Scrive Hans-Georg Gadamer in "Erziehung ist sich erziehen": "Per iniziare, sostengo: l'educazione (Erziehung) è educare se stessi (sich erziehen), la formazione (Bildung) è formare se stessi (sich bilden)". "Educare è educarsi", contiene il testo di una bellissima e lucida conferenza tenuta dal filosofo di Heidelberg all'età di novantanove anni. In essa vengono anzitutto trattati due grandi temi: la formazione e l'educazione dell'uomo. Il successo editoriale in Germania è dipeso anche dal linguaggio colloquiale con cui sono affrontati i problemi relativi alla scuola, all'infanzia, alla gioventù, all'essere genitori, allo studio delle lingue, ma anzitutto ai modi dell'educare. Gadamer li declina partendo dal fatto che, per diventare degli esseri "educati", occorre imparare a "educare-se-stessi" prima ancora che la famiglia, la scuola e la società contribuiscano a farlo. Il volume è curato da Mario Gennari, che ne è anche il traduttore. Alla sua Postfazione segue una Glossa di Giancarla Sola.
Si presentano qui le quattro dissertazioni latine di Immanuel Kant: "De igne" (1755), "Nova dilucidatio" (1755), "Monadologia physica" (1756) e "De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis" (1770). Si tratta di quattro tesi accademiche che segnano le tappe fondamentali della carriera universitaria di Kant a Königsberg. L'interesse filosofico di questi scritti, largamente riconosciuto dagli studiosi, emerge dall'ampio raggio di motivi che percorrono trasversalmente tutto il pensiero precritico e saranno centrali anche nella fase critica: la riflessione sulla scienza, i temi metafisici, la costante preoccupazione per il problema del metodo. Fondamentale è anche il loro posto nella storia del latino moderno, in un momento storico caratterizzato dal cruciale passaggio, nella filosofia tedesca, dalla lingua dotta al volgare. Il lessico latino delle quattro dissertazioni costituisce infatti una base testuale imprescindibile per uno studio diacronico della formazione dell'apparato terminologico e concettuale della filosofia kantiana. Nell'edizione si dà altresì notizia della riscoperta, da parte del curatore, di una delle due tirature dell'edizione originale della "Dissertatio", ritenuta perduta da tutti gli editori moderni successivamente all'edizione dell'Akademie di Erich Adickes.
Lo scontro fra Giorgio da Trebisonda e Bessarione visse il suo primo atto con la polemica sul "De natura et arte", all'incirca databile agli anni tra il 1455 e il 1458. In discussione era l'interpretazione di un passaggio chiave tratto dal secondo libro della "Fisica" aristotelica, che implicava concetti decisivi come la provvidenza divina e che era già stato dibattuto da due prospettive diverse dal maestro di Bessarione Giorgio Gemisto Pletone, nel suo "De Differentiis", e poi da Teodoro Gaza in un breve scritto oggi perduto. Ma oltre a un problema esegetico, si affacciava nello scontro tra Giorgio e Bessarione anche il confronto generale con la tradizione filosofica precedente, padri della Chiesa e maestri della Scolastica compresi. E altrettanto evidente appare la differenza tra le motivazioni e le strategie dei contendenti: la violenta invettiva di Giorgio era mirata a sostenere la sua talora "fideistica" sovrapposizione di aristotelismo e cristianesimo attraverso la diffamazione del platonismo; per difendere Platone dagli attacchi, Bessarione invece era stato spinto ad assumere in modo ponderato una posizione concordista che in precedenza non pareva aver considerato. Così facendo, il cardinale rinunciava alle più estreme istanze antiaristoteliche della polemica suscitata in origine dal suo maestro, ma questo non gli impediva di affermare la superiore religiosità e compiutezza del platonismo. Prefazione di John Monfasanti e Introduzione di Eva del Soldato.
Con l'Etica di Spinoza, la filosofia occidentale ha raggiunto un vertice, che resta e resterà forse per sempre ineguagliabile. Giorgio Colli ha scritto che il libro "ha la fermezza di un tempio in un paesaggio disabitato". Non sembra rivolgersi a nessuno, non chiede di essere ascoltato e, tuttavia, "offre molto di più di quanto ci si possa ragionevolmente aspettare da un libro: indica la via della felicità". Di questo libro essenziale, non sono oggi disponibili in Italia edizioni col testo latino a fronte. Con questa edizione bilingue, che riproduce il testo dell'edizione critica di Gebhardt, si intende offrire un sussidio insostituibile per chiunque voglia misurarsi con il capolavoro di colui che Deleuze ha definito "il principe dei filosofi".
