Ciò che costituisce il maggior pregio dell'opera di Corrado Gnerre è la presentazione, sintetica ed efficace, dell'Illuminismo, come epoca storica e come categoria concettuale, per arrivare ad una comprensione in profondità del fenomeno che squarcia il velo di tanti miti e luoghi comuni.
La tesi dell'autore che la filosofia come causa del fatto storico debba intendersi non solo come pura formulazione teoretica, bensì anche come pensiero incarnato, cioè come pensiero che, vissuto, causa un tipo di esistenza particolare, anche contraddittoria con le sue premesse. In questo senso, le pagine che seguono debbono essere lette come contributo ad una "teoria integrale", intendendo con questo termine una storia in cui possa essere compresa buona parte dell'umano: il pensiero dell'uomo, la sua esistenza, il suo agire politico.
L'opera è significativa espressione di una nuova storiografia che nasce sulle rovine della cultura moderna e riscopre i principi perennemente fecondi del pensiero cristiano.
Tradizionalmente si ritiene che ciò che siamo giustificati a credere dipenda solo da criteri di tipo conoscitivo, ovvero debba riguardare soltanto la qualità della nostra evidenza. Ma cosa succede quando le nostre credenze, pur sostenute da buone prove, rischiano di ledere gli altri, discriminandoli o facendo loro un torto? Alcuni filosofi e alcune filosofe hanno iniziato a chiedersi se sia giusto che anche le considerazioni morali influenzino i nostri doveri epistemici. In altre parole: quando le nostre credenze rischiano di fare male a qualcuno, l'etica ha il diritto di invadere il campo della filosofia della conoscenza e modificarne gli standard normativi? L'intersezione tra questioni morali e questioni epistemologiche è diventata così un ampio terreno da esplorare. Attraverso esempi di bruciante attualità, questo volume offre la prima indagine in lingua italiana sull'etica degli sconfinamenti normativi, fornendo una solida base teorica per chiunque sia interessato a comprendere meglio le intersezioni tra norme etiche e norme epistemiche. Dopo aver ricostruito le fondamenta dell'etica della credenza e la disputa tra evidenzialisti e pragmatisti, il volume discute criticamente le principali caratterizzazioni delle credenze che fanno male presenti sul mercato e propone una chiave di lettura originale e innovativa del conflitto tra norme morali e norme epistemiche.
Josep Maria Esquirol è il filosofo della prossimità. Contro il narcisismo e il solipsismo di questi nostri tempi disorientati e confusi, costruisce una riflessione sull'uomo e il mondo utilizzando, come gli è consueto, una metafora efficace: siamo tutti piccole verticalità che restano in piedi l'una grazie all'altra e nel calore della prossimità e della non-indifferenza riusciamo ad avvertire l'infinito che ci attraversa e a trovare la maniera di rispondergli generando legami e senso. Una cosa può avere un ruolo fondamentale nel coltivare questa attitudine alla risposta, nel sostenere ognuno nel proprio cammino verso una vita matura e feconda: è la scuola, intesa non solo come istituzione, ma, nel suo registro più ampio, come luogo in cui si allena l'attenzione alle cose del mondo e agli altri, un luogo dedicato all'insegnare e all'educare nel loro senso originario di indicare, mostrare e aiutare qualcuno a trovare in sé risorse e modi. È questa la 'scuola dell'anima', un'educazione alla cura che può esercitarsi nel luogo concreto di un edificio scolastico, ma che può anche durare tutta la vita, con la porta aperta per tutti e per ogni età. «Andare a scuola. Trovarvi qualcuno che ti aiuta a vedere che puoi, che sei origine. Prestare attenzione alle cose e cominciare a scorgere la profondità del mondo. Diventare manovale del mondo. Sostenere gli altri. Persistere e rispondere alla rivelazione del mondo e della vita. E trovare, così, la buona maniera di vivere».
Al suo inizio e fino alla sua "esplosione", il mondo di internet ha promesso di dare un volto nuovo all'intera umanità: al suo modo di comunicare, di presentarsi al mondo, di informarsi e farsi conoscere, ma anche al suo modo di decidere, di investire, di governare. Oggi assistiamo a una fase di profonda crisi di tutto questo: la moderna "torre di Babele" un mondo unito in cui tutti parlano la stessa lingua e si sentono allo stesso titolo cittadini sta per crollare, per generare una probabile nuova dispersione dei linguaggi e delle esperienze. Gli scricchiolii del grande edificio sono diversi: non riusciamo più a stare in rete con i nostri corpi e le nostre voci, non sappiamo più chi siamo e cosa pensiamo, non possiamo fidarci di nulla, né compiere un passo verso un nuovo progresso, di cui abbiamo smarrito ogni mappa. Il crollo è inevitabile. Cosa ci attende all'indomani del clamoroso evento? Un mondo connesso, ma forse non più così dipendente, che non conosciamo ancora.
