato." (da Berthe)
Cape May, New Jersey. Un protagonista senza nome recita il suo monologo. Ha appena ricevuto la visita di una lei magnetica e misteriosa, cui si è ispirata segretamente tutta la sua vita: è arrivata inaspettatamente a casa sua, e gli ha dato un appuntamento - si rivedranno il giorno dopo, alle undici, all'inaugurazione della ferrovia turistica, per partire insieme. Nel pomeriggio, nella notte e nel mattino seguente lui sminuzza, intaglia e sutura il suo passato e il suo presente tra incontri e flash-back, cercando di ricomporre i pezzi di un'esistenza vissuta ostinatamente in esilio. Ne ha l'urgenza proprio ora che il destino gli si è rivelato all'improvviso. Una giornalista, Ilaria D'Amico, il suo romanzo d'esordio. Scritto al presente, in presa diretta, proibito ogni fronzolo. Una storia americana dove l'emozione, la malinconia e il tormento invadono lo spazio fisico del racconto, al punto da informarne nascostamente ogni più piccola scena, e ponendo la loro misura estrema al teatro della vita.
Siamo a Minster Lovell, freddo e austero villaggio inglese. E al tempo stesso "paradiso terrestre" del romanticismo nero. Un luogo fatato che è già da solo un romanzo - un luogo, si direbbe, non troppo dissimile dalla brughiera selvaggia delle sorelle Brontë. È il 1911. C'è nebbia. Albertina e Annetta Stevenson, gemelle monozigote, arrivano da Londra per ereditare un cottage vittoriano in seguito alla morte dei genitori, avvenuta sotto circostanze misteriose. Vestono in modo identico, e si mostrano così integerrime, così schive, che il primo ad accoglierle, o forse ad attirarle nella tela di un ragno, sarà uno strano parroco, Padre Amos: le cui parole saranno sin da subito cariche di agghiaccianti sottintesi. E sarà lui ad affidare alle sorelle Stevenson (l'una insegnante di canto, l'altra organista) la gestione del coro della sua chiesa, il coro "Amorino". Più che un semplice coro, un'umanità in miniatura, dove a cantare sono gli abitanti stessi del villaggio, velocemente conquistati dal rigore delle due ragazze. La sensualità, la compostezza, la grazia: quel che appare delle due sorelle è un inganno. Ogni notte, quando l'oscurità scende su Minster Lovell, sul fondo della quiete si odono delle grida spaventose. Chi sono realmente Albertina e Annetta Stevenson? Perché il loro arrivo a Minster Lovell coincide con una serie di inspiegabili accadimenti
Il segretario del maggiore partito d'opposizione, Salvatore Oliveri, dopo il crollo dei sondaggi e l'ennesima, violenta, contestazione, decide di scomparire e si rifugia in segreto a Parigi, in casa di un'amica che non vede da trent'anni, Danielle, una segretaria di edizione conosciuta all'epoca in cui ancora accarezzava l'idea di fare il regista. Unici, e parziali, depositari della scomoda verità, Andrea Bottini, collaboratore di Oliveri, e Anna, la moglie dell'onorevole, in realtà continuano ad arrovellarsi sul perché della fuga e sulla possibile identità di un eventuale complice. Bottini propone ad Anna di usare il fratello gemello di Oliveri, un filosofo geniale segnato da una depressione bipolare, come sostituto dello scomparso. Il filosofo si trasferirà a casa sua, avviando uno strano mènage e un'involontaria carriera politica. Un affresco sull'Italia di oggi, una favola filosofica sulla politica e i misteri della vita
