La storia del libro si svolge nella ex Ddr, nel gennaio 1990. Enrico, teatrante e scrittore di romanzi nel cassetto, volta le spalle all'arte e comincia a lavorare nella redazione di un giornale appena fondato. Apparentemente liberato dalla necessità interiore di descrivere il mondo, si getta a capofitto nella vita attiva. Guidato dal suo Mefistofele, l'onnipresente Clemens von Barrisca, quintessenza del capitalismo, l'intellettuale sviluppa un'ambizione e un arrivismo che non sapeva di covare dentro di sé. È di questa svolta, parallela alla riunificazione della Germania, che raccontano le lettere di Enrico ai suoi tre amori: la sorella Vera, l'amico d'infanzia Johann e Nicoletta, l'Irraggiungibile. Ne viene fuori il romanzo di una vita, in cui si rispecchiano le mille sfaccettature della recente storia tedesca. E il protagonista diventa allegoria della discutibilità delle vecchie ma anche delle nuove vite.
Narrate ai grandi perché le ripetano ai bambini, come recita il sottotitolo, le "Storie del buon Dio" furono scritte tra il 10 e il 21 novembre 1899 e pubblicate l'anno successivo in occasione del Natale. Opera singolare nella produzione del grande poeta praghese, ma anche opera 'centrale' nella sua evoluzione, le Storie furono la prima delle sue opere in prosa che Rilke non volle disconoscere. "Il Dio delle Storie" scrive Sabrina Mori Carmignani nella prefazione" è un dio cercato, atteso, smarrito, persino dimenticato e mai posseduto", un dio che "vede, scruta, osserva, prova immensa nostalgia, ma tra lui e l'uomo tornano a frapporsi immagini di una lontananza, o di un dissidio, che lo costringe a ritrarsi sempre più nei suoi cicli". Ma non è mai vera 'assenza', tutt'altro; questo buon Dio resta insieme protagonista e 'sfondo' delle Storie: un protagonista molto discreto ma insostituibile, che sembra non comparire se non come motivazione ultima del narrare; e invece 'sfondo' onnipresente, perché la purezza di ascolto dei bambini sente quella presenza, come uno sguardo innocente e nuovo che sa ancora cogliere la freschezza del mondo e della vita.
Daniel Paul Schreber, presidente della Corte d'Appello di Dresda, figlio di un illustre educatore dalle idee ferocemente rigide, ebbe nel 1893, a cinquantun anni, una grave crisi nervosa ed entrò nella clinica psichiatrica di Lipsia, affidandosi all'autorità del suo direttore, l'anatomista P.E. Flechsig. La crisi aveva avuto inizio quando un giorno, nel dormiveglia, il presidente Schreber si era trovato a pensare che "dovesse essere davvero molto bello essere una donna che soggiace alla copula". A partire da questo punto si sviluppò in lui un prodigioso delirio, che lo fece passare per tutti gli estremi della tortura e della voluttà, coinvolgendo dèi, astri, demiurghi, complotti, "assassinii dell'anima", catastrofi cosmiche, rivolgimenti politici. Al centro di tutto erano la convinzione, in Schreber, di trovarsi vicino a essere trasformato in donna, e la sua lotta stremante contro un Dio doppio e persecutore. È comunque difficile dare un'idea in poche parole della sconvolgente architettura di immagini, nessi, illuminazioni tragiche e comiche che il lettore incontrerà in questo libro, scritto da Schreber dopo sei anni di malattia. Con queste Memorie egli voleva, fra l'altro, dimostrare di non essere pazzo, e incredibilmente ci riuscì, sicché il suo ricorso in appello contro la sentenza di interdizione venne accolto, permettendogli di tornare a vivere per qualche tempo nella società.
L'uomo e il mare. Una strana relazione, fatta di odio e amore, di romanticismo e d'ignoranza, di curiosità e di mistero. Come funziona questo enorme sistema? Com'è stato possibile che esso abbia dato origine alla vita? C'è una "data di nascita" della vita? Esiste una cesura tra la "non vita" e la vita? Come un novello capitano Nemo, Frank Schätzing accompagna i lettori in un viaggio che li porta ben oltre 20.000 leghe sotto i mari e risponde a tutte queste domande (ma anche a moltissime altre). Un racconto costellato di sorprese e colpi di scena che guida alla scoperta del sistema che ha dato origine alla vita, un sistema da cui tutti proveniamo e di cui sappiamo ancora pochissimo.
Quattro personaggi intrecciano negli "Emigrati" la loro vita con quella dell'autore: Henry Selwyn, brillante chirurgo e uomo di mondo, ritiratosi in tarda età nella torre di una casa della campagna inglese dove Sebald affitta in gioventù un appartamento; Paul Bereyter, promeneur walseriano e maestro elementare del futuro scrittore in una scuola di paese; il prozio Ambros Adelwarth, cameriere negli hotel di lusso di mezzo mondo e maggiordomo presso l'alta società; il pittore Max Ferber, compagno di lunghe conversazioni serali a Manchester. Quattro personaggi legati alle vicende del popolo ebraico, spaesati ed errabondi, di cui Sebald ripercorre il cammino andando in cerca di amici e testimoni, diari, documenti, ritagli di giornali, fotografie, cartoline, e intessendo come sempre parola e immagine fotografica - in un'investigazione che è anche indagine sul proprio sradicamento.