Un intreccio "fatale" quello tra Moda e Morte, di cui l'autrice ci sprona a cercare le radici e le influenze nella nostra vita contemporanea. Fino a un passato non troppo lontano i soggetti macabri - nell'arte, nel discorso religioso e nella realtà quotidiana - erano esperienza comune, dando profondità e sostanza alla vita di ogni giorno con il loro memento mori. Dalle Danze macabre medievali alle moderne raffigurazioni horror nei film, nei comics, negli anime e nella moda, l'autrice ricostruisce l'evolvere della concezione della morte nel suo legame profondo con il corpo, in tensione dinamica tra sostanza e apparenza. In questo processo anche il look ha giocato un ruolo fondamentale, seguendo una riflessione presente già nella Bibbia e nei Padri della Chiesa, dove l'abito è simbolo di ambiguità e illusione, ma anche specchio verace della nostra natura mortale.
Al centro delle riflessioni di Copeland, Dalferth e Orsi c'è la questione del destino della civiltà occidentale moderna e le ragioni per confidare ancora nella sua capacità di rispondere alle sfide epocali che ci attendono dietro l'angolo, prima di tutto quella del cambiamento climatico. I tre testi raccolti hanno il respiro ampio, il senso dell'urgenza, l'ambizione tipica delle grandi orazioni pubbliche, dei bilanci d'epoca.
Lorenzo Albacete è una delle figure più originali e interessanti del panorama culturale americano dei primi anni del nostro secolo. Affronta temi tuttora molto attuali - come la condizione giovanile ,il rapporto tra fede e ragione, la possibilità di una cultura cristiana, l'emergenza educativa, il ruolo della scienza - con uno stile inconfondibile, profonda saggezza, ampia riflessione filosofica e teologica, insieme a un irresistibile senso dell'umorismo. Al centro di tutto c'è sempre il mistero della persona umana, questa combinazione misteriosa di carnalità e di desiderio per l'infinito. Contro tutte le riduzioni ideologiche, Albacete riafferma la libertà umana come capacità di soddisfazione infinita, la cui suprema espressione è il senso religioso. In queste pagine ci guida all'incontro con una serie di figure che hanno testimoniato come una genuina religiosità - radicata nella concretezza dei desideri umani - rappresenti la sfida ultima alle pretese di tutte le forme di potere: da Flannery O'Connor a Walker Percy, da Dostoevskija Elie Wiesel, da Luigi Giussani a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Le loro intuizioni confluiscono nella riflessione personale dell'autore e gli permettono di offrire al lettore giudizi assolutamente inediti, spesso preziosi, sulla situazione culturale contemporanea.
Quale fu il vero volto di Pascal? C'è il Pascal dell'apologetica tradizionale, che si avvale della sua penetrazione delle cose spirituali e cristiane per risolvere problemi moderni - e di contro le interpretazioni dei nostri giorni che ravvisano in lui, sull'immagine di Kierkegaard, un individuo isolato, in lotta contro la Chiesa, che lo fanno precursore di Ivan Karamazov, che lo avvicinano perfino a Nietzsche. Pascal non era un santo. Forse era soltanto un grande cristiano: in questo sta, secondo Guardini, il problema Pascal. Egli era un uomo nel quale la decisione per Cristo e la reale grandezza dal punto di vista mondano stavano in duro conflitto. E proprio quando Pascal lottava e non pensava cristianamente, proprio allora irruppe in lui l'oscurità, proprio allora si è levato il suo demone. Quale fu il suo demone? E perché alla fine Pascal tacque? Scrive Guardini: «È difficile trovare qualcosa di più grande di questo silenzio dopo una simile vita [...] Quando si è compreso questo silenzio, si è compreso Pascal». Romano Guardini (1885-1968) è stato uno dei protagonisti della storia culturale europea del sec. XX. Presso la Morcelliana è in corso di stampa l'Opera Omnia.
Questo breve trattato sull'amore - in tutte le sue accezioni, da quella sensibile alle vette dell'estasi mistica - si colloca nell'ampia analisi compiuta da Josef Pieper sulle virtù, cardinali e teologali. Il testo, che si rifà tanto ai classici della filosofia e della teologia - Platone, Agostino, Tommaso d'Aquino, Francesco di Sales, Karl Barth, Anders Nygren - quanto alla psicanalisi del Novecento, da Freud ai suoi contemporanei americani, fornisce l'impianto architettonico della virtù e, al contempo, della persona umana. è un dialogo con il lettore stesso, che vedrà in queste pagine declinate le varie sfumature dell'amare - carnale, psicologica, spirituale - e insieme un ritratto del suo essere uomo e creatura di Dio. «L'essenza dell'amare e dell'essere amati», scrive nella Prefazione Andrea Aguti, è per Pieper «sentirsi, nonostante tutto, "giustificati nella propria esistenza"».
C'è stato un momento a partire dal quale l'uomo ha iniziato a sviluppare un pensiero spirituale? Esiste uno scopo evolutivo nella religione? E come ha fatto quest'ultima a sopravvivere in un mondo sempre più secolarizzato? Basandosi su ricerche innovative, studi di casi clinici, storie di leader carismatici e di sette misteriose, lo psicologo evoluzionista Robin Dunbar propone un'analisi affascinante sul primo e più forte impulso umano: credere. Esplorando le religioni e le loro numerose derivazioni, comprese le religioni dell'esperienza praticate dalle prime società di cacciatori-raccoglitori, Dunbar sostiene che questo istinto non rappresenta un'anomalia peculiare degli esseri umani ma piuttosto un vantaggio. Essa può giovare alla nostra salute e al nostro benessere individuale, e, cosa ancora più importante, può favorire i legami tra comunità, aiutando a tenere insieme le società più frammentate. Dunbar suggerisce che queste dimensioni potrebbero fornire la base per una teoria generale sul perché e sul come gli esseri umani sono religiosi, contribuendo così a unificare la miriade di filoni che attualmente popola questo campo. Introduzione di Franco Fabbro.
«Conosci te stesso» era l'invito dell'Apollo Delfico, che ha innervato tutta la filosofia greca, ben consapevole che ogni conoscenza è vana senza questa, fondamentale. Percorrendo con coraggio e onestà la via del distacco, la filosofia - "esercizio di morte" come la definisce Platone - giunse così alla scoperta della luce che sempre risplende, non alla superficie, ma nelle profondità dell'anima. È proseguendo coerentemente su questa via che la mistica cristiana, obbedendo al precetto evangelico a rinunciare a sé stessi, completò l'invito delfico aggiungendovi: «e conoscerai te stesso e Dio». Anche se nomina non sunt res, niente infatti si addice meglio che il nome di Dio alla luce che esperimentiamo nell'"uomo interiore", essenza dell'anima nostra, quando essa ha fatto il vuoto di ogni accidentale elemento egoico. È giunto probabilmente il tempo che, dopo la morte di Dio e la conseguente perdita di ogni fondamento, l'uomo contemporaneo, naufrago nel mare magnum di vane teologie e psicologie, recuperi l'esperienza di verità della filosofia antica e della mistica cristiana, ritrovando così la conoscenza essenziale: quella di sé stesso e di Dio.
Che cosa sono io? A questa domanda inaggirabile cerca di rispondere da sempre l’antropologia filosofica, che si caratterizza per una vocazione all’universale: ambisce a dire dell’uomo qualcosa che non possa essere smentito, a prescindere dal tempo e dallo spazio. Da ciò scaturisce la tensione al trascendentale: l’essere umano è essenzialmente pensiero trascendentale e la dignità umana può essere affermata e custodita soltanto se l’infinito che ci definisce riesce a essere stabilmente riconosciuto. Attorno a questo argomento fondamentale si sviluppa il volume, allo scopo di sondarne la verità e di mostrare alcune delle implicazioni etiche che investono la dimensione ultima dell’umano.
Paolo Bettineschi insegna Filosofia morale, Antropologia filosofica e Bioetica presso l’Università degli Studi di Messina. Per Morcelliana ha pubblicato L’oggetto buono dell’Io. Etica e filosofia delle relazioni oggettuali (2022 2ed.); Tecnica, capitalismo, giustizia. Dieci lezioni su Severino (2022); Etica del riparare (2021).