Un uomo di successo, Max, manager immerso nel suo mondo preconfezionato: il nostro mondo. Intorno a lui una moglie altrettanto integrata, un figlio piccolo che già annuncia con il suo comportamento di voler seguire i passi dei genitori, e una domestica, Milagro. È una giovane che proviene dal Sudamerica, semianalfabeta, disarmata di fronte a una realtà che non solo le è estranea ma che lei pare voler mantenere tale: quasi provasse paura o vergogna degli strani e indefinibili fenomeni che si verificano in sua presenza e che forse alludono a una sfera misterica e sacrale che sembra andare in tutt'altra direzione rispetto all'ansia di possesso che occupa le menti di tutti gli altri. Milagro è come un piccolo ago nel pagliaio del capitalismo, povera e senza desideri, priva di quell'insoddisfazione che è compito di Max indurre o dare per scontata negli esseri umani. Somiglia nella sua innocenza ad Abele, così come in Max, che non comprende e che è attratto da lei che non conosce e non può conoscere veramente, si potrebbe ravvisare l'effigie di Caino. Cosa è destinato ad accadere quando l'irruzione del sacro sconvolge la falsità del mondo borghese? La storia che Paola Capriolo narra in questo suo nuovo romanzo, rappresenta una delle risposte. E ci fa balenare davanti, per un attimo, il cuore delle cose, o perlomeno il suo terreno riflesso
Primi anni Ottanta. Un giovane cronista di "nera" cerca di sopravvivere nella Palermo della mattanza mafiosa utilizzando le sole armi che ha a disposizione: l'amore e il sesso. Le sue giornate sono in equilibrio tra sangue pubblico delitti, indagini, scoop - e sentimenti privati - conquiste rapinose, notti di musica, letture. Intorno a lui si dipanano quattro storie crudeli che lo condurranno ai confini di un mondo fatto di violenza, speranze frustrate, illusioni: un mafioso che non vuole diventare killer; una modella impreparata all'urto della vita; un padre immerso nell'odio; una figlia in cerca del proprio onore. Quattro storie che agli occhi del protagonista, "occhi di sonno" per via delle tante notti perse, diventano "canti" di una città disperata e seducente, dove si combatte una battaglia antica di buona e mala carne. Nello sguardo del narratore c'è l'innocenza di una generazione cresciuta, suo malgrado, durante una guerra, ma che continua a vivere il sogno di una vita libera.
Ansimando sull'orlo di un'esplosione perenne, giorno dopo giorno, perduto in una vertigine di giorni braccati e respiri marci, corti, nel collasso baluginante di macchine in corsa e sportelli che sbattono, di attentati, carcerato dentro palazzoni anonimi e senza peso, lunghissimi, grandissimi, forse mai esistiti, morti dentro e prima di lui. Deluso, triste, arrabbiato, straziato, con una compagna e una figlia, è così che lo s'immagina lo scrittore. E inesorabilmente intrecciato alle vicende di un altro uomo, il caposcorta, ovvero Angelo, un nome parlante, un livido quanto fedele messaggero di un mondo da dovere combattere e proteggere insieme, di un'intimità da vivere nella distanza e di una quotidianità alla quale lo scrittore non ha più accesso. I metri che percorre non sono che la polvere corrotta di un condannato, di un vivo già putrefatto, un aquilone con l'istinto più nella terra che non dentro il cielo. Come Angelo del resto, come i camorristi che li perseguitano, come ogni altra natura e carne. Non c'è speranza nella vita, ma solo nella scrittura. Non si salva lo scrittore, ma chi legge, ciò che è letto. Tutto il resto è trappola, ricatto, persecuzione.
In occasione del centenario della nascita di Alberto Moravia, questo cofanetto propone il testo del suo capolavoro giovanile, aggiornato e corretto secondo la versione originale e accompagnato da un apparato critico con le recensioni inedite firmate al momento della sua pubblicazione dai nomi più prestigiosi del tempo, e l'interpretazione da parte di Toni Servillo, con musiche di Fabio Vacchi, riprodotta nei 6 CD Audio.
Ferrara, periodo fascista. Ignazio Rando, impiegato modello noto per l'irreprensibile precisione con cui copia i documenti a lui affidati, una mattina, del tutto inaspettatamente, si alza dalla scrivania, sale in piedi sul banco dell'ufficio, lo percorre tutto, e se ne va davanti agli occhi esterrefatti dei presenti. L'ufficio non sa come reagire ed è il più ambizioso e meschino dei colleghi di Rando - tale Gargioni - a farsi carico di capire cosa sia successo. Mentre Rando gira per la città in stato confusionale, Gargioni va dunque a casa sua, dove scopre una stanza segreta piena di cartoncini su cui, maniacalmente, Rando registrava migliaia di sogni. Leggendo i sogni di Rando, spesso di argomento erotico e/o mortuario, Gargioni e il capoufficio si convincono che l'uomo sia un pazzo pericoloso, da denunciare alla polizia quanto prima. Di sicuro, è il capro espiatorio migliore per l'incendio che di lì a poco scoppierà...
L'amicizia fra Maurizio, cinico e dongiovanni, e Sergio, antifascista incapace di agire e pieno di rancore inespresso nei confronti dell'amico più fortunato, raccontata in tre momenti diversi, da tre voci diverse. Dal litigio a causa di una vedova, Emilia, che entrambi amano e che spinge Sergio a rompere i rapporti con Maurizio, agli scontri per la diversa posizione sociale, che ispira a Sergio, comunista, continue rivendicazioni di classe, ai compromessi, i tradimenti le sfide nel contendersi Nella, una ragazza di umili origini, arrivata a Roma per trovare lavoro e amata prima da Sergio poi da Maurizio.
Marina è una donna di mezza età, con una vita alle spalle fatta di fatiche e abbandoni, di violenze familiari subite per destino, ma con una voglia di riscatto che non è venuta mai meno e che alla fine pare averla condotta alle soglie di una nuova esistenza, serena, assieme al marito Federico e al figlio Gianluca. Ma qualcosa poi s'incrina, lo spettro della più grande piaga del nostro tempo, la droga, entra dalla porta di casa e sparge il suo veleno. Gianluca smarrisce se stesso, finisce in carcere: il mondo si è ribaltato, e tutto è accaduto in un attimo. E allora, ecco profilarsi l'odissea di questa Madre coraggio. Plebea e sublime, volgare e delicata - perché la contraddizione appartiene all'anima delle persone in cui dimora la verità Marina farà di tutto per salvare la sua caracreatura, fino a un gesto d'amore estremo e sorprendente. Pino Roveredo ritorna fra noi con una storia in presa diretta che possiede il rigore di una perfetta macchina narrativa. Ma il suo è anche più di un romanzo: è una lama che colpisce al cuore con la spietatezza di chi, senza usare trucchi e accomodamenti, vuole mostrare che la vita può essere anche questa. Non un gioco, ma una lotta in cui gettarsi con le unghie e coi denti, rendendoci partecipi, da lettori, di una commozione che va forse al di là delle parole.
La vita famigliare di un intellettuale bolognese, scrittore e traduttore dal russo: la nascita della figlia Irma, la sua malattia e il ricovero in ospedale, il deteriorarsi dei rapporti con la compagna Francesca, la vita professionale, i colloqui con gli editori, la difficoltà di tradurre Tolstoj, le conferenze male organizzate, l'ipocrisia dei politici. E infine i ricordi d'infanzia, legati a oscuri sensi di colpa, a una inconfessabile vergogna che torna a pesare sull'anima. Il nuovo romanzo di Paolo Nori ripropone un io solitario e farneticante, in cui il gusto di un linguaggio è una porta aperta sull'intelligenza di una comicità sottilissima, sempre pronta a ribaltarsi in gioco surreale o nel pathos della malinconia. Un romanzo che resuscita il piacere dell'avanguardia letteraria e lo fa ruotare vertiginosamente intorno a incessanti e irresistibili momenti di verità, vissuta con uno spirito di agrodolce distacco.