
Grazie alle biografie laerziane, è stata conservata una incredibile quantità di notizie sulla storia della filosofia e della cultura antica, dai primi filosofi a Socrate, Platone e Aristotele, fino alle maggiori scuole dell'antichità, la stoica, la scettica, l'epicurea. In molti casi, infatti, solo grazie a Diogene Laerzio si sono potuti conoscere vita e pensiero di alcuni fra i maggiori pensatori dell'antichità. La curiosità per la notizia, il gusto per l'aneddoto, l'instancabile desiderio di ricostruire e tramandare per ogni fatto tutte le versioni conosciute, costituiscono motivo di piacevole lettura dell'opera laerziana, non solo per gli studiosi ma per tutti. La vita, le opere, le dottrine dei filosofi, spesso corredate da ampie citazioni dei testi originali, in un classico che resta un'autorevole via d'accesso alla lettura e alla conoscenza della filosofia greca.
Nella vita quotidiana, siamo costantemente alla ricerca di un senso, che sembra oggi più importante della stessa felicità. Questa ricerca, però, può diventare pericolosa, portando alla creazione di idoli. Secondo Chabot, il significato si costruisce continuamente attraverso ciò che sentiamo, comprendiamo e desideriamo, ed è simile all'amore. Tuttavia, l'onnipresenza del digitale ha alterato il nostro rapporto con il senso, causando fenomeni come burn-out, eco-ansia e rivalità con l'intelligenza artificiale. I cambiamenti tecnologici ci lasciano smarriti e senza orizzonti. L'autore propone una filosofia concreta per rispondere a come possiamo coltivare questa ricerca di senso in un mondo in rapido cambiamento, orientandola verso l'essenziale come terapia della civiltà.
Mai come oggi architettura e natura appaiono in conflitto insanabile. Per quanto si sforzi di diventare sostenibile, l'architettura continua a essere la più umana tra le arti, quella che più afferma il possesso umano sulla natura. Il libro sovverte questa idea, sostenendo che, se pensata filosoficamente, l'architettura è invece la più inumana fra le arti, quella maggiormente consegnata all'altro dall'umano, la natura. Anzi, l'architettura può mettere in opera la natura e aprire a un nuovo epos del non-umano. Il volume argomenta questa tesi intrecciando differenti tradizioni di pensiero: lo spazio in Platone con lo zimzum nella qabbalah ebraica, la concinnitas in Alberti con lo spazio indicibile di Le Corbusier, il non-altro in Cusano con lo spazio potenziale di Winnicott, il pensiero della rovina in Simmel con la natura di città di Stig L Andersson. In ogni capitolo la teoria dialoga con singole opere artistiche e architettoniche, dalla cui lettura emergono elementi inediti, ribaltando talvolta interpretazioni consolidate. "L'umano e l'inumano" propone una nuova e paradossale teoria dell'architettura che si fonda sul ritrarsi per donare spazio, e trova il suo compimento in una filosofia del gioco. È nel gioco che infine l'umano si salda all'inumano, la filosofia dell'architettura alla filosofia della natura.
Queste lezioni - qui pubblicate in italiano per la prima volta sulla base degli appunti di Alice Ambrose e Margaret Macdonald - sono essenziali per comprendere l'evoluzione delle idee di Wittgenstein, in particolare la lenta transizione dalla visione logicizzante del linguaggio che permeava il Tractatus a quella pragmatico-antropologica che dominerà le Ricerche filosofiche. La vivida testimonianza del suo pensiero in divenire, tuttavia, non esaurisce i motivi d'interesse di queste pagine, che ci offrono anche un punto di vista privilegiato su temi cruciali - e ancora oggi controversi - della filosofia del linguaggio novecentesca, come la critica dell'identificazione del significato di un'espressione linguistica con il suo riferimento, o il riconoscimento della dimensione intrinsecamente normativa della nozione di significato. Perno attorno al quale ruotano tutte le minuziose discussioni di Wittgenstein sono le sue convinzioni metafilosofiche: la concezione dell'origine e della natura dei problemi della filosofia, ricondotta alle confusioni che il linguaggio stesso genera; e l'individuazione degli obiettivi appropriati e dei metodi dell'analisi filosofica, radicalmente contrapposti a quelli delle scienze. Scopo della «buona» filosofia, ribadisce Wittgenstein ancora una volta, è infatti la chiarificazione dei pensieri - condizione necessaria non tanto per risolvere i tormentosi problemi della filosofia, quanto, più semplicemente, per dissolverli.
In un'epoca dominata dalla frammentazione del sapere e dalla velocità dell'informazione, la metafisica, con la sua ricerca di senso e di principi primi, rischia di essere emarginata. Tuttavia, proprio oggi, essa si rivela fondamentale per affrontare le sfide del mondo contemporaneo, offrendo strumenti per la comprensione di sé, del mondo e per colmare il vuoto esistenziale. Questo lessico essenziale di metafisica si propone come bussola per orientarsi tra termini complessi e concetti profondi, favorendo un approccio critico e consapevole alla realtà.
L’epoca attuale è contrassegnata dalle rivendicazioni della libertà in tanti ambiti e ciò ha forgiato la nostra mentalità, sicché molti dei nostri modi di esperire, pensare e comportarci dipendono da una particolare concezione della libertà e dal senso che le attribuiamo nella vita quotidiana. Malgrado le conquiste della modernità, occorre però discernere quei tratti involutivi che possono destabilizzare o erodere il terreno su cui si fonda la libertà stessa. Il libro esamina con una prospettiva interdisciplinare gli interrogativi che oggi sono posti dal determinismo scientifico, dall’ipertrofia dell’affettività, dal multiculturalismo, dal relativismo morale e gnoseologico, dalle teorie socio-politiche, dall’ecologia e dalla psicologia. Vi sono contenuti saggi di L. Allodi, I. Kajon, A. Lavazza, A. Malo, P. Ricci Sindoni, A. Rodríguez Luño, F. Russo, L. Valera e W. Vial.
Francesco Russo è Professore Ordinario di Antropologia della cultura e della società nella Facoltà di Filosofia della Pontificia Università della Santa Croce. Direttore della rivista internazionale «Acta Philosophica», è il coordinatore dell’Interdisciplinary Forum on Anthropology (Ifa).
Una via di uscita dalla palude dello sconforto. Questo è l’obiettivo indicato dagli autori del presente libro, come spiega bene Andrea Lavazza nella sua Presentazione. Le “passioni tristi”, diagnosticate da M. Benasayag, sono qui analizzate nella loro forma di crisi nella trasmissione generazionale, di antiautoritarismo istintivo, di eccessive pretese funzionalistiche dinanzi a un futuro percepito come minaccioso e di commercializzazione della cultura. Gli autori, però, puntano soprattutto al superamento di tale situazione e si avvalgono delle proprie competenze di psicologia, etica, antropologia e sociologia: prospettano, quindi, le pratiche gioiose che, in una visione antropologica integrale, possono condurre oltre la delusione e l’abbandono. Vi sono contenuti saggi di A. Lavazza, G. Curcio, G. D'Aurizio, P. Ricci Sindoni, F. Russo, M.T. Russo e P. Terenzi.
Francesco Russo è Professore Ordinario di Antropologia della cultura e della società nella Facoltà di Filosofia della Pontificia Università della Santa Croce. È il coordinatore dell’Interdisciplinary Forum on Anthropology (Ifa).
Viviamo sulla terra con un senso di precarietà, acuito dalle emergenze ambientali con cui ci confrontiamo. Desideriamo custodire il nostro mondo, ma nel contempo vagheggiamo gli altri mondi offertici dalla tecnologia, nei quali siamo spesso meri utenti o consumatori, asserviti allo sviluppo delle reti sociali e dei loro profitti.
In questo libro a più voci siamo invitati a riflettere sulle opportunità e i limiti dei social network in riferimento all’aspirazione verso una vita pienamente felice e umana (Juan Narbona); sul contrasto tra la cultura dell’illimitato e il senso del limite che contrassegna l’odierno contesto sociale (Donatella Pacelli); sul modo in cui sta cambiando il nostro rapporto con le cose, con la terra, con il tempo e con la verità (Francesco Russo); sull’interazione tra la persona, il suo corpo e gli ambienti virtuali (Luca Valera).
"La coscienza è ciò che rende il problema mente-corpo davvero intrattabile." Inizia così il classico saggio di Thomas Nagel del 1974 Cosa si prova a essere un pipistrello?. Il testo ha inaugurato l'interesse ormai diffuso nei confronti della coscienza come problema centrale per la filosofia, la psicologia e le neuroscienze; ha anche influenzato il riconoscimento della coscienza delle creature non umane come importante oggetto di studio. Nagel sosteneva che l'essenziale soggettività dell'esperienza cosciente - come è per la creatura che la vive - significa che le teorie riduzioniste della mente, che cercano di analizzarla in termini fisici, non potranno mai avere successo. Ne consegue che la concezione fisica della realtà deve essere superata se si vuole che la scienza comprenda la mente. Nel suo 50° anniversario, questa edizione ripropone il testo con una postfazione di Anil Seth e una nuova prefazione dell'autore che discute le origini e l'influenza del libro, oltre a un saggio che presenta le successive riflessioni di Nagel su come rispondere al problema posto da Cosa si prova a essere un pipistrello?
A ben vedere, la fiducia è un tratto strutturale, inevitabile della nostra vita. Anche se non ne siamo consapevoli, il quotidiano stare al mondo è intessuto da atti di fiducia. Se continuiamo a guidare per la nostra strada mentre una vettura arriva in senso opposto è perché abbiamo delle aspettative verso la condotta dell'altro guidatore: pur non avendone la certezza, abbiamo fiducia nel fatto che non sterzerà investendoci. E così capita per tutte le nostre azioni, nei nostri rapporti concreti con le cose e con gli altri. La fiducia ci induce ad agire nel presente sulla base delle esperienze passate, scommettendo sul futuro. Per questo ci costituisce, ben più della volontà, che in fin dei conti dipende da qualcosa che sfugge al controllo. Tale disposizione fondamentale dello spirito umano alla fiducia si è andata via via rattrappendo nell'esperienza dell'individuo moderno, la cui 'libertà' sottopone ogni cosa alla propria insindacabile volontà. Questa parabola trova compimento nella società digitale, dove la relazione con la tecnologia si sostituisce alla relazione con il mondo. Oggi le aspettative sono affidate alla macchina digitale, che cuce attorno a ciascuno di noi, grazie soprattutto ai social, una sorta di bolla su misura, una solitaria comfort-zone all'interno della quale siamo indotti a credere che saranno soddisfatti i nostri desideri sempre nuovi. È il luogo dell'economia iperconsumista, alimentata dai big data e gestita dall'algoritmo. Come uscire da questa bolla così comoda, da questa forma di ipnosi collettiva? Come ripristinare, nella società del controllo, l'avventura delle relazioni fiduciose senza che esse appaiano un fastidioso inciampo? Sono le domande che queste pagine di Hunyadi suscitano nel lettore. Il suo è più di un libro sulla fiducia: è una persuasiva diagnosi della crisi sistemica in cui si trova la nostra civiltà. Diventarne criticamente consapevoli è già un primo passo per uscirne.