Attendere la rinascita? È questa la proposta che ci viene da Paul Ricoeur in questa scelta di interviste che spaziano dalla bioetica all'ecologia, dalla giustizia al tema, così caro ai filosofi francesi, del possibile ruolo dell'intellettuale nella società contemporanea. Partendo sempre dalla propria esperienza personale - di orfano di entrambi i genitori, di studioso, di prigioniero di guerra, di docente universitario - Ricoeur propone una lettura di alcuni temi caldi del nostro tempo e assieme addita la direzione di una "rinascita" che, ricomponendo i rapporti sociali, porti in sé la risoluzione o almeno una maggiore coscienza dei dilemmi etici sulle grandi tappe della vita e sulla corretta gestione del pianeta Terra. Su questi punti Ricoeur è chiaro. Il rapporto verticale tra istituzioni e individui deve essere integrato da organismi orizzontali, di prossimità, da "cellule del buon consiglio" che non lascino mai solo l'uomo di fronte alla società nel suo complesso. A partire da questo, Ricoeur propone di superare il dualismo tra una giustizia istituzionale, monolitica, e la pluralità delle etiche individuali, costruendo "sfere di giustizia" in cui la visione dell'altro come controparte si trasformi nella "via buona" del riconoscimento e della relazione.
"Sono 2500 anni che la filosofia cerca [...] di dare un senso alla sua ricerca della verità. [...]. Forse questa 'mannaia' che ha diviso in due la storia del mondo, il mondo consacrato e il mondo dissacrato, troverà una soluzione, una sintesi, una terza strada: il filosofo non è qui per dire qual è, ma per sperare e fare in modo che ci sia" (C. Sino)
Quando due grandi spiriti si incontrano, accade qualcosa di particolare; è come se si creasse una campo energetico percepibile fisicamente, persino nelle vibrazioni dell'aria. Anche a distanza di anni, coloro che erano presenti nell'Aula Magna dell'Istituto universitario di Architettura a Venezia il 9 marzo del 2004 ricordano con emozione l'atmosfera tutta particolare creatasi in occasione dell'incontro fra Raimon Panikkar ed Emanuele Severino. I due giganti del pensiero contemporaneo mettono a confronto Oriente e Occidente per capire se possono collaborare alla ricerca di una possibile realtà ultima. Dall'incontro emergono due elementi di convergenza: l'insoddisfazione radicale nei confronti della visione dominante del mondo e la convinzione che tutto sia eterno. Ma anche l'irriducibile differenza dei rispettivi punti di vista: per Severino la follia consiste nella fede del divenire altro del mondo, che trova la sua estrema realizzazione nella tecnica, mentre Panikkar pensa che il nostro compito non sia risolvere l'enigma del mondo bensì imparare a vivere in esso. Così Oriente e Occidente, pur faticando a comprendersi, non cessano di interrogarsi l'un l'altro.
"Ce una ragione culturale per cui una storia della filosofia inizia dai Greci. È stato il pensiero greco a formare il modo di pensare del mondo occidentale e solo comprendendo che cosa avessero pensato i Greci noi possiamo capire come abbiamo continuato a pensare negli ultimi tre millenni circa. Anche se tutto il pensiero occidentale fosse sbagliato, occorrerebbe conoscerlo per capire da dove veniamo e che cosa siamo". Inizia dai presocratici "La filosofia e le sue storie" perché "se, come dirà poi Aristotele, la filosofia nasce da un atto di meraviglia di fronte al mistero delle cose che ci circondano, da atti di meraviglia nascono le dottrine di Talete, di Anassimandro e di Anassimene". Il viaggio prosegue nel pensiero antico, greco, latino, cristiano, medievale, fino all'ultima tappa nei primi anni del Trecento, generosi di novità. "Nova è la musica, moderni i seguaci del pensiero di Guglielmo di Ockham, nova è la pittura di Cimabue e Giotto. I maestri percorrono l'Europa e, in una lingua comune, insegnano le loro conclusioni nelle università di Parigi, Oxford, Bologna, Erfurt. Cresce il bisogno di filosofia e il sapere esce anche dalle aule universitarie per aprirsi alle novità e alle esigenze della società".