"Poiché non esiste città che non sia una comunità e non c'è comunità che non sussista in vista di un certo bene, è indubbio che tutte vanno in cerca di un qualche bene, ma soprattutto lo perseguirà la comunità che, per essere sovrana fra tutte e comprensiva di tutte, cercherà il bene che sovrasta tutti gli altri. Si tratta di quella che noi chiamiamo città o comunità politica." Le prime righe della "Politica" di Aristotele testimoniano del suo tentativo di fondare l'analisi politica sui valori etici. Tutto il libro è, in effetti, una riflessione attenta sulle forme di governo della Grecia classica. "Aristotele pensa alla democrazia" sostiene Richard Kraut, "come a un sistema che miri alla libertà, e non solamente all'uguaglianza", e un aspetto della libertà della quale i democratici devono tener conto consiste nell'equa suddivisione del potere ("vale a dire: governare ed essere governati a propria volta"). Ma un altro aspetto è per Aristotele ancora più interessante: la libertà di vivere la propria vita così come uno la sceglie. Introduzioni di Luciano Canfora e Richard Kraut. Commento di Trevor J. Saunders e Richard Robinson.
Difficile collocare criticamente la figura di Walter Benjamin: la sua originalità di pensatore e la sua opera - saggi teoretici, aforismi, impressioni di viaggio, ricordi - trascendono la storia, la filosofia o la letteratura nella loro accezione corrente. Questa antologia, pubblicata per la prima volta nel 1962 da Einaudi, raccoglie i testi più rappresentativi, dai saggi filosofici "Per la critica della violenza", "Destino e carattere", "Sulla facoltà mimetica", a quelli più letterari su Baudelaire, Kafka e Goethe: tutti scritti rivelatori di una particolare forma di saggismo in cui le "affermazioni sulla vita" non possono prescindere dall'analisi di un determinato "paesaggio culturale" (il saggio sulle "Affinità elettive" diventa un trattato sull'amore e sul matrimonio nell'epoca moderna); e che mettono in luce le risorse di un laboratorio di pensiero tra i più fervidi e originali del Novecento.
Che cos'è in gioco nella letteratura, qual è il "fuoco" che il "racconto" ha perduto e cerca a ogni costo di ritrovare? E che cos'è la pietra filosofale che gli scrittori, con altrettanto accanimento che gli alchimisti, si sforzano di produrre nella loro fornace di parole? E che cosa, in ogni atto di creazione, ostinatamente resiste alla creazione e conferisce in questo modo all'opera la sua forza e la sua grazia? E perché la parabola è il modello segreto di ogni narrazione? Come in "Profanazioni" e "Nudità", Giorgio Agamben ha raccolto qui in dieci saggi i motivi più urgenti e attuali della sua ricerca. Come sempre nei suoi scritti, l'ostinata interrogazione del "mistero" della letteratura, perseguita anche nei suoi aspetti più materiali (la trasformazione della lettura nel passaggio dal libro allo schermo), s'intreccia con una meditazione sull'altro, più oscuro, "mistero" della modernità, etico e politico, questa volta.
Per conoscere Emmanuel Lévinas e imparare ad amarlo, niente è più utile di queste interviste radiofoniche con Philippe Nemo, attraverso cui il pensiero di uno dei maggiori filosofi francesi dell'era contemporanea, uno dei pochi ad aver cercato la formulazione di una morale strutturata per il tempo presente, ci viene rivelato nella massima chiarezza. Lévinas, senza cedere al compromesso del mezzo radiofonico, si è impegnato qui a semplificare la forma espressiva dei suoi argomenti per raggiungere un pubblico più vasto che non quello della stretta cerchia di addetti ai lavori. Il corpo teorico di "Etica e Infinito" è in certo modo rivoluzionario, ci rivela un autore che, nonostante una reputazione di ermetico, è ansioso di farsi capire. I temi toccati da Lévinas sono i più disparati, la Bibbia, Heidegger, il compito della filosofia, i doveri dei filosofi. Le "digressioni controllate", le provocazioni, i paradossi che ci costringe a considerare rappresentano uno dei più stimolanti luoghi del pensiero che il Novecento abbia saputo produrre. Nelle ultime righe di questo testo il filosofo evoca "l'amore del prossimo". Esso equivale a una "vita veramente umana", che "non può rimanere soddisfatta nella sua uguaglianza all'essere, vita priva di inquietudine", senza che "si risvegli all'altro", senza "disubriacarsi", perché per l'umano "l'essere non è mai - contrariamente a quanto affermano tante tradizioni rassicuranti - la sua propria ragion d'essere".
