Momo è un inquieto adolescente, vivace e ribelle, costretto tra le mura di una scuola militare in Algeria. Un giorno, nell'odiata routine della sua vita, appare una trentenne dai lineamenti incantevoli e lo sguardo remoto. Il Ragazzo se ne innamora a prima vista e ne insegue ostinatamente le tracce. ma è solo la fantasticheria di "un moccioso in preda al mal d'amore"?
“Ciò che ero prima di quel mattino, ha perduto ogni valore;
ciò che è rimasto di me dopo quella notte, non ha più potuto
dare importanza a niente.
Ho sempre detto che, con quel giorno, tutto ha avuto inizio
e tutto ha avuto fine. E ora, all’ultimo, si annuncia un seguito.”
“Arthur Japin mette in discussione l’eroismo del Western classico, e ci conduce molto più vicino al Selvaggio West di quanto John Ford abbia mai fatto.”
Trou, Holland
“Un bel romanzo… Basato su un’incredibile storia vera, che Japin ha mitigato per renderla più credibile. L’incontro tra due persone che hanno perso tutto, i cui popoli si odiano, regala immediatamente al libro una straordinaria tensione.”
Het Parool, Holland
Texas, 1836. Un gruppo di giovani e feroci indiani Comanche attacca il fortino di una famiglia di pionieri, i Parker. Granny, la matriarca della famiglia, viene stuprata. Suo marito, sua figlia e il marito di sua figlia vengono brutalmente uccisi sotto i suoi occhi, e molti dei suoi nipoti rapiti. Lei riesce a sopravvivere solo appellandosi alla sua strenua forza di volontà e al suo coraggio. Ma da quel giorno l’unico scopo della sua vita sarà sottrarre i bambini ai loro rapitori e vendicarsi. “Una persona non è fatta per arrendersi. Tutto qui.”
Quarant’anni dopo Granny riceve una visita da Quanah, il nuovo giovane capo dei Comanche, che lei odia profondamente. Quanah sta per consegnarsi alle autorità e rinchiudersi per sempre, insieme al suo popolo sconfitto, in una riserva. Questo gesto, dopo circa 400 anni, segnerebbe la totale resa dei nativi d’America. Ma prima di compiere questo passo, il pellerossa Quanah ha una sola richiesta per la bianca Granny: che lei gli racconti la propria vita e, soprattutto, l’infanzia della nipote a lei più cara, Cynthia Ann, rapita quel fatidico giorno di quaranta anni prima dai Comanche, cresciuta come una vera pellerossa e, soprattutto, madre del capo indiano Quanah. Granny decide di incontrare il ragazzo e per amore della ‘sua’ Cynthia aprirsi a lui. E mentre Granny rievoca l’incredibile storia di quei pionieri che attraversarono i confini del West, il legame tra il suo destino e quello del suo pronipote pellerossa si fa sempre più evidente.
Riuscirà, il racconto di Granny, a unire un uomo e una donna che non hanno più nulla da perdere? Prevarrà il perdono oppure l’aculeo della vendetta?
Questo libro nasce dalla doppia passione di Remo Ceserani e Umberto Eco che, indipendentemente uno dall'altro, hanno catalogato nel corso degli anni i brani sulla nebbia in cui via via si imbattevano: a un certo punto, scoperta la comune mania, hanno deciso di mettere insieme i loro appunti e dar vita a questo libro che antologizza racconti, pagine di romanzo, poesie e canzoni provenienti dall'intera letteratura occidentale, a partire da Omero e Virgilio fino a Gianni Celati e allo stesso Eco. Il tutto in un quadro sistematico che organizza tipologicamente le varie declinazioni di quella che è da considerare senz'altro come una delle più potenti e suggestive metafore letterarie.
«La nebbia è uterina. Ti protegge. Legioni di esseri umani desidererebbero tornare nell'utero (di chiunque, come diceva Woody Allen). La nebbia ti realizza questo sogno impossibile. Ti concede una felicità amniotica. Hai la sensazione che forse un giorno uscirai dalla vagina e dovrai affrontare il mondo, ma per il momento sei salvo. E siccome la nascita è l'inizio del percorso che ti porterà inesorabilmente alla morte, la nebbia è la garanzia (ahimè virtuale) che alla morte forse non perverrai. Basterebbe fermarsi lì. Ma proprio perché non sai dove sei, nella nebbia tendi a muoverti per uscirne (che è stolida follia e folle stupidità). Chi ha ventura di starci, vuole venirne fuori. Per questo tutti gli uomini sono mortali».
Dalla prefazione di Umberto Eco
Vede finalmente la luce, a poco più di trent’anni dalla scomparsa di Vladimir Nabokov, il suo ultimo romanzo incompiuto, a lungo oggetto di insaziabile curiosità da parte di lettori e critici. Sentendo avvicinarsi la fine, nel 1977 lo scrittore raccomandò alla moglie di distruggere le 138 schede manoscritte cui era affidata la prima stesura dell’Originale di Laura qualora non fosse riuscito a completarlo. Véra Nabokov, tuttavia, non ebbe cuore di rispettare tale volontà, e alla sua morte, nel 1991, il peso della scelta ricadde sul figlio Dmitri, che per decenni si è dibattuto nel dubbio se ottemperare o meno alla richiesta. Da ultimo, è prevalsa la decisione di rendere pubblico «un capolavoro embrionale i cui bozzoli di genio cominciavano a trasformarsi in crisalide qua e là sulle sue onnipresenti schede» e che ci immette direttamente nello straordinario laboratorio nabokoviano. Oscuro eppure festante, dominato da un giocoso concetto della morte e da una beffarda visione dei riti mondani, L’originale di Laura ruota intorno a un romanzo nel romanzo, ovvero Laura, di cui è ispiratrice la ventiquattrenne Flora, capriccioso e sensuale alter ego di Lolita. Accanto a lei, fra i molti personaggi delineati con rapidi tratti folgoranti, spicca il marito Philip Wild, neurologo e docente di fama sedotto da nuovi esperimenti sulle cellule nervose capaci di indurre una graduale ancorché reversibile estinzione del corpo. Nabokov gioca qui, per l’ultima volta, ad affacciarsi sull’abisso dell’ineluttabile fine, ma come sempre trasforma la morte in un atto revocabile che, giunto l’istante fatale, evapora nelle magie dell’illusionismo. Gioca con la strenua aspirazione a dominare la vita e l’immortalità per poi rivelarci che «morire è divertente». Gioca con un labirinto di specchi dove i confini tra realtà e finzione sono aboliti e ciascuno si ritrova a vagare da solo.
"La confessione" descrive compiutamente la crisi spirituale che caratterizza gli ultimi anni della vita di Lev Tolstoj. Abbandonata la vita più mondana, l'autore si ritira nella villa di Jasnaja Poljana, si dedica a lavorare la terra, predica la non violenza. La rivoluzione, il cambiamento del mondo è l'insegnamento attualissimo di Tolstoj non può che avvenire per mezzo del lavoro manuale e individuale. Le rivoluzioni delle parole e dei proclami non sono che inganni.
Venezia, Anno Domini 1569. Un boato scuote la notte, il cielo è rosso e grava sulla laguna: è l'Arsenale che va a fuoco, si apre la caccia al colpevole. Un agente della Serenissima fugge verso oriente, smarrito, «l'anima rigirata come un paio di brache». Costantinopoli sarà l'approdo. Sulla vetta della potenza ottomana conoscerà Giuseppe Nasi, nemico e spauracchio d'Europa, potente giudeo che dal Bosforo lancia una sfida al mondo e a due millenni di oppressione.
Intanto, ai confini dell'impero, un altro uomo si mette in viaggio, per l'ultimo appuntamento con la Storia. Porta al collo una moneta, ricordo del Regno dei Folli.
Echi di rivolte, intrighi, scontri di civiltà. Nuove macchine scatenano forze inattese, incalzano il tempo e lo fanno sbandare. Nicosia, Famagosta, Lepanto: uomini e navi corrono verso lo scontro finale.
Wu Ming, il collettivo di scrittori che al suo esordio si firmò «Luther Blissett», torna nel mondo del suo primo romanzo.
«Molti credono che il Signore disperse le lingue degli uomini per punirli, ma è l'esatto contrario. Egli vide che l'uniformità li rendeva superbi, dediti a imprese tanto eccessive quanto inutili. Allora si rese conto che l'umanità aveva bisogno di un correttivo e ci fece dono delle differenze.
Cosí i muratori, di costumi e fedi diversi, devono trovare un modus vivendi che consenta di portare a termine l'edificio».
«- Tu hai mai avuto un sogno, Manuel?
La risposta uscí come un singulto.
- Sí, non essere giudeo. Fu mio padre ad avverarlo.
- Ti capisco piú di quanto non immagini. Perché rimanere deboli quando si può diventare forti?
Ma io non mi accontento di trasformare me stesso. Voglio trasformare un popolo. Da debole a forte. Da diviso a unito. Da ospite mal sopportato a padrone del proprio destino. Da fuggiasco a protettore di chi fugge. Sono millecinquecento anni che scappiamo. È giunto il momento di fermarci».
A quindici anni, Mariam non è mai stata a Herat. Dalla sua kolba di legno in cima alla collina, osserva i minareti in lontananza e attende con ansia l’arrivo del giovedì, il giorno in cui il padre le fa visita e le parla di poeti e giardini meravigliosi, di razzi che atterrano sulla luna e dei film che proietta nel suo cinema. Mariam vorrebbe avere le ali per raggiungere la casa di Herat, dove il padre non la porterà mai perché lei è una harami, una bastarda, e sarebbe un’umiliazione per le sue tre mogli e i dieci figli legittimi ospitarla sotto lo stesso tetto. Vorrebbe anche andare a scuola, ma sarebbe inutile, le dice sua madre, come lucidare una sputacchiera. L’unica cosa che deve imparare è la sopportazione.
Laila è nata a Kabul la notte della rivoluzione, nell’aprile del 1978. Aveva solo due anni quando i suoi fratelli si sono arruolati nella jihad. Per questo, il giorno del funerale, le è difficile piangere. Per Laila, il vero fratello è Tariq, il bambino dei vicini, che ha perso una gamba su una mina antiuomo ma sa difenderla dai dispetti dei coetanei; il compagno di giochi che le insegna le parolacce in pashto e ogni sera le dà la buonanotte con segnali luminosi dalla finestra.
Mariam e Laila non potrebbero essere più diverse, ma la guerra le farà incontrare in modo imprevedibile. Dall’intreccio di due destini, una storia indimenticabile che ripercorre la Storia di un paese in cerca di pace, dove l’amicizia e l’amore sembrano ancora l’unica salvezza.
Nei villaggi delle Alpujarras è esploso il grido della ribellione. Stanchi di ingiustizie e umiliazioni, i moriscos si battono contro i cristiani che li hanno costretti alla conversione. È il 1568. Tra i rivoltosi musulmani spicca un ragazzo di quattordici anni dagli occhi incredibilmente azzurri. Il suo nome è Hernando. Nato da un vile atto di brutalità – la madre morisca fu stuprata da un prete cristiano –, il giovane dal sangue misto subisce il rifiuto della sua gente. La rivolta è la sua occasione di riscatto: grazie alla sua generosità e al coraggio, conquista la stima di compagni più o meno potenti. Ma c’è anche chi, mosso dall’invidia, trama contro di lui. E quando nell’inferno degli scontri conosce Fatima, una ragazzina dagli immensi occhi neri a mandorla che porta un neonato in braccio, deve fare di tutto per impedire al patrigno di sottrargliela.
Inizia così la lunga storia d’amore tra Fatima ed Hernando, un amore ostacolato da mille traversie e scandito da un continuo perdersi e ritrovarsi. Ma con l’immagine della mamma bambina impressa nella memoria, Hernando continuerà a lottare per il proprio destino e quello del suo popolo. Anche quando si affaccerà nella sua vita la giovane cattolica Isabel...
L’aderenza alla realtà vissuta, pur nell’iperbole di ogni delitto e nella minuziosa originalità di ogni personaggio; i dialoghi tra Petra e il suo vice Garzón, miscela audace di umori tra Cervantes e Almodóvar; la complicità del lettore con tutte le complicazioni private dei due eroi; una comicità mai ovvia; un persistente disincanto; l’autentico, non ricercato, umorismo della battuta capace di arricchire di senso le situazioni narrative: sono gli elementi riconosciuti del successo dei polizieschi alla Petra Delicado.
Morti di carta
La vittima è un giornalista televisivo: uno di quei mezzi ricattatori che grufolano negli scandali. Petra e Fermín brancolano verso una soluzione che gli sfugge come in un labirinto di specchi che riflettono volti noti e deformati, mentre i cadaveri si moltiplicano.
Serpenti nel Paradiso
Al Paradís vive il jet set. Il borgo è insolito per un’inchiesta di Petra e il vice Fermín, abituati a delitti in contesti più andanti. Devono trovare l’assassino del giovane avvocato «primo in tutto», padre di una famiglia felice e senza ombra; cercano in quel paradiso il nido del serpente.
Un bastimento carico di riso
È morto un barbone, ucciso con ai piedi un paio di scarpe inspiegabilmente eleganti. Chi se ne incaricherebbe, se non Petra e Garzón? Lei si sente attirata da quel mondo parallelo di diseredati, «un territorio che esisteva anche dentro di lei»; Garzón la segue: e trovano altri mondi criminali.
Alicia Giménez-Bartlett (Almansa, 1951) vive a Barcellona. È la creatrice della serie dell’ispettrice Petra Delicado: un grande successo di lettori e considerata dai critici un’originale invenzione di poliziesco latino. Questo è il secondo volume della raccolta completa dei suoi gialli. Sellerio ha pubblicato gli altri suoi romanzi: Una stanza tutta per gli altri (2003, 2009), Vita sentimentale di un camionista (2004), Segreta Penelope (2006) e Giorni d’amore e inganno (2008). Nel 2006 ha vinto il Premio Piemonte Grinzane Noir e il Premio La Baccante nato nell’ambito del Women’s Fiction Festival di Matera. Nel 2008 il Raymond Chandler Award del Courmayeur Noir in Festival.
Maj Sjöwall e Per Wahlöö, compagni nella vita oltre che romanzieri a quattro mani, con la serie di Martin Beck hanno probabilmente inventato il poliziesco procedurale; e certamente sono i caposcuola del giallo alla scandinava. Ma la squadra del commissario, da dietro le cui spalle vediamo svolgersi l’inchiesta, gonfiarsi i casi, risolversi gli intrighi, inscena anche una specie di commedia umana dei vividi anni Sessanta.
Roseanna
Roseanna, la tipica ragazza anni Sessanta, colorata, vivace, piena di attese. Il bel cadavere nudo viene trovato in una diga. A distanza di mesi, Martin Beck, malinconico e sentimentalmente frustrato detective, metodico e lento, non può dimenticare; un brandello di indizio gli permette di risalire il filo della traccia. Non senza un groppo in gola.
L’uomo che andò in fumo
Un uomo è andato in fumo, è sparito. Un giornalista. Svanito a Budapest e c’è il rischio dell’incidente diplomatico. A Martin Beck è affidata un’indagine discreta; che completa in coppia con un insperato alter ego ungherese. Nulla è quel che sembrava, solo una certa infelicità.
L’uomo al balcone
Gelidi omicidi di bambine adescate nei parchi. Pochi testimoni hanno notato, talvolta, che parlavano con un uomo capace di carpirne la fiducia. Su questo lavora, quasi rumina, con i suoi uomini, Martin Beck, il commissario che «non pensa mai». Mentre le loro difficili esistenze riflettono l’opaca inquietudine della società del benessere.
Maj Sjöwall (1935) e Per Wahlöö (1926-1975), compagni nella vita, hanno scritto la serie dei dieci romanzi di Martin Beck: tradotta in una trentina di lingue e soggetto di film e telefilm. Una collaborazione con un fine anche politico: la denuncia della società neocapitalistica svedese. Questa casa editrice, che ha già pubblicato nella collana «La memoria» Roseanna (2005), Un assassino di troppo (2005), L’uomo al balcone (2006), Il poliziotto che ride (2007), L’autopompa fantasma (2008), Omicidio al Savoy (2008) e L’uomo che andò in fumo (2009), riproporrà tutta la serie.
La mamma e il papà sono sul punto di separarsi, la nonna è a letto malata, il fratello minore si conferma l’essere più fastidioso del pianeta, e come se non bastasse quell’odiosa di Danyelle fa di tutto per soffiarle il ragazzo che le piace. È questa la dura realtà con cui deve fare i conti tutti i giorni Joana Dalva, tredicenne in piena crisi adolescenziale che sogna di diventare scrittrice.
Un giorno, però, la scrittura prende il sopravvento e Joana scopre di possedere un dono straordinario: dopo aver terminato un racconto sulla sua quasi omonima Giovanna d’Arco in cui la santa patrona di Francia si salva dal rogo, Joana si rende conto di aver provocato una vera e propria rivoluzione nella Storia. Ma se un suo racconto può plasmare il passato, perché non usare le parole per cambiare il presente? È qui che inizia, tra le pagine scritte e la vita reale, un avvincente gioco a rincorrersi che presto le sfuggirà di mano.
Per partecipare a questo gioco non occorre avere l’età di Joana Dalva né l’esuberanza dell’adolescenza: il romanzo Sérgio Klein toccherà il cuore di tutti coloro che credono, o non hanno ancora iniziato a credere, nell’energia creatrice delle parole.
Mancano poche settimane a Natale e al municipio di Stoccolma si festeggiano i premi Nobel. Inviata della Stampa della Sera, anche Annika Bengtzon partecipa al ricevimento, e mentre segue gli ospiti nelle danze, da cronista a caccia di notizie diventa testimone chiave di omicidio: la musica è interrotta da due spari, e il premio per la medicina cade a terra seguito dalla donna che balla con lui, colpita al cuore. Costretta al silenzio stampa, Annika non si lascia intimidire e decide di seguire comunque le indagini e scavare nel mondo della ricerca scientifica, dominato da logiche dettate da gelosia, avidità e sete di potere. La sua inchiesta la porta sulle tracce di un misterioso testamento lasciato da Alfred Nobel, l'uomo che desiderava promuovere la pace e il progresso, e che, per ironia della sorte, con il suo lascito sembra continuare a suscitare rivalità, violenza e morte. Sempre attenta alle dinamiche sociali, Liza Marklund è tra gli autori di genere scandinavi più affermati e di successo, la sua eroina Annika Bengtzon una vera protagonista dei nostri giorni. Professionista ambiziosa che non cede a compromessi, Annika è anche una madre e una donna, che come tutti diventa insicura quando si muove nel territorio confuso dell'amore e dell'amicizia e mostra i suoi lati più teneri e umani nella sua lotta alla ricerca di un equilibrio tra lavoro e famiglia. «Scrivo di qualcuno con cui posso identificarmi, che dà il massimo in tutto quello che fa, che ha difetti e debolezze ma è credibile. Scrivo di qualcuno che ha sconfitto l'ansia e la paura con cui io continuo a combattere e che mi fa credere che tutto è possibile» Liza Marklund