Le narrazioni di sé di Vico e Croce e le intenzioni ad esse sottese consentono di ravvisare nell'autobiografia intellettuale una tipologia di scrittura filosofica che adotta una modalità comunicativa centrata sulla ostensività di un sapere che si fa azione e pratica di vita e sulla esortazione più o meno implicita, rivolta al lettore, a condividere liberamente e magari a ripetere in tutto o in parte l'itinerario esistenziale e professionale dell'autobiografato. Questo paradigma viene confermato dal Progetto di Giovanartico di Porcìa, ripubblicato nell'Appendice I, e si mostra efficace nel saggio, presentato nell'Appendice II, su di una diversa autonarrazione intellettuale: 'Le mie prigioni' di Silvio Pellico.
Machiavelli, a partire dai testi fondativi della moderna arte politica come "Il Principe" o "I Discorsi", fino alla caustica corrosività della "Mandragola" o dell'"Asino", continua a parlare al lettore contemporaneo in un modo inquietante e ansioso: gli eventi ora liberatori ora tragici ora imprevedibili degli ultimi anni e degli ultimissimi tempi, lungi dal farci collocare definitivamente in soffitta il "Segretario" fiorentino, ci spingono ancora a interrogarlo e a ritrovare nelle sue pagine la lucida analisi e l'appassionata frequentazione di alcuni dei grandi temi della nostra società e dei suoi travagli. Per Machiavelli l'uomo è impastato e condizionato da bisogni istintivi così radicali che la sua origine va collocata nell'egoismo e nella ferocia. Di qui la necessità di "leggi" e di "savi datori di leggi" capaci di trasformare questa linfa istintuale ricchissima ma anche distruttiva in energia positiva per il dominio di sé e del mondo, per l'equilibrato crescere delle società e degli Stati, per un più armonico rapporto tra governanti e governati.
Furono i roghi, ad accendere i Lumi. Nello splendore come nella ferocia, il Gran secolo, che tanto amò il paradosso, fu inarrivabilmente paradossale: la meraviglia barocca convisse con il rigorismo formale, l'impulso ascetico con la dissimulazione più o meno onesta, il libero pensiero con un dogmatismo occhiuto e vendicativo. Solo il Seicento avrebbe potuto generare tutte le grandi idee che alimentarono la modernità, e solo il Seicento avrebbe potuto cercare con tanta pertinacia di distruggerle appena nate. Senza riuscirci, certo, e anzi stimolandole, quasi in virtù di quella "reazione uguale e contraria" teorizzata - non a caso proprio in quegli anni - da Newton. Ci fu chi pagò con la vita, con il carcere, con l'infamia e il bando le proprie tesi; ma le difese. E le affidò ai libri, che a loro volta patirono la confisca, la clandestinità, il rogo; ma sopravvissero. Perché le idee non bruciano, anche se possono accendere le menti e provocare rivoluzioni. Ed è proprio di quelle idee e di quei libri cosi travagliatamente giunti fino a noi - che forse non li leggiamo nemmeno più - che siamo gli eredi. Questo nuovo, volume di Steven Nadler è appunto la storia di un libro sulfureo e dannato, il "Trattato teologico-politico"; del suo autore, pessimo ebreo, mediocre mercante, buon tagliatore di lenti, immenso filosofo; del suo funambolico stampatore, cui certo non difettava l'ingegno.
Viviamo in un'epoca di incertezze, di disequilibrio e paura. Abbiamo perso la capacità di essere felici, sempre più oppressi da infiniti bisogni materiali, da una quotidianità stressante, da un individualismo che dovrebbe proteggerci e invece ci condanna all'isolamento e alla perdita di calore umano. Il cambiamento è il nostro spauracchio più grande. Per stare saldi, ci siamo aggrappati a sostegni esterni anziché alla nostra forza interiore e ogni scossone rischia di farci precipitare. Non riusciamo più a cogliere le potenzialità del cambiamento. Gli antichi saggi sapevano che entrare nel flusso del divenire è la strada che conduce all'armonia. Ogni crisi, anche la più negativa, porta in sé il seme di una rinascita, di una nuova opportunità. Con parole illuminanti e chiare, rinfrescanti come una sorgente nel deserto, Marinoff invita a riscoprire la filosofia del Tao, una delle maggiori fonti di armonia di cui l'uomo disponga, e a metterla in pratica per ritrovare la capacità innata di provare felicità, tipica dei bambini, e a diventare noi stessi luce nel buio.
Descrizione dell'opera
I conflitti globali presentati dai mezzi di informazione come scontri religiosi, il peso crescente delle posizioni confessionali nella formazione delle opinioni politiche, l'irruzione di nuovi culti legati ai processi migratori.
Le società occidentali moderne devono fare i conti con la persistente vitalità delle religioni, per quanto secolarizzate, ma anche con la progressiva disintegrazione della pietà popolare tradizionale, che da un lato produce istanze fondamentaliste e dall'altro espressioni di fede ancorate ai principi del dialogo e dell'accettazione dei diritti umani.
In questo contesto, Habermas crea le premesse per una filosofia capace di «tradurre» il contenuto delle espressioni religiose in un linguaggio accessibile e in grado di influire in modo concreto nei processi decisionali delle società contemporanee in termini inclusivi e solidali.
Sommario
Le religioni e la politica. Note.
Note sugli autori
JÜRGEN HABERMAS (Gummersbach,1929), filosofo e sociologo tedesco, è tra i principali continuatori della Scuola di Francoforte. Assistente di Theodor W. Adorno, ha insegnato a Heidelberg e a Francoforte e ha diretto l'istituto Max Planck di Starnberg, che promuove la ricerca sulle condizioni di vita nelle società scientifico-industriali.
EDUARDO MENDIETA è professore di Filosofia alla State University di New York, Stony Brook.
Ernst Cassirer fu uno dei pochi intellettuali che, negli anni della Repubblica di Weimer, si espresse a favore della Costituzione della Repubblica: il testo qui tradotto è la trascrizione di questa sua presa di posizione pubblica, nel 1928. Vi si respirano gli ideali dell'illuminismo e della Bildung, come formazione del carattere e educazione morale, che furono fondamentali per il processo di assimilazione degli ebrei in Germania. Alla crisi della cultura, della politica e dello Stato di quegli anni queste pagine oppongono il ruolo attivo della filosofia: certo non la sola necessaria, eppure una forza decisiva, a partire dal richiamo alla ragione, non solo per spiegare a posteriori gli eventi, ma per comprenderli e orientarli nel loro corso.
«Sembra ormai ovvio, per ognuno, che appartiene all'età moderna, più che a qualsiasi altra epoca della storia, di aver portato il concetto di libertà sul vertice dello spirito: nella scienza, nell'economia, nella politica, nella sfera del sacro ch'è la religione..., essa ha chiamato l'uomo alla conquista delle dimensioni principali della libertà. Nuove istituzioni e nuove costituzioni hanno dato o stanno dando l'avvio, nei vari continenti, all'uomo nuovo impegnato alla formazione di se stesso e del proprio vivere civile. Non v'è dubbio che con l'avvento del pensiero moderno si è prodotta una scossa decisiva nell'atteggiamento dell'uomo verso la verità che ha portato alla crisi - non ancora risolta e forse mai solubile perché costitutiva della stessa essenza della libertà - della tensione di libertà-autorità. [...] Di qui la corsa irresistibile e affascinante per la ricerca delle strutture della materia e dell'origine della vita, per l'esplorazione del mistero dell'inconscio e delle pulsioni psichiche, individuali e collettive, sulle quali molto probabilmente poggerà la società del futuro. Eppure mai come oggi l'uomo - dominatore di tanta parte della natura - sente la propria insicurezza interiore, la fragilità della sua struttura, il salire inarrestabile dell'angoscia e della solitudine in un cosmo che si popola sempre più di macchine cariche di minaccia e di terrore» (Cornelio Fabro).
Il volume non si presenta come una delle tante interpretazioni per spiegare un autore come Jürgen Habermas, ma tende a far emergere il concetto di sfera pubblica che, attraverso le riflessioni di Habermas, cerca faticosamente di stabilire contatti con la realtà dei fatti in modo da non determinare ingannevoli interpretazioni di comodo. Il testo prova a render giustizia di un fatto che, all'interno di una società politica che consideriamo erroneamente come trasparente, appare quanto mai evidente: esiste una sfera pubblica neutrale, informata, desiderosa di partecipare allo scambio delle opinioni per decidere sulle più convenienti soluzioni riguardo la propria esistenza? Si cerca poi di prendere in esame - sociologicamente e non solo patologicamente - quella sorta di autismo sociale a cui le società politiche sembrano spesso asservite, capace, purtroppo, di rimettere in discussione l'ordine e il fondamento stesso dell'organizzazione delle società umane. Questo autismo sociale imperante, come prodotto sottoculturale egemonizzato, è il vero nemico odierno delle sfere pubbliche, il più pericoloso veleno da cui è necessario vaccinarsi perché ne va della stessa organizzazione sociale, della stessa solidarietà come orizzonte autenticamente intersoggettivo (per dirla con Habermas) delle società democratiche. Ma la "questione sfera pubblica" pone radicalmente in discussione una seconda grande questione, che è in grado di rendere la prima più o meno efficiente a seconda della posizione in cui la collochiamo. Essa riguarda la "questione della formazione", e dunque dell'istruzione del cittadino. Non c'è sfera pubblica se non c'è una istruzione rivolta a solidificare, nell'individuo, quei presupposti culturali e "fondativi" di cui la società ha bisogno, perché la sfera pubblica non può e non deve deteriorarsi a mera ideologia, ma deve diventare oggetto di responsabilità per la contemporaneità e le generazioni future.
La tecnica ci lusinga offrendoci l'antidestino - la vittoria sul destino biologico inscritto nei nostri geni - e la liberazione dai vincoli dell'umano. Ma a quale prezzo? Aldous Huxley riteneva che ci sarebbero voluti secoli per pervenire alla società totalmente organizzata. Pochi decenni dopo esistono invece i mezzi per giungervi attraverso una rivoluzione che mette le mani sulle radici stesse dell'uomo. L'alleanza tra materialismoe tecnica instaura infatti sull'essere umano, ormai inteso come mero pezzo della natura, il potere biopolitico (biopower), che conduce a esiti opposti, ma ugualmente inquietanti: il superamento della barriera uomo-animale da un lato e il "postumano" propiziato dall'ingegneria genetica dall'altro. I massimi fattori di resistenza sono rappresentati dalle nozioni di persona, di umanesimo condiviso, di etica libera dall'utilitarismo. Esse articolano un'idea di conoscenza e di discorso pubblico che non sono solo lo specchio delle possibilità tecniche offerte dalla scienza, ma che esprimono in pieno l'irriducibile dignità etica dell'uomo.
«L’archeologia della sensazione delineata in questo libro non soltanto getta una nuova luce su alcuni problemi fondamentali nella storia del pensiero occidentale, ma permette di porre con chiarezza un problema su cui filosofi e scienziati non potranno in futuro fare a meno di interrogarsi: qual è il senso col quale, al di qua o al di là della coscienza, sentiamo di esistere?». – Giorgio Agamben
Cosa vuol dire sentirsi vivi? A questa domanda Daniel Heller-Roazen risponde elaborando l’archeologia di un solo senso, quel «tatto interno mediante il quale percepiamo noi stessi». In venticinque concisi capitoli, che spaziano liberamente dalla cultura antica e medievale a quella moderna, l’autore analizza un insieme di fenomeni esemplari che hanno giocato un ruolo cruciale nella definizione – filosofica, letteraria, psicologica e medica – dell’esistenza animale. Con quest’opera, sensazione e sentimento di sé, sonno e veglia, estetica e anestesia, natura animale e natura umana, coscienza e incoscienza – acquistano un nuovo significato.
Indice: I. Murriana. – II. L’animale estetico. – III. La facoltà fondamentale. – IV. Il cerchio e il punto. – V. Sentio ergo sum. – VI. Sonno. – VII. Risveglio. – VIII. Compagnia. – IX. Historia animalium. – X. Appropriatezza. – XI. Elementi di etica. – XII. Il cane da caccia e la lepre. – XIII. Consapevolezza di vivere. – XIV. Il re senza nome. – XV. Psicologia della quattrocentoquarantanovesima notte. – XVI. La fontana e la fonte. – XVII. Percezione ovunque. – XVIII. Sui meriti dei proiettili. – XIX. Spine. – XX. A me stesso; ovvero, il danese. – XXI. Sulle creature volanti. – XXII. Cenestesi. – XXIII. Fantasmi. – XXVI. L’animale anestetico. – XXV. Intoccabile. – Note. – Bibliografia. – Indice analitico.
Si tratta di uno fra i temi più controversi dei tempi moderni, oggi che il principio d’autorità è stato minato dalle verità scientifiche e dalla valorizzazione delle competenze. Intorno all’autorità ruotano timori e malintesi, ma anche appelli e nostalgie. Secondo l’autrice si tratta di conseguenza della tenace confusione esistente tra autorità e potere, che è necessario superare per trovare una chiave di lettura più autentica. La ricerca avviene attraverso la lingua, l’arte, la scienza, le istituzioni, i costumi e i legami familiari, a partire dal sapere del movimento femminista italiano.
Dai tempi di Descartes, le scienze dimostrative sono ritenute il regno della razionalità, mentre tutto ciò che non è dimostrabile viene relegato nell'ambito dell'irrazionale. Così l'etica, la sociologia, il diritto, la psicologia, la retorica sono rimaste escluse dalla logica in senso stretto. La teoria dell'argomentazione si propone di reintrodurre la razionalità nelle scienze dell'uomo che operano con mezzi di prova non dimostrativi. I problemi connessi con l'argomentazione interessano varie discipline: dalla letteratura alla sociologia, dal diritto e alla psicologia. La teoria dell'argomentazione li affronta da un proprio punto di vista come logica delle scienze non dimostrative. Con una prefazione di Norberto Bobbio.