La fede cristiana è intellettualmente accettabile? Anche per una persona istruita e intelligente che vive nel XXI secolo, con tutto ciò che è accaduto negli ultimi quattro o cinquecento anni? Non vi è qualcosa di folle e di naïf o forse di stupido e irresponsabile o persino di vagamente patologico nel mantenere una simile credenza? È la domanda di fondo di questo libro. Alvin Plantinga, celebre epistemologo e filosofo della religione, avanza la nozione di "garanzia" e sostiene che la fede può considerarsi autentica conoscenza. Ma, appunto, può: non è infatti cosa che si possa dimostrare, se è vero che la fede è innanzitutto (anche se non solo) opera di Dio. L'autore sostiene che una simile dimostrazione andrebbe oltre le competenze della filosofia, il cui compito principale, in questo ambito, è invece quello di confutare le obiezioni e di superare gli ostacoli alla fede cristiana.
Che cos'è l'uomo? Che rapporto c'è tra uomo e mondo? Come si giustifica la pretesa di universalità della nostra conoscenza? Interpretare il mondo o cambiarlo? A queste domande - e a innumerevoli altre - da due millenni la filosofia cerca di dare una risposta. Questo volume ripercorre l'affascinante cammino di questa ricerca, snodandosi lungo la storia del pensiero filosofico, dalle sue origini nell'antica Grecia fino ai mutamenti della nostra epoca. Scritto con un linguaggio chiaro e semplice, rende accessibili anche le più intricate complessità dei sistemi di pensiero, e ci fa scoprire tutti i filosofi e tutte le informazioni fondamentali sui concetti chiave, le correnti, le scuole e i movimenti filosofici.
Alle radici della storia dell'Occidente, in concetti come azione, volontà, potenza, si trova l'alienazione più profonda della verità, ossia l'estremo disfarsi della verità: nel senso in cui ci si libera di una ricchezza rimanendo impoveriti. A questo principio cruciale della filosofia di Emanuele Severino è dedicato questo libro che, parlando di arte, cristianesimo, politica, diritto, economia, mostra in azione l'essenza del nichilismo, il più potente dei meccanismi dell'errare. "Quando si parla di "nichilismo"" scrive l'autore "si intende per lo più il crollo dei valori tradizionali. Inoltre, solitamente, il nichilismo è una crisi soltanto descritta, ossia è presentato come un fatto che accade, ma che sarebbe potuto o potrebbe non accadere." Queste pagine ci esortano invece a prestare ascolto alla spinta che ha provocato l'inevitabile accadere della resa al nulla. Da Dante e Leopardi fino allo stato-azienda e ai governi tecnici, la riflessione di Severino svela il meccanismo oscuro che culmina nel rovesciamento del mezzo in scopo. Il risultato è un'analisi che porta allo scoperto come lo "scambio delle parti" derivi dall'origine di ogni alienazione del destino della verità e che dimostra - con nuovi scorci e riferimenti - come "la malattia nascosta 'il culmine dell'errare' sia la persuasione che le cose siano nulla, e il viverle come un nulla".
Nonostante il suo attuale predominio sociale, la concezione "realistica" è destinata a mostrare la propria debolezza concettuale rispetto all' "idealismo"; ma non rispetto a qualsiasi forma di idealismo, sia pure grandiosa, bensì rispetto a quella forma specifica che è l'"attualismo" di Giovanni Gentile. Questa affermazione riesce sorprendente già nella cultura italiana; in quella internazionale, poi, può suonare come un'esagerazione fuori luogo. Ma se si riesce a raggiungere il sottosuolo essenziale del nostro tempo, al di là cioè di quanto riusciamo a sapere di noi stessi, ci si imbatte in qualcosa di estremamente più sorprendente. Da un lato, e contrariamente a quanto di solito si crede, l'essenziale solidarietà tra attualismo e tecnoscienza; dall'altro la capacità dell'attualismo di portare oltre l'intera tradizione dell'Occidente. Ciò significa che il pensiero di Gentile è destinato a essere riconosciuto come uno dei tratti più decisivi della cultura mondiale.
