"La volontà di potenza", l'opera a cui Nietzsche avrebbe consegnato la forma ultima del suo pensiero, è in realtà il risultato di un'estrazione dal lascito del filosofo di alcuni scritti arbitrariamente accorpati in un volume. Essi hanno ritrovato la loro originale collocazione grazie al lavoro filologico svolto da Giorgio Colli e Mazzino Montinari che giunsero alla pubblicazione integrale e in sequenza cronologica di quelli che oggi si presentano come "Frammenti postumi". Questa nuova edizione, prevista in venti volumi, mette a disposizione i testi stabiliti da Colli e Montinari, che vengono presentati nella loro autonomia, interamente riveduti e aggiornati ai recenti risultati della ricerca e con alcuni inediti venuti successivamente alla luce.
"La volontà di potenza", l'opera a cui Nietzsche avrebbe consegnato la forma ultima del suo pensiero, è in realtà il risultato di un'estrazione dal lascito del filosofo di alcuni scritti arbitrariamente accorpati in un volume. Essi hanno ritrovato la loro originale collocazione grazie al lavoro filologico svolto da Giorgio Colli e Mazzino Montinari che giunsero alla pubblicazione integrale e in sequenza cronologica di quelli che oggi si presentano come "Frammenti postumi". Questa nuova edizione, prevista in venti volumi, mette a disposizione i testi stabiliti da Colli e Montinari, che vengono presentati nella loro autonomia, interamente riveduti e aggiornati ai recenti risultati della ricerca e con alcuni inediti venuti successivamente alla luce.
Nel 1971 Jankélévitch risponde alla polemica scoppiata in Francia sulla prescrizione dei crimini hitleriani: il perdono è impossibile perché "è morto nei campi della morte". Interrogando il testo di Jankélévitch, Derrida si chiede se non sia proprio a partire da questa impossibilità che si possa e si debba pensare il perdono. Il perdono, se ce n'è, non perdona che l'imperdonabile: solo a partire da un'etica al di là dell'etica, un'etica iperbolica che interrompa ogni economia dell'espiazione, della redenzione e del pentimento, si può scorgere l'apertura di un pensiero del perdono degno di questo nome.
La riflessione etica è davvero separabile da un’indagine sulla natura dell’uomo, come ritiene gran parte della filosofia morale contemporanea? Non è questa l’opinione di Charles Taylor, uno dei più importanti filosofi contemporanei: in questo volume, che riunisce per la prima volta in traduzione italiana un’ampia selezione degli scritti di etica e di antropologia filosofica, lo studioso canadese chiarisce come i due piani del discorso – quello etico e quello antropologico – si intersechino e si combinino costantemente e fruttuosamente. Da questo intento principale trae origine una riflessione ricca di spunti e temi in cui trovano spazio questioni filosofiche fondamentali come la comprensione dell’agire umano, la definizione di persona, la relazione tra emozioni e ragione e tra la natura umana e il linguaggio, le aporie dello scetticismo e del relativismo etico, la diversità dei beni umani, i limiti dell’utilitarismo e delle etiche procedurali. Il tutto in uno stile di pensiero originale che unisce il rigore dell’approccio analitico e l’ampiezza di orizzonti della filosofia continentale.
Charles Taylor (Montreal, 1931) è professore di Filosofia e Diritto alla Northwestern University di Chicago e professore emerito di Filosofia e Scienze politiche alla McGill University di Montreal. È autore, tra l’altro, di Hegel e la filosofia moderna (Bologna 1984), Radici dell’io (Milano 1993), Il disagio della modernità (Roma-Bari 1994), La modernità della religione (Roma 2004), Modern Social Imaginaries (Durham 2004).
Paolo Costa (Milano, 1966) è dottore di ricerca in Antropologia filosofica. Svolge attività di ricerca presso l’Istituto per le Scienze Religiose di Trento. È autore, tra l’altro, di Verso un’ontologia dell’umano. Antropologia filosofica e filosofia politica in Charles Taylor (Milano 2001) e ha curato l’edizione italiana di La modernità della religione.
Il cofanetto raccoglie, in tre volumi, i testi fondamentali della filosofia kantiana. La tradizione esegetica ha riservato una grande considerazione alle prime due "Critiche", per la loro importanza in ambito conoscitivo e pratico e per la loro incidenza e ripresa nella filosofia contemporanea. Solo ultimamente la "Critica del giudizio" è apparsa in tutta la sua importanza come coronamento del sistema kantiano del sapere, che raggiunge, proprio nella scansione e nella connessione della trilogia, la sua completa organicità.