Nel decennale della morte di Derrida, Jaca Book prosegue la pubblicazione dei seminari, dopo i due volumi de "La bestia e il sovrano". In questo primo volume dedicato alla pena di morte sono messi in gioco, nell'imminenza di una sanzione irreversibile, i concetti problematici di sovranità, eccezione e crudeltà. Il libro percorre quattro figure paradigmatiche (Gesù, Socrate, Hallâj, Giovanna d'Arco) e testi canonici: la Bibbia, Camus, Beccaria, Locke, Kant, Hugo, e anche testi giuridici successivi alla seconda guerra mondiale. Cuore pulsante del seminario è riconoscere che le tesi filosofiche e giuridiche a favore o contro la pena di morte si sono appellate agli stessi principi: "non è sufficiente decostruire la morte stessa". Si fa strada l'ipotesi che proprio la pena di morte obblighi a rimettere in discussione gli umanesimi filosofici, politici, teologici, economici che sostengono la nostra epoca.
A centodieci anni dalla morte, il volume intende contribuire nuovamente a diffondere l'opera di Antonio Labriola: fra i maggiori filosofi italiani e primo originale interprete della filosofia di Marx in Italia. Attento alla rielaborazione hegeliana di Spaventa, Labriola approfondisce in maniera originale alcuni classici della filosofia e i testi della scuola herbartiana. La "Prolusione" prelude alla lettura di Marx culminata con la scrittura dei "Saggi". La raccolta offre un quadro esaustivo della produzione teorica del filosofo, ripubblicando in unico volume testi da tempo non più disponibili, l'insieme dei "Saggi sulla concezione materialistica della storia" nella forma voluta dall'autore per l'ultima edizione apparsa in vita (1902), oltre a "Inediti giovanili", e ad altri inediti che si ripubblicano nel testo stabilito da Croce e Dal Pane. L'ampio saggio di Luca Basile costituisce un'introduzione compiuta al pensiero dell'autore. Le note e gli apparati a cura di Lorenzo Steardo accompagnano anche il lettore meno esperto nella lettura dei testi. La bibliografia ripropone, integrandolo, il ricco repertorio di opere labrioliane e studi critici curato da Nicola Siciliani de Cumis alla fine degli anni Settanta. Postfazione di Biagio De Giovanni.
"Le tribolazioni del filosofare" è il viaggio allegorico di un Poeta attraverso il buio inferno dell'intelletto, nella spirale dell'errore, alla ricerca di una via d'uscita dalla condizione di stallo e confusione diffusa nella quale sarebbe precipitato. Non sfuggiranno le affinità, sul piano dello stile come su quello dell'architettura complessiva, tra questo poema filosofico e l'"Inferno" di Dante: là Virgilio, qui Socrate; là i peccati, qui gli errori; là i golosi, gli iracondi, gli eretici, i traditori della patria o del partito, qui gli scettici, i dualisti, i realisti ingenui, i fedeli al linguaggio e ai miti facili. Le annotazioni dei curatori ricostruiscono analogie e divergenze con dovizia di dettagli, ma quale sia esattamente il nesso tra le due opere non è dato di sapere. Quel che è certo è che questa "comedia metaphysica" è una testimonianza autentica. È il poema di una vita. È il viaggio ispirato e ispiratore di chi appetisce all'Amore per la Sapienza e, prima ancora, alla purificazione dell'intelletto: quella purificazione liberatoria di cui in fin dei conti abbisogniamo tutti, anche noi, soprattutto noi, filosofi di nascita ma non di costumi, in questa buia contemporaneità.
Questo testo degli anni Cinquanta è l'unica trattazione sistematica dell'ontologia mai scritta da Ricoeur. Attraverso Platone e Aristotele, affrontando di petto alcuni dei maggiori problemi della tradizione speculativa occidentale, il filosofo francese forgia l'apparato concettuale che sarà poi alla base del suo progetto ermeneutico. Il Corso segna così un punto di non ritorno, superato il quale l'indagine ontologica diventa irrimediabilmente frammentaria, difficile, senza centro.