Il volume contiene una nuova traduzione, riccamente annotata e con il testo originale a fronte, di tutte le opere che Montesquieu diede alle stampe durante la sua vita. Vale a dire: le Lettres persones (1721), il Tempie de Guide (1725), le Considérations sur les causes de la grandeur des Bomains et de lem décadence (1734), il Dialogue de Svila et d'Eucratc (1745), l'Esprit des lois (1748), la Défense de l'Esprit des lois (1750) e il Lysimaque (1754).
Esistono persone, anche accoppiate o sposate, che non sono mai entrate in intimità. Hanno vissuto per anni l'una accanto all'altra ma non tra di loro: l'Altro è diventato un essere familiare ma non intimo. Dell'Altro sanno tutto, atteggiamenti, gesti, collere e irritazioni, e non possono neanche farne a meno, tanto ci sono abituate. Ma ciascuna è rimasta dalla sua parte: non si sono mai incontrate. Al percorso discreto dell'intimità, così diverso da quello frastornante dell'amore, rivolge qui la sua attenzione François Jullien, mobilitando Omero e sant'Agostino ma anche Stendhal e Simenon per dare forza alla sua posizione. Mentre l'amore, con le sue dichiarazioni e le sue furie, rischia continuamente l'impostura, l'intimità è lo spazio della nostra autenticità e permette di costruire un "noi" perenne: il più profondo di ciascuno non si rivela che grazie a una relazione, a un uscire da sé.
Questo testo, infuocato e veemente “libello” composto nel vivo degli eventi della Rivoluzione d’ottobre, è certamente una delle opere più discusse di Berdjaev, e costituisce un deciso richiamo anche per l’uomo contemporaneo, invischiato nella crisi e propenso a vedere nella politica l’unica via d’uscita dai mali presenti.
Nell’opporsi ai rivoluzionari che tentano di riorganizzare la società con un’azione dall’alto, che esaltano il valore dell’uguaglianza come antidoto all’ingiustizia sociale e sperano così di fondare il paradiso sulla terra, Berdjaev ci ricorda che nessun sistema politico, per quanto giusto, è in grado di esaurire la domanda di significato dell’uomo, e che l’origine e il fondamento della vera politica non stanno in un progetto ma nella persona, nella sua “disuguale” unicità, nella libera risposta della creatura all’amore del proprio Creatore, unico motore in grado di trasfigurare veramente la società.
L’AUTORE
Nikolaj Berdjaev (1874-1948), filosofo religioso russo. Dopo un’iniziale fase marxista si riavvicinò all’esperienza ecclesiale ortodossa. Espulso dalla Russia nel ‘22, si stabilì a Parigi, dove diede forma ad un suo originale personalismo esistenziale cristiano. Tra le sue opere: Il senso della creazione (1916), La concezione di Dostoevskij (1924), Spirito e libertà (1927), L’io e il mondo (1932), Schiavitù e libertà dell’uomo (1939), Autobiografia spirituale (1948).
Gli atti del convegno che sono presentati in questo volume restituiscono l'articolata indagine sul declinarsi nella società odierna del secolare rapporto tra le religioni, la libertà e il potere. Il tema della libertà religiosa, messo a tema in occasione del diciassettesimo centenario dell'Editto di Milano, si occupa di comprendere gli spazi d'espressione delle religioni nell'oggi, in relazione alle istituzioni pubbliche e alla cultura civile. In particolare il testo riflette sullo snodo del rapporto tra cristianesimo e libertà di credere, tra la ricerca personale e l'espressione della fede comunitaria, nell'ambito di una società plurale in cui la tematica è diventata cruciale non solo per le religioni ma per l'intera società.