I "Tria Opuscola" procliani appartengono al gruppo di opere considerate sistematiche: si tratta di scritti di tenore teoretico dove Proclo espone, in modo organico, la propria sintesi filosofica elaborata, secondo la più tipica vocazione speculativa del neoplatonismo, come esplicitazione e spiegazione del verbo di Platone. I "Tria Opuscola" rappresentano un'articolata sintesi della metafisica neoplatonica e greco-antica tracciata a partire da una prospettiva etico-religiosa; i trattati sulla Provvidenza, la Libertà e il Male costituiscono la risposta della sapienza del mondo greco a quelle questioni esistenziali sul male e il destino dell'uomo alle quali le pratiche magiche e i nuovi culti, come il cristianesimo, stavano dando risposte inedite.
Prendendo le distanze da quello che ormai viene considerato come un semplice dato di fatto, ovvero la caratterizzazione della nostra epoca come quella dell'immagine, il libro di Petrosino si interroga sulla visione, proponendo una teoria generale dello sguardo come momento e luogo in cui il soggetto risponde e reagisce, drammaticamente, all'avanzare della luce. Quello della visione è uno dei grandi temi della tradizione filosofica occidentale del cui dibattito viene dato conto nella seconda parte del volume che raccoglie letture di autori che a vario titolo si sono confrontati con il tema della luce e/o con quello dello sguardo: Cusano, Hegel, Schopenhauer, Lacan, Goux, Dufrenne, Snell, Levinas, Debray ed altri.
Il volume raccoglie diversi saggi che approfondiscono i temi affrontati nella "Banalità del male" e nella "Vita della mente", e in primo luogo la responsabilità personale durante le dittature. Il lungo saggio centrale è una riflessione sull'inadeguatezza delle tradizionali verità morali come metro per giudicare ciò di cui siamo capaci, e riconsidera la nostra capacità di distinguere il bene dal male, il morale dall'immorale. Nella seconda parte i temi teorici vengono applicati nel particolare con alcune considerazioni sull'integrazione razziale, il Watergate, la sconfitta in Vietnam, i processi ai criminali nazisti.
"A causa della debolezza della natura umana si attribuisce, in genere, soverchia importanza a ciò che siamo nell'opinione altrui": profondo osservatore delle contraddizioni dell'animo umano, Arthur Schopenhauer analizza in queste pagine i tanti modi in cui i giudizi della società condizionano i nostri comportamenti. Con l'acutezza che lo contraddistingue, Schopenhauer sottolinea l'assurdità di molti dei pareri che spesso ci portano a modificare la nostra condotta e mostra come imparare a vivere guardando prima di tutto al nostro benessere, per condurre un'esistenza appagante e ritrovare così la serenità interiore.
"La vita della mente" è una delle opere più importanti di Hannah Arendt, quella che avrebbe dovuto costituire il suo testamento filosofico, l'epilogo delle sue riflessioni. Rimasta incompiuta per la morte dell'autrice, l'opera è poi stata pubblicata a cura dell'amica Mary McCarty. Il libro avrebbe dovuto comporsi di tre parti, ciascuna dedicata alle facoltà spirituali fondamentali: pensare, volere, giudicare. La Arendt poté terminare le prime due; della terza rimane un abbozzo pubblicato in appendice.
I due saggi riuniti in questo volume sono le versioni rivedute di due articoli apparsi rispettivamente nel 1967 e nel 1963 e inseriti da Hannah Arendt nell'edizione americana del 1968 di "Tra passato e futuro". Il primo, scritto in occasione delle polemiche seguite alla pubblicazione del reportage sul processo Eichmann, investe quella caratteristica essenziale del totalitarismo che consiste nel fabbricare verità. Il secondo propone alcune riflessioni sul significato e sulle implicazioni della ricerca scientifica e della tecnica in un quadro teorico che è quello delineato in "Vita activa".
Richard Price (1723-1791) è una delle figure più rilevanti e ingiustamente trascurate nella storia dell'etica moderna. La "Review of the Principal Questions in Morals, edita originariamente nel 1758 e qui tradotta in italiano, costituisce uno dei più importanti trattati di etica del 1700. Polemizzando con l'egoismo, il volontarismo e soprattutto con il sentimentalismo di Hutcheson e Hume, Price sostiene che le proprietà morali sono irriducibili a proprietà naturali e sono oggetto di una percezione immediata dell'intelletto, senza che si debba ricorrere a un peculiare senso morale. L'edizione è a cura di Massimo Reichlin, professore associato presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.