Frutto di una gestazione meditata e lunga circa nove anni, il Wilhelm Meister è un romanzo "di formazione". Attraverso il travaglio evolutivo del giovane Wilhelm e della sua passione per il teatro, Goethe osserva e descrive la lotta crudele, il confronto interiore che mette di fronte fallimenti, umiliazioni, rinunce e intimo desiderio. È la storia di qualsiasi vera, difficile vocazione: urgente e imperiosa, sofferta e messa in dubbio, abbandonata e continuamente ripresa, infine riconosciuta come parte più vera di sé, a un tempo condanna inevitabile e appagante destino.
Tra i più noti, apprezzati, amati scrittori di aforismi della storia, Goethe sapeva distillare in poche righe, addirittura in poche parole, il succo più profondo delle sue riflessioni sulla vita, sull'arte, sui rapporti, sui vizi, le ambizioni, le debolezze e le virtù degli uomini. Per questo le massime sono una lettura sempre sorprendente, capace di rivelare ogni volta sfaccettature che prima restavano in ombra, ma anche uno dei modi per accostarsi al pensiero di Goethe e iniziare a comprenderne la complessità.
Questo volume avvia l'opera di traduzione, a distanza di cinquant'anni, di tutta la narrativa di Thomas Mann (a eccezione di "Giuseppe e i suoi fratelli", ripubblicato nei Meridiani nel 2000). Autore storico della casa editrice, Mann era infatti tutto presente nella collana dei Classici contemporanei stranieri in volumi curati da Lavinia Mazzucchetti e risalenti agli anni Cinquanta, con traduzioni perciò assai invecchiate. L'edizione dei Meridiani che con questo volume si avvia occuperà quattro volumi ed è aperta da un saggio introduttivo di Marcel Reich-Ranicki, critico e intellettuale tedesco di grande fama. Essa prevede il coinvolgimento dei migliori traduttori disponibili; tutti i romanzi hanno introduzioni specifiche firmate da studiosi italiani o stranieri e un ricco commento, affidato a Luca Crescenzi. In questo primo volume, la traduzione dei "Buddenbrook" (il romanzo che nel 1905 segna l'esordio narrativo di Mann e immediatamente lo segnala come scrittore di straordinario talento) è di Silvia Bortoli; quella di "Altezza Reale" (fiaba morale del 1909, sul potere e sulle sue rappresentazioni) di Margherita Carbonaro.
Scritto neI 1917 e pubblicato nel 1919, "Demian" è la storia di un ragazzo combattuto fra due mondi, quello bello e pulito del bene e quello terribile, enigmatico eppur allettante del male. Protagonista è il giovane EmiI Sinclair, caduto sotto l'influsso di un cattivo compagno di scuola, Franz Kromer, che lo spinge a ingannare i genitori, rubare e discendere la china del peccato. Sarà un altro compagno, Max Demian, che sembra vivere fuori del tempo o uscire da un passato senza età, ad attrarre Sinclair e a liberarlo dal nefasto influsso di Kromer, guidandolo verso una concezione della vita straordinariamente complessa e misteriosa.
In una gelida sera d'inverno l'agrimensore K. giunge in uno sperduto villaggio dominato da una collina su cui sorge un immenso castello. Qui vi abita il misterioso Conte, governatore e despota di tutto il territorio. K. intende fare delle terre del Conte la sua dimora ed esercitare qui la sua professione: un progetto semplice, ma realizzarlo si rivelerà presto più arduo di qualunque previsione. Il castello del Conte si trasforma infatti per K. nella sede di una mostruosa trappola burocratica che lo stritolerà.
Sopravvissuto a numerosi campi di concentramento, Fred Wander dà voce ai suoi compagni di detenzione - in prevalenza ebrei provenienti da ogni parte d'Europa - con i loro momenti di grandezza ma anche con le loro meschinerie e limitatezze. Vediamo così entrare in scena Cukran, l'incolto ebreo turco che ha sposato una donna francese di rango, o de Groot, il famoso sarto di Amsterdam, il viveur che passava il suo tempo nei caffè della città, o Lubitsch, rampollo di una famiglia patrizia slovacca, o Tadeusz Moll, il giovane di buona famiglia costretto a lavorare nei forni crematori. Riprendendo la tradizione dei narratori ebraici e facendo propria la lezione di Mendel Teichmann, il cantore dell'universo chassidico che all'inizio del romanzo spiega all'autore "come si narra una storia", Fred Wander restituisce un volto alle tante anonime vittime, rievocando l'esistenza del singolo prima del lager, e più in generale tracciando un quadro vivissimo di quel mondo dell'ebraismo europeo destinato a scomparire nel più tragico dei modi.
Un banale incidente costringe Alfredo Traps, rappresentante di articoli tessili, a fermarsi in un paese. La panne non gli spiace, una notte fuori casa può sempre offrire un'avventura. Ma la casa che lo ospita, quella di un vecchio giudice a riposo, non è quanto si aspettava. Infatti, invece di qualche compagnia femminile, il rappresentante trova quattro vecchietti, tutti ex uomini di legge, che gli spiegano il loro unico passatempo: rifare dei famosi processi storici come quello a Socrate, a Gesù, a Giovanna d'Arco. Ma il gioco, aggiungono, diventa più bello con del materiale vivente. E cosi Traps, tra una bottiglia di vino e l'altra, si ritrova in veste di imputato. In un'atmosfera sempre più inquietante, il gioco scivola nella realtà per poi tornare gioco, in uno sfasamento continuo abilmente orchestrato dai quattro amici: Traps parla, si confessa, la sua vita banale sembra acquistare improvvisamente risvolti cruenti; sognava un'avventura ma si sente scoperto e si svela attraverso un esercizio di raffinate sevizie mentali, dove la posta finale può sciogliersi in una risata generale o in una condanna senza possibilità di appello.