Si raccolgono in questo volume una serie di ricerche riguardanti alcuni problemi ed alcune tematiche del pensiero italiano della prima metà del Novecento. Abbiamo preferito intercettare le questioni direttamente nell'opera di quei pensatori italiani che se ne fecero carico, che le approfondirono e che, non meritando di esser considerati come meri ripetitori né come inseguitori di mode, seppero proporre interessanti prospettive d'indagine. Si tratta di interpreti che furono in grado di cogliere come pochi il nucleo delle questioni che poneva il loro tempo e tutti furono in grado di interpretare le diverse problematiche in maniera originale, apportando, lo si vedrà nei vari saggi, un decisivo contributo alla chiarificazione delle questioni che affrontano. È un peccato che alcuni di questi pensatori siano perlopiù sconosciuti o trascurati e non soltanto all'estero, ma anche in Italia ed è ancor più grave che la maggior parte delle loro opere eccettuati alcuni degli autori qui proposti siano divenute o stanno per diventare introvabili rarità bibliografiche per soli collezionisti o appassionati estimatori.
In questo libro del 1956, Günther Anders muove dalla diagnosi della "vergogna prometeica", cioè dalla diagnosi della subalternità dell'uomo, novello Prometeo, al mondo delle macchine da lui stesso create, per affrontare il tremendo paradosso cui la bomba atomica ha posto di fronte l'umanità, costringendola fra angoscia e soggezione. La vergogna prometeica è legata anche a un senso di "dislivello", di non sincronicità, tra l'uomo e i suoi prodotti meccanici che, sempre più nuovi ed efficienti, lo oltrepassano, facendo sì che egli si senta "antiquato". Oltre che perfetta la macchina è ripetibile, standardizzata, riproducibile in esemplari sempre identici; quindi possiede una specie di eternità che all'individuo umano è negata. Di qui, una rivalità, una impari gara dell'uomo, una inversione dei mezzi con i fini, di cui Anders analizza con grande anticipazione tutta la portata. In particolare, là dove tratta delle tecniche di persuasione, soprattutto televisive e radiofoniche, che ci assediano con immagini-fantasma, irreali, di fronte alle quali l'individuo diventa passivo, maniaco, incapace di pensare e comportarsi liberamente.
"In tutti i libri dove il Frammento è sovrano, verità e ubbie si susseguono da un capo all'altro. Ma come distinguerle, come sapere che cosa è convincimento e che cosa è capriccio? Un'affermazione, frutto del momento, ne precede o ne segue un'altra che, compagna di tutta una vita, si eleva alla dignità di ossessione. Spetta dunque al lettore discernere, perché non di rado l'autore esita a pronunciarsi. In "Confessioni e anatemi", sequela di perplessità, si troveranno interrogativi ma nessuna risposta. Del resto, quale risposta? Se ce ne fosse una la si conoscerebbe, con buona pace del devoto dello stupore". Queste le parole con cui lo stesso Cioran presentava, nel 1987, quello che sarebbe stato l'ultimo suo libro pubblicato in vita, una raccolta di aforismi.
È vero che tendiamo a vedere il mondo così come la nostra cultura lo rappresenta piuttosto che rappresentarlo così come lo vediamo o dovremmo vederlo? Il peso delle tradizioni artistiche e culturali è così determinante nel plasmare la nostra percezione? Possiamo credere, come spesso si ripete, che epoche e civiltà diverse hanno visto la realtà in modi diversi e che anche l'occhio è storico come lo stile? Arthur Danto - uno dei più autorevoli studiosi di estetica a livello internazionale - affronta queste questioni cruciali direttamente e senza pregiudizi.
Sigieri di Brabante è il principale esponente del cosiddetto averroismo latino, quella corrente della Scolastica medioevale che riprese la versione islamica di Aristotele ed entrò in conflitto con la versione tomista dell'aristotelismo stesso, soprattutto a proposito della tesi dell'unicità o della molteplicità dell'intelletto divino e umano. Questo volume raccoglie per la prima volta i commenti di Sigieri al "De anima" di Aristotele, e offre uno spaccato sulle dinamiche interne del pensiero cristiano del XIII secolo, oggi di grande attualità anche per comprendere la storia dei suoi rapporti con il pensiero arabo di Averroé.