Tutti concordano circa l'importanza di Platone, ma quasi nessuno è pronto a riconoscere che la conoscenza che ne abbiamo è mediata da secoli di interpretazioni, dibattiti, polemiche. Platone non era un platonico, ha osservato Hans-Georg Gadamer: ma per capire Platone non si può prescindere dai suoi eredi. Colmando per la prima volta questa lacuna, il libro di Mauro Bonazzi propone una ricostruzione dettagliata della storia millenaria del platonismo antico, dalla fondazione dell'Academia nel 380 a.C. alla chiusura della scuola neoplatonica di Atene nel 529 d.C., quando gli ultimi neoplatonici si avventurarono oltre i confini dell'impero romano, nella speranza illusoria di trovare in Persia un governo sensibile alla filosofia. Di contro allo stereotipo di una filosofia perenne che si trasmette identica di generazione in generazione, il lettore scoprirà cosi che a caratterizzare il platonismo antico fu invece una discorde polifonia: una volontà instancabile di seguire le pieghe dei dialoghi e una capacità inesausta di trovare nuove soluzioni nel tentativo di dare conto della ricchezza di Platone in tutta la sua complessità. Da Speusippo a Cicerone, da Cameade a Plotino, scettiche o metafisiche, politiche o epistemologiche, le vicende del platonismo costituiscono una pagina memorabile nel lungo cammino della filosofia antica.
L'Umanesimo non è una rottura brusca, non è un totale cambio di paradigma tra Medioevo e Rinascimento. Piuttosto una nuova concezione del rapporto uomo-Dio-mondo, con l'uomo centro attivo, protagonista e misura di tutte le cose. Tra Quattrocento e Cinquecento inizia una nuova era, un'epoca di rinnovamento nella quale prende forma la convinzione che l'ordine del mondo non sia immutabile e che tocchi all'uomo trasformarlo. Il Seicento, secolo di disordine e di instabilità, di inquietudine e di spaesamento, secolo della scienza e delle grandi utopie, guida gli uomini negli anni d'oro della cultura europea. Ed è nel Settecento che la luce della ragione, il filtro spietato dell'investigazione critica si impone a ogni livello di indagine. A cerniera tra due secoli, il pensiero di Kant: non tanto nel senso che propone "una nuova visione rispetto ai problemi discussi dalla filosofia che lo ha preceduto, ma perché influenza radicalmente il corso della filosofia successiva. I grandi dibattiti filosofici del XIX secolo potranno essere intesi solo come risposta a Kant". Ci accompagnano in questo viaggio veri e propri giganti del pensiero filosofico, delle scienze e delle arti.
"Questo volume raccoglie le ricerche, che ho condotte con prospettiva unitaria, anche se in occasioni diverse, intorno ai problemi della responsabilità e della comunità umana. Il nesso tra i due problemi è assai stretto. La responsabilità è sempre e soltanto individuale, ma il suo orizzonte operativo è sempre e soltanto la relazione sociale. Reciprocamente, la relazione sociale è concreta e positiva solo come limite di possibilità delle responsabilità individuali. L'appello alla responsabilità conta tra le esigenze più urgenti della età contemporanea ed emerge fondamentalmente a tre distinti livelli: metafisico, scientifico e politico." (l'autore). Premessa di Giuseppe Cantillo.
Nell’Ottocento era comune considerare il bello, il buono e il vero come i valori costitutivi della scienza. Oggi si sta facendo strada la tesi che i fatti e i valori siano connessi e che la bellezza sia una proprietà richiesta dagli scienziati per accettare una teoria. In termini più generali si afferma che il bello, il buono e il vero sono tutti elementi essenziali per comprendere le attività che caratterizzano la scienza. Si tratta di questioni importanti culturalmente e politicamente. Capirle sino in fondo significa comprendere la natura della scienza e il suo ruolo nel mondo d’oggi.
La trascrizione del primo anno dei corsi di Michel Foucault al Collège de France e la loro pubblicazione segna una svolta nella "recezione" del suo pensiero. Non si potrà più leggerlo come prima. Si scopre qui la profonda unità del progetto che va da "Sorvegliare e punire", del 1975, dominato dai temi del potere e della norma, a "L'uso dei piaceri" e "La cura di sé", del 1984, consacrati all'etica della soggettività. Queste lezioni ricordano che il lavoro di Foucault non ha mai avuto che un oggetto: la verità. La verità nasce nei conflitti, nella concorrenza delle pretese che trovano nei rituali del giudizio in tribunale la possibilità di stabilire chi ha ragione e chi ha torto. Nella Grecia antica si succedono e si confrontano differenti forme giuridiche, differenti maniere di distinguere il vero dal falso, nelle quali si inseriranno ben presto le contese dei sofisti e dei filosofi. Sofocle, nell'Edipo re, mette in scena la potenza propria delle forme del dire il vero, le quali istituiscono il potere come lo destituiscono. Contro Freud, che farà dell'Edipo il dramma dell'inconfessabile desiderio sessuale, Michel Foucault dimostra che la tragedia articola i rapporti tra la verità, il potere e il diritto.
La filosofia di Emanuele Severino, pur con tutte le problematicità, rappresenta un momento speculativo tra i più significativi dell'attuale filosofia italiana. La scelta di pubblicare una monografia su un filosofo ancora vivente testimonia della vitalità del fare filosofia in Italia, non solo per il panorama nazionale ma anche per quello internazionale. L'analisi di Giulio Goggi percorre l'intero sviluppo del discorso filosofico severiano, fino agli scritti più recenti. Emanuele Severino, nel confermare la specificità della lettura scrive, che "constatando come anche illustri studiosi e pensatori non colgano a volte il senso di quel discorso, tanto più spicca la capacità di Goggi di muoversi con estrema competenza nelle complesse articolazioni che conducono da "La struttura originaria" (1958).
Cercare l'uomo significa per Francesco Calvo porsi la domanda fondamentale: "Che cosa comporta la dottrina aristotelica della sostanza per la realtà dell'essere umano?". Essa nasce da una posizione metafisica, secondo cui l'"opera propria" dell'uomo deve essere ricompresa nell'ordine dell'essere sostanziale. Di conseguenza "l'etica si radica nell'antropologia e questa nella metafisica". Contrariamente al pensiero oggi corrente, infatti, l'etica non è un sapere autosufficiente e neppure, semplicemente, una prassi: la questione del bene umano deve convalidarsi nel confronto sul bene in sé. Platone, raccogliendo l'eredità socratica, ne elabora la fondazione oggettiva nei termini ontologici della sua dottrina del Bene, proponendo come vie dell'ascesa ad esso i due metodi della dialettica e dell'erotica. Ma è solo Aristotele che porta a compimento l'impresa, ricostruendo la figura integrale del bene come reciprocità del proprio e del comune. Con lui il bene, senza perdere il suo carattere di oggettività, risulta pienamente radicato nella sfera dell'interesse proprio. Questo però è possibile solo attraverso un "procedimento articolato" dell'analisi che, muovendo dalla domanda sull'uomo, attraversi gli stadi della psicologia (dottrina dell'anima e delle sue funzioni) e della metafisica. "In questo modo è "tra" Socrate e Platone scrisse Paul Ricoeur nella prefazione - che Francesco Calvo ha esercitato quell'arte della tessitura in cui senz'altro eccelle".
Ogni proposta morale si concentra sui modi in cui i soggetti si relazionano e sulle norme che dovrebbero regolare tali relazioni. Rimane, però, spesso inevasa la domanda circa l'esistenza di una pluralità di soggetti a cui applicare l'analisi etica e morale. In questo volume, si studiano le vie entro cui storicamente si è messa in discussione una certezza in cui inevitabilmente confidiamo: l'esistenza degli altri. Ci si chiederà: io sono il solo soggetto? Posso affermare che tutto ciò che vedo e tutti coloro con cui mi relaziono esistono, o sono imprigionato dentro a una convinzione tanto illegittima quanto inevadibile? Il percorso, che si seguirà per tentare l'impresa di affermare l'intersoggettività, sarà quello dell'argomentazione elenctica: via di "mostrazione" dialettica, dialogica, ma - qualcuno sostiene - non necessariamente inclusa in un contesto intersoggettivo. Sfruttando lo stesso élenchos, si cercherà di mostrare che l'intersoggettività non è solo l'ambiente fattuale in cui ogni affermazione e ogni presa di posizione scettica avvengono, ma è anche loro presupposto pragmatico strutturale e, per questo, necessario.
Fino a poco tempo fa tutte le società hanno considerato il matrimonio come una partnership coniugale, l'unione tra un uomo e una donna. "Che cos'è il matrimonio?" identifica e difende le ragioni di questo consenso storico e mostra come ridefinire il matrimonio civile non solo non sia necessario, ma anche irragionevole e contrario al bene comune. Pubblicato originariamente sull'"Harvard Journal of Law and Public Policy" (2010), è divenuto rapidamente uno dei saggi più citati nel mondo delle scienze sociali. Da allora è stato oggetto di dibattito di studiosi e attivisti in tutto il mondo come la più formidabile difesa della tradizione. Gli autori propongono una critica penetrante all'idea che l'uguaglianza richieda di ridefinire il matrimonio. Essi difendono il principio che il matrimonio, come unione di corpo e spirito ordinato alla vita famigliare, lega l'uomo e la donna come marito e moglie, e mostrano come esso sia non un bene privato e individuale, ma un bene pubblico capace di garantire spazi di libertà ai cittadini. Senza il concorso di questi fattori costitutivi del matrimonio, si finisce per riconoscere le più svariate forme di unione sessuale, erodendo l'istituto matrimoniale e danneggiando seriamente il bene comune sociale.
"Vi è un tipo di terribile cui il poeta ha accesso solo e unicamente tramite il disgustoso. È il terribile della fame." Non stupisce, alla luce di questa affermazione di Gotthold Ephraim Lessing, che l'estetica si soffermi su quanto di più disgustoso ci sia nel cibarsi. Nell'estetica moderna, il disgusto si annida nella definizione stessa del gusto e si appella a quell'oscurità in cui è stato relegato in quanto senso inferiore. L'elemento carnale, corporeo, materiale, inevitabilmente legato al gusto e al piacere estetico, è dunque anche ciò che genera il rovesciamento del piacere in dispiacere, del gusto in disgusto. La possibilità di un'estetica del disgusto, di una forma di godimento al tempo stesso attraente e repulsiva dell'arte, si rivela una sfida particolarmente stringente per la riflessione filosofica, che ha dedicato negli ultimi anni un'attenzione sempre maggiore a questa sensazione. Il carattere innovativo dei saggi raccolti in questo volume consiste proprio nel restituire una definizione del rapporto tra gusto e disgusto a cavallo tra estetica e alimentazione.
La favola delle api di Mandeville è il punto di partenza del percorso del libro, un percorso che affronta i problemi posti dalla rivoluzione industriale, dal capitalismo moderno e dalla economia del mercato globalizzato. L'indagine va alle radici della formazione dell'individuo sociale, disegnandone la genealogia attraverso le strutture del sacrificio, del dono e dello scambio, in base alla relazione tra denaro, sapere e scrittura e alla conseguente, fatale, mercificazione dei rapporti umani. Il senso del "viver bene" (il buen vivir degli Indios) pone altresì una domanda urgente su possibili economie e politiche alternative o correttive rispetto all'oggi prevalente via del neoliberismo capitalistico: una correzione di rotta che si proponga la salvaguardia della biodiversità e delle differenti tradizioni culturali del pianeta, e soprattutto e in generale l'affermazione dei diritti della vita "della nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa".
Hegel, l'imponente filosofo, snodo fondamentale del pensiero dell'Occidente, ha sempre suscitato le mie resistenze. Non tanto per un'ostilità, quanto perché il suo formidabile sistema si annunciava come la fine di un'epoca. Ma Hegel spariglia sempre le categorie in cui i suoi lettori intendono rinchiuderlo. Il suo pensiero non si offre con facilità, ma invita il lettore a confrontarsi non tanto con ciò che Hegel afferma, quanto con il percorso in base a cui Hegel arriva a dire ciò che dice. Questo è il metodo che il filosofo propone: confrontarsi con una verità che è generata, che si fa in una storia; il prima e il poi non costituiscono una semplice successione, ma un movimento di cui non dominiamo completamente l'origine e la legge. Intorno a questa idea di verità lavorano le pagine di questo libro, suscitate dalla commozione per lo stile hegeliano, in quanto esso non riposa sulla presunzione di un possesso cosciente di sé e della realtà, ma sul riconoscimento di una lacerazione e di un negativo come strutture dell'io. La lettura di Hegel è anch'essa presa in questo spiazzamento continuo, in questa storia non lineare: alterità all'opera nel pensiero, processo che si genera nello spazio di un probabilmente.