
"Immaginate di esservi persi in una grande, antica città. Ovunque vi voltiate, trovate qualcosa di interessante. Ma vorreste sapere dove siete. Il guaio è che ogni volta che pensate di essere all'uscita di un dedalo di vicoli, eccovi in un altro labirinto. Se salite in cima a una torre, potete guardare ai vicoli in cui vi eravate persi, e finalmente tutto diventa chiaro. Così in questo libro quando passeremo ad affrontare le questioni astratte, apparentemente distanti dai problemi pratici da cui siamo partiti, quel che faremo somiglierà al salire in cima a una torre." Da quella torre, Appiah dimostra come fare concretamente filosofia.
Con i Presocratici, nella Grecia del VI secolo a. C., inizia la riflessione filosofica nella cultura occidentale. Inizia anche quella che oggi viene chiamata la "storia della filosofia". Il volume affronta i seguenti argomenti: chi sono i presocratici. Modalità e problematicità della ricostruzione del loro pensiero; Creta e Mileto; i pitagorici; la poesia filosofica del VI e V secolo, Eraclito; Empedocle; medicina e matematica tra V e IV secolo; la filosofia giunge ad Atene; filosofia e scienza ad Abdera.
I molteplici e complessi rapporti tra l'anima e il corpo, le caratteristiche della psichè e i nessi tra le sue diverse funzioni e attività, le ricadute di tali diversificati rapporti sul piano ontologico, fisicobiologico ed etico-antropologico: sono solo alcune delle questioni messe a tema nei saggi raccolti in questo volume. Alcuni tra i maggiori studiosi di Aristotele hanno qui dato vita a un dialogo serrato e coinvolgente con i luoghi teoreticamente ed ermeneuticamente più caldi e interessanti del pensiero dello Stagirita: le problematiche intersezioni tra le nozioni di atto (energeia) e potenza (dynamis); le virtù, i loro intrecci e i ruoli da esse assunti all'interno delle dinamiche e delle strategie di edificazione della vita buona e felice; le passioni, le loro ricadute sul versante psichico e somatico. Tali contributi, che coprono la quasi totalità del corpus aristotelico, si rivelano innovativi anche per quanto riguarda l'utilizzo di testi non adeguatamente valorizzati dagli studi precedenti. Il volume consente dunque di riattraversare i crocevia storico-concettuali più significativi di un pensiero al tempo stesso antico e attualissimo, quale quello aristotelico.
Quale ruolo è immaginabile, oggi, per l'università in Italia? Che cosa significano libertà di ricerca, di insegnamento, di studio? Come è possibile dialogo fra differenti persone, discipline, culture? Collocandola nel dibattito sul dialogo interculturale, il volume affronta una questione di grande attualità, quella del rapporto fra università e lavoro, ricerca e insegnamento, saperi teologico-filosofici e scientifico-laici, scienza e istituzioni, libertà e verità. A partire da un approfondimento filosofico della libertà, l'università è pensata come autonomo libero spazio interrogativo, di apertura ad ogni ricerca e comunicazione, per avviare un rapporto fecondo fra saperi, culture e religioni, le molteplici persone e realtà dell'universo umano, al di là delle contrapposizioni dominanti bellicosamente il mondo odierno. In un'agile forma filosofico-divulgativa, attraverso brevi capitoli a tema, l'autore formula i principi del sapere universitario: inscindibilmente costituito di insegnamento e ricerca, criticità e creatività, autonomia e responsabilità, differenza e interdisciplinarietà, verità e libertà. La tesi centrale è che non c'è autentica libertà senza relazione con differenti prospettive, sino all'apertura dell'uomo alla verità che lo trascende, restando né religiosamente né ideologicamente qualificata.
A lungo considerate dagli studiosi come oggetto misterioso che non si sapeva in quale modo trattare, le opere mnemotecniche di Bruno si sono rivelate, soprattutto dopo il libro di Frances Yates, L'arte della memoria, come il centro e il motore occulto dell'intera sua opera. Ma non per questo hanno perso il loro aspetto cifrato, che non finisce di stupire. Gli equivoci insorgono subito, già dalla definizione della disciplina. Nata come tecnica utilissima agli oratori per esercitare la memoria, la mnemotecnica è diventata nel corso dei secoli, e soprattutto nel periodo fra Raimondo Lullo e Bruno, che segna il culmine dell'arte, un nuovo regime delle immagini - intese come fantasmi mentali. Questo secondo tomo include testi che, sotto vari profili, possono essere considerati fra i momenti più elevati dell'intera speculazione di Bruno. In particolare, il "Sigillus sigillorum" inizia a porre, attraverso una serrata discussione con i massimi esponenti della tradizione filosofica antica e rinascimentale - a partire da Marsilio Ficino -, le basi dell'ontologia della materia-vita infinita, da cui trarrà origine la cosmologia dell'universo infinito e dei mondi innumerabili, mentre il "De imaginum composizione", vero punto d'arrivo di tutta la riflessione mnemotecnica di Bruno, sfocia in uno stupefacente uso delle immagini, che ripropone in termini nuovi e originali il problema del rapporto fra mente, figura e parola.
I "frammenti postumi" di Friedrich Nietzsche raccolti in questo quinto volume testimoniano, nella dinamica molteplicità dei temi, un tumultuoso - e decisivo - periodo di transizione che si concluderà, simbolicamente, con il commiato definitivo da Richard Wagner. Nietzsche filologo "inattuale", critico e riformatore nel segno della Grecità e di Wagner, pone con risolutezza in discussione se stesso e le sue precedenti convinzioni, incamminandosi per una lunga e faticosa "via della liberazione" che, secondo un progetto destinato a non realizzarsi, avrebbe dovuto raggiungere al termine di un percorso di dodici "Considerazioni inattuali". E a due di queste, "Noi filologi e Richard Wagner a Bayreuth", sono legate gran parte delle riflessioni che si trovano in queste pagine. Da un lato, utilizzando i risultati delle nascenti scienze antropologiche ed etnologiche e cogliendo nell'antichità, accanto ai germi di una nuova mentalità libera e scientifica, la permanenza di un "pensiero impuro", Nietzsche si dimostra più che mai contrario alla concezione di uno "sviluppo naturale" della storia e della cultura presente nei filosofi hegeliani e nei positivisti. Dall'altro, individuando adesso una contrapposizione tra la categoria ampia di 'educazione' e i pericoli presenti nell'arte, si allontana sempre di più dal culto del 'genio' e dalla metafisica schopenhaueriana.
Nella primavera del 1672, il grande filosofo e matematico tedesco Leibniz arrivò a Parigi dove potè stringere amicizia con due dei più grandi filosofi del periodo, Antoine Arnauld e Nicolas Malebranche. Il confronto fra questi tre uomini eccezionali avrebbe prodotto effetti radicali, non solo per la filosