Il lavoro è per natura una maledizione biblica da cui l'uomo non potrà mai affrancarsi? Deve per forza svolgersi in luoghi di scoraggiante bruttezza dove si passa troppo tempo? Perché continuare ad applicare a una forza lavoro ormai scolarizzata e autonoma le regole pensate cent'anni fa per maestranze analfabete e portatrici di pochi, elementari bisogni di sopravvivenza? Oggi, grazie alla tecnologia, la maggior parte del lavoro esecutivo viene svolto da macchine, la vita si è allungata e disponiamo di più tempo libero, eppure nulla è mutato nell'organizzazione del lavoro. Secondo il sociologo De Masi è necessario un cambiamento di prospettiva, una rivoluzione mentale che proponga all'uomo un nuovo modo di considerare la qualità del lavoro e della vita.
Il volume propone un'analisi della complessa fenomenologia del terzo settore che esamina le dinamiche di contaminazione e colonizzazione tra impresa profit ed esperienze di auto-organizzazione sociale.
Il volume raccoglie i contributi di Georgescu Roegen Nicholas nell'ambito della bioeconomia, ma soprattutto, cerca di offrire alla teoria bioeconomica un carattere di maggior sistematicità, integrandola con gli sviluppi più significativi che si sono avuti in tempi recenti in particolare nella biologia e nella teoria dei sistemi complessi. Il volume vuole inoltre recuperare lo spirito originale che animava la teoria bioeconomica.
Dieci nuovi paesi stanno entrando nell'Unione Europea. Altri tre sono alle porte. È possibile avere un'Europa insieme più grande e politicamente più unita di quella attuale? Quali sono i benefici per noi? Quali i costi? Rispondono a queste domande Tito Boeri (professore all'Università Bocconi di Milano, già Senior Economist dell'Ocse e consulente del FMI, della Banca Mondiale, della Commissione Europea e dell'ILO) e Fabrizio Coricelli (professore all'Università di Siena, già economista al FMI, alla Banca Mondiale e Consigliere Economico alla Commissione Europea".
La preoccupazione che ha spinto Guido Rossi a scrivere questo "saggio autobiografico" è che il conflitto d'interessi latente in molte forme dello scambio economico sia già presente in alcune forme dell'istituto che regge le nostre economie e si stia propagando all'intero sistema del capitalismo, minacciando di diventarne una sorta di perversa struttura portante. Seguendo la sua analisi dei casi più recenti, quelli del fallimento Enron negli Stati Uniti, o del disastro Vivendi in Francia, sorge in effetti il dubbio che il male di cui soffrono le nostre economie possa essere mortale. Guido Rossi è considerato il "padre" delle leggi italiane antitrust e sulle scalate societarie.
Qual è lo stato di salute dell'industria italiana? Quali quote di mercato detiene l'economia globale? Come risponde alle sfide della concorrenza internazionale? Dopo alcuni brevi cenni storici e dati quantitativi, il volume disegna le caratteristiche del nostro peculiare modello di sviluppo e ne discute i vincoli e le opportunità: la prevalenza della piccola impresa e dei distretti, la specializzazione produttiva e geografica, i divari territoriali, la proprietà e il controllo delle imprese in un capitalismo a conduzione familiare. Gli ultimi due capitoli sono dedicati all'impatto della new economy sulle imprese italiane e alle politiche industriali che sono perseguibili nel nuovo quadro europeo.
In quarant'anni l'Italia ha perso quasi per intero la propria capacità industriale, che sarebbe azzerata se dovesse cadere anche l'industria dell'automobile. Se non troverà modo d'inventare una politica industriale adeguata, sarà presto collocata nel novero dei paesi semi-periferici del sistema mondo. Anche se dovesse mantenere in loco qualche stabilimento di produzione, tutte le decisioni in merito all'occupazione, alle retribuzioni, a cosa si produce e a quali prezzi, ai prodotti che entrano nelle nostre case e conformano la nostra vita, saranno prese altrove.
La tangente ha un prezzo, non solo nel senso ovvio di danaro corrisposto a un politico o a un funzionario pubblico in cambio di favori illegali. Essa ha un prezzo anche e soprattutto perché produce danni spesso non evidenti, ma sempre profondamente corrosivi del tessuto sociale. Sotto il profilo economico comporta una cospicua sottrazione di risorse al mondo produttivo; determina distorsioni nei meccanismi del mercato; costituisce un aggravio per il bilancio dello Stato, il cui conto viene pagato dal contribuente; altera le scelte degli amministratori verso le iniziative più lucrose per le casse personali e/o del partito.
Ma il prezzo si fa ancora più alto sul versante etico-civile. In un contesto come quello del nostro Paese, dove la pratica della corruzione ha costituito e costituisce uno stringente sistema di relazioni contrapposto a quello della legalità, sono le basi della democrazia a risultarne minate. In questo senso, davvero onerosi sono i prezzi pagati dalla collettività: il principio dell’uguale accesso dei cittadini ai benefìci dello Stato cede il passo alla cultura clientelare dell’‘entratura’; si sfibra la fiducia nella Pubblica Amministrazione e nella sua imparzialità, requisito essenziale dell’ordine sociale, ingenerando nella mentalità diffusa il sospetto sistematico verso le istituzioni. Queste smarriscono la necessaria oggettività e autonomia dagli interessi di chi le rappresenta, rendendosi inidonee a svolgere quel ruolo di collante civile da cui largamente dipende la sicurezza e, quindi, la libertà di tutti i cittadini.
Oltre dieci anni fa ‘mani pulite’, grazie a un singolare concorso di circostanze favorevoli, scoperchiò il mefitico vaso di Pandora di ‘tangentopoli’. Sembrò all’opinione pubblica che venisse inferto un duro colpo al nesso tra corruzione e politica, se non nel senso di un suo definitivo sradicamento, almeno in quello di una sua riconduzione ai livelli fisiologici di una moderna democrazia. E tuttavia, il sistema delle tangenti non solo permane, ma, paradossalmente, si ripresenta ancora più vigoroso, come rafforzato da una sorta di selezione darwiniana. Sullo sfondo dell’inevitabile scemare dell’attenzione dell’opinione pubblica, e quindi anche del suo esplicito consenso all’operato della magistratura, va registrato che non sono state avviate incisive politiche di contrasto alla corruzione e, anzi, che talune recenti scelte normative sembrano ostacolare la capacità dell’ordinamento di produrre i necessari anticorpi nei confronti del cancro corrosivo della tangente. Questo volume, in cui convergono la prospettiva penalistica, criminologica, politologica e internazionalistica, non ha intenti commemorativi della stagione di ‘mani pulite’. Gli autori, specialisti della materia, si propongono, invece, di descrivere il fenomeno della corruzione e di comprenderne i meccanismi palesi, e soprattutto occulti, combinando riflessione teorica, prassi giudiziaria e attualità politico-sociale. In un dibattito pubblico più incline alle logiche di schieramento che alla rigorosa lettura della realtà e del suo significato, il libro offre stimolante materia di riflessione. Insieme, aiuta a tenere desta l’istanza etica di coloro che non si rassegnano a considerare la corruzione prassi normale, ma sono ancora desiderosi di fronteggiarla.
Gabrio Forti è professore ordinario di Criminologia e Diritto penale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano. Tra le sue pubblicazioni si segnalano: “Colpa ed evento nel diritto penale” (Milano 1990); “La corruzione del pubblico amministratore. Linee di un’indagine interdisciplinare” (Milano 1992); “L’immane concretezza. Metamorfosi del crimine e controllo penale” (Milano 2000).