Straordinario inedito della più famosa filosofa del Novecento. Maria Zambrano sa far pensare, emozionando, perché la sua filosofia parte proprio dall'immane e poetico compito di affrontare la vita stessa. In questo libro Zambrano lo fa mettendosi in gioco in prima persona con un'autobiografia filosofica dei sentimenti. Il tempo, l'amore, la compassione, l'incredibile capacità di patire insieme che ci rende umani, sono i temi centrali del libro. Il tempo è quello della nascita, quello del racconto, dell'amore e della pietà. L'amore è il sentimento che apre le strade più di ogni altro: un sentimento che apre la possibilità di ogni possibile, che dischiude ogni trascendenza, che apre la via all'infinito. Tutto questo si unisce nella vita di ognuno di noi, per dare l'avvio a un'autobiografia che sarà sempre unica e singolare, al di là di ogni forzatura, di ogni rigidità, di ogni impassibilità. L'amore come apertura al futuro che non sarà mai ripetizione dello stesso, dell'uguale, ma sempre novità e cambiamento. Per riscrivere ogni giorno una nuova pagina in una nuova storia, fatta di uomini, donne, figure nuove e passate, che si alternano nella nostra vita, sulla fantastica giostra dei sentimenti
L’autentico insegnamento soteriologico di questa «comunicazione divina diretta», è la perplessità, ciò che non significa in alcun modo caos oppure disordine bensì stupore innanzi all’essenzialità dell’attestazione dell’unicità dell’Essere divino. Uno stato mistico, pertanto, ed al contempo una stazione iniziatica, a cui questo stesso soliloquio divino educa: il monologo dell’anima assorbita nella contemplazione segue, infatti, precise regole di pedagogia spirituale, prefiggendosi di favorire, conformemente alle capacità personali di ognuno, il riconoscimento e la corretta interpretazione dello stupore di fronte alla perplessità suscitata dall’antinomicità della Realtà divina
Utilizzando le tre Etiche di Aristotele, Arianna Fermani in questo volume offre un’ulteriore prova dell’attualità di un pensiero nel quale, costitutivamente, ogni realtà «si dice in molti modi».
Gli schemi che l’intelligenza umana elabora devono essere molteplici e vanno tenuti, per quanto possibile, “aperti”. Questo determina la presenza di “figure” concettuali intrinsecamente polimorfe; figure che il Filosofo attraversa lasciando che i loro profili, pur nella loro diversità e, talvolta, persino nella loro incompatibilità, convivano.
La verifica di questa metodologia passa attraverso l’approfondimento di alcune nozioni-chiave, dando vita a un percorso innovativo che si snoda lungo tre linee fondamentali: vizio e virtù, passione e, infine, vita buona.
Un invito alla lettura di Aristotele che introduce alla sua Etica. Attraverso l'analisi filologica dei testi si mostra l'attualità di Aristotele nelle problematiche moderne.
ARIANNA FERMANI è ricercatrice in Storia della filosofia antica presso l’Università di Macerata. Ha tradotto integralmente le Etiche di Aristotele (Aristotele, Le tre Etiche, Bompiani, Milano 2008). Ha pubblicato Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele (Eum, Macerata 2006) e numerosi contributi, dedicati all’etica aristotelica, all’interno di miscellanee e riviste nazionali e internazionali. Ha anche curato: Dio e il divino nella filosofia greca, in «Humanitas» (Morcelliana, Brescia 2005); Platone e Aristotele. Dialettica e logica (Morcelliana, Brescia 2008); Attività e virtù. Anima e corpo in Aristotele (Vita e Pensiero, Milano 2009)
In costante colloquio con i classici del pensiero occidentale, la riflessione filosofica di Giulio Severino si distingue per l’originale capacità di coniugare l’esame filologico e analitico dei testi con l’impegno teoretico, ponendo in dialogo le dottrine del passato con i problemi del nostro tempo.
Con il titolo La filosofia e la vita, i curatori evidenziano il progetto severiniano di radicare la ragione e il senso in quelle dimensioni più elementari e immediate dell’esistenza (l’inconscio, il corpo, il tempo ecc.) che la metafisica ha variamente trascurato e rimosso. Il tema fondamentale intorno a cui ruotano i saggi qui presentati è l’idea dell’assenza di Dio come condizione insuperabile dell’uomo contemporaneo, una mancanza strutturale e non epocale che Severino invita a tenere ferma nel suo carattere enigmatico e a interrogare filosoficamente, senza la nostalgia per la fede antica e senza peraltro il minimo cedimento al nichilismo.
La lezione più preziosa che emerge dall’itinerario speculativo di Giulio Severino è la convinzione che la filosofia sia una bussola indispensabile per orientare responsabilmente l’uomo in un mondo privo di garanzie metafisiche ultime.
I saggi di Giulio Severino mostrano il suo peculiare atteggiamento filosofico, che individua il razionale nelle dimensioni più elementari e immediate dell'esistenza (l'inconscio, il corpo, il tempo, ecc..), che la metafisica ha per lo più rimosso. In particolare, i saggi dedicati a Hegel rappresentano uno dei capitoli più innovativi della letteratura hegeliana degli ultimi trent'anni.
GIULIO SEVERINO (1936-2000), studioso di Hegel formatosi alla scuola di Alberto Caracciolo, ha insegnato Filosofia della storia all’Università di Genova. Tra le sue pubblicazioni: Origine e figure del processo teogonico in Feuerbach (1972); Principi e modificazioni della mente in Vico (1981); Inconscio e malattia mentale in Hegel (1983).
I curatori:
PAOLO BECCHI insegna Filosofia pratica e Bioetica presso l’Università di Genova. Tra le sue più recenti pubblicazioni per Morcelliana: Hans Jonas. Un profilo (2010); Kant diverso. Pena, natura e dignità (2011); Il testamento biologico (2011).
FRANCESCA MICHELINI è ricercatrice presso la Humboldt Universität zu Berlin e l’Università di Kassel. Tra le sue pubblicazioni: Sostanza e assoluto. La funzione di Spinoza nella Logica di Hegel (2004); Il vivente e la mancanza. Scritti sulla teleologia (2011).
ROBERTO MORANI è dottore di ricerca in Filosofia e autore dei volumi: Soggetto e modernità. Hegel, Nietzsche, Heidegger interpreti di Cartesio (2007); Essere, fondamento, abisso. Heidegger e la questione del nulla (2010)
Spesso nel corso della storia del pensiero occidentale la filosofia politica ha dovuto misurarsi con transizioni, più o meno epocali, che essa stessa ha contribuito a interpretare concettualmente e a governare sul piano pratico. Ogni mutamento sfida le costellazioni teoriche consolidate e reclama processi di ripensamento e rivisitazione, che fanno della filosofia un campo di esplorazione in continuo movimento. Il volume offre al lettore una sintetica mappatura delle diverse teorie che hanno contribuito in modo originale al comune processo di inquadramento e lettura delle complesse e ambigue dinamiche che connotano l'attualità. In particolare l'attenzione è rivolta al tema del passaggio dalla forma-Stato di tipo nazional-territoriale a nuovi modelli di regolazione e organizzazione tuttora in divenire: si tratta di trovare forme alternative di organizzazione statale che possano restituire funzionalità e capacità organizzativa a una rinnovata forma-Stato? oppure si rende necessario promuovere un modello di integrazione sopra lo Stato, in cui la collaborazione tra apparati statali possa sopperire alla loro crescente incapacità di regolazione e controllo? o non si dovrebbe piuttosto considerare chiusa la parentesi statale, per immaginare modalità inedite di organizzazione della società, la quale si dimostra sempre più capace di funzionare senza lo Stato
La realtà è socialmente costruita e infinitamente manipolabile e la verità è una nozione inutile: questo è stato il pensiero "postmoderno" che ha dominato negli ultimi decenni. Una visione della vita per cui non esistono fatti ma solo interpretazioni, possibilmente da non prendere troppo sul serio, e un approccio al mondo per cui basta desiderare e siamo in grado di cambiare la nostra vita. Il postmoderno ha pervaso ogni ambito della quotidianità, dalla politica, all'arte, alla letteratura, alla dipendenza dal linguaggio delle fiction e dei reality, così finto da sembrare vero. Maurizio Ferraris critica senza riserve questo modo di pensare e propone di tornare alla realtà dei fatti e delle verità appurabili, che esistono e sono evidenti, inemendabili. In questo "Manifesto del nuovo realismo", che sintetizza gli ultimi venti anni del suo lavoro, indaga su alcuni concetti chiave degli ultimi decenni: emancipazione, autorità, illuminismo, decostruzione, critica, realtà, verità. Ferraris sostiene con forza il ruolo della filosofia per argomentare e difendere il realismo filosofico. "L'umanità deve salvarsi, e occorrono il sapere, la verità e la realtà. Non accettarli, come hanno fatto il postmoderno filosofico e il populismo politico, significa seguire l'alternativa, sempre possibile, che propone il Grande Inquisitore; seguire la via del miracolo, del mistero e dell'autorità"
Forse in nessun campo del sapere umano come nella filosofia tornare agli inizi significa conquistare le vette più alte: in greco vengono poste le domande che sono fondamento e destino del pensiero occidentale, quindi si tentano le risposte, si elabora il metodo. Raccontare la filosofia antica e tardo-antica attraverso le parole dei suoi protagonisti vale a riscoprire la forza propulsiva che per due millenni si è propagata e ancora vive nel pensiero delle origini. Ricondurvi il lettore significa guidarlo a osservare il costituirsi del linguaggio filosofico. La citazione sistematica dei testi antichi, alla quale è connessa la questione delle fonti attraverso cui quelle dottrine ci sono giunte, fa da criterio dell'opera. Essa ricerca un equilibrio tra pensiero arcaico, filosofia di età classica, e filosofie di età ellenistica e tardo-antica. Il volume guarda con attenzione al parallelo procedere del pensiero scientifico e alla conquista di una sua progressiva autonomia, seguendo l'evolversi del rapporto, fecondo e problematico, tra mondo greco e mondo orientale, secondo quella nozione di "aree di contatto" che in anni recenti le testimonianze hanno permesso di ridefinire.
Rappresenta un vero e proprio manuale pratico e pragmatico circa l'utilizzazione della scienza e della sapienza filosofica.
C'era una volta la metafisica, regina delle scienze. Dall'alto della sua autorevolezza dispensava principi e metodo, certezze scientifiche e rigore di ricerca alle altre scienze. Il suo primato durò a lungo: da Platone a Aristotele, dall'età ellenistica e romana fino al medioevo, raggiungendo il suo vertice con l'actus essendi di Tommaso d'Aquino. Ma già con Tommaso, e soprattutto con Enrico di Gand, Scoto, Ockham, iniziarono i problemi. Prima è emerso il soggetto con la mutevolezza della soggettività, che si oppone alla certezza immutabile dell'oggetto. E questo emergere del soggetto, attraverso il cogito ergo sum di Cartesio, ha condotto ad affermare la soggettività assoluta dell'Idealismo. Poi, è stata la crisi dell'oggetto della metafisica: la caduta degli astri dalla fisica ha segnato la mancanza di un ponte per il passaggio "scientifico" dalla fisica alla metafisica e a Dio. Mentre la riduzione dell'essere da predicato reale a pensato-possibile (Kant, Leibniz, Wolff...) toglieva alla metafisica la concretezza di scienza del reale, riducendola a parte della logica. Heidegger ha riproposto con forza il problema dell'essere nei termini radicali della differenza ontologica - cioè della distinzione tra l'essere e l'essente -, e come problema dell'uomo e per l'uomo, da ripensare passando attraverso l'uomo: analisi ontologica della soggettività, che a sua volta permettesse di rifondare la metafisica (ontologia fondamentale).
Considerato a ragione uno dei filosofi più rilevanti del Novecento, Franz Rosenzweig ha assunto un rilievo fondamentale nel pensiero ebraico, contribuendo a ridisegnare la fisionomia identitaria del popolo ebraico, dopo l'orrore di Auschwitz.
Le sue riflessioni infatti risultano anche determinanti per la riflessione sul senso della storia a cui è stata consegnata una promessa eterna, sul significato dell'alterità come sfida dialogica e interreligiosa, sulla dimensione della formazione delle nuove generazioni, quale necessario supporto all'umanesimo europeo. Inoltre tali elementi, lungi dall'essere situati soltanto all'interno dell'ebraismo contemporaneo, sono in grado di offrire notevoli provocazioni alla filosofia occidentale, estenuata da logiche cognitive, svuotar da riferimenti valoriali e gettata su derive nichiliste
La metafisica sembra non trovare casa nelle coscienze e nelle società moderne, che la vedono come un’eterea e inattuale sovrastruttura sovrapposta alla sola vera realtà, quella di cui le scienze ci forniscono una conoscenza sempre più esatta. L’unica base reale, si dice, è la natura, sulla quale è possibile edificare un’unica struttura: la società umana, cioè l’associazione degli uomini secondo regole che permettano lo sviluppo di tutti. Il resto è solo sovrastruttura di pensiero.
Questa convinzione diffusa, che si vanta di aver fatto pulizia di tanto sterile ragionare, viene qui affrontata e smentita dal filosofo francese Rémi Brague, il quale dimostra che al contrario, oggi più che mai, l’uomo è, per dirla con Schopenhauer, un «animale metafisico». Argo - menta infatti Brague che tanto la conoscenza della natura quanto l’organizzazione degli uomini in una società vitale e vivibile presuppongono l’esistenza stessa della collettività umana. E questa esistenza non è affatto scontata, soprattutto oggi che gli uomini sono sempre più in grado, per le conquiste scientifiche e tecnologiche, di scegliere di essere o di non essere, e anche di dare o non dare la vita.
Perché si deve volere l’essere? Perché scegliere la vita, il benessere sociale, il progresso? Queste sono, senza dubbio, domande cruciali per l’uomo moderno, e la risposta ad esse è squisitamente metafisica. Amare la vita, battersi per un’esistenza equa vuol dire, alla radice, pensare che l’essere è bene: l’equazione metafisica fondamentale. Da essa, ci ricorda Brague, dipende tutto quello che più ci sta a cuore: la costruzione di una società giusta, la conservazione di un ambiente vivibile, la volontà di dare la vita. In una parola, la convinzione che il futuro dell’umanità vale la pena.
La metafisica, dunque, non è affatto un’inutile costruzione ormai in disarmo, ma la radice stessa delle nostre scelte concrete; non una sovrastruttura superflua, ma l’infrastruttura indispensabile alla continuazione della vita degli uomini.
Queste le illuminanti parole con cui Brague chiude il suo scritto: «In un dialogo di Platone un personaggio dice che l’uomo è come un albero capovolto le cui radici stanno in alto. Forse come lontana eco di quest’immagine di Platone, più di due millenni dopo di lui, Antoine de Rivarol ha scritto: “Ogni Stato è un vascello misterioso le cui ancore sono in cielo”. Poco importa il contesto, in questo caso una difesa degli antichi regimi e del principio religioso della loro legittimazione. Oltrepas - siamo il limite dell’ambito politico. E arrischiamo: per ogni uomo, le ancore sono nel cielo. È in alto che bisogna cercare quello che ci salva dal naufragio».
Rémi Brague, membro dell’Institut de France, insegna Filosofia alla Sorbona di Parigi e all’Università Ludwig-Maximilians di Monaco. Autore di numerosi saggi, in Italia è noto soprattutto per il volume Il futuro dell’Occidente. Nel modello romano la salvezza dell’Europa (1998). Tra le altre sue opere tradotte: La saggezza del mondo. Storia dell’esperienza umana dell’universo (2005); Il Dio dei cristiani: l’unico Dio? (2009)
Oggetto di un acceso dibattito fin dall'antichità, il significato ed il ruolo della "phantasia" secondo Aristotele continuano ad appassionare e a dividere anche i commentatori contemporanei, come attesta il gran numero di contributi dedicati al problema. Dopo un'analisi preliminare dello status quaestionis e una rassegna delle principali posizioni interpretative emerse, questo testo si propone di rispondere alle domande relative all'esistenza o meno di una teoria unificata, alle complesse ricadute sia nella psicologia, sia in altri settori del sistema aristotelico e della successiva ricerca peripatetica, e, soprattutto, alla possibilità di attribuire un valore essenzialmente epistemologico alla "phantasia" attraverso il ricorso allo schema della metafora per analogia. Questo permetterebbe d'intendere l'accezione di base della "phantasia", vale a dire quella collegata al "presentarsi" alla percezione, come non equivoca, bensì fondante gli altri differenti utilizzi, coinvolti nell'ambito della rappresentazione mentale e del pensiero; così, l'uso improprio o cosiddetto "metaforico" sarebbe il risultato di un trasferimento di significato da quello proprio o "non metaforico". Una nozione della "phantasia" che "si dice in molti sensi" diventa dunque il punto di partenza della ricomposizione all'interno di una cornice teorica coerente ed organica, sulla base di un significato fondamentale comune. Prefazione di Marcello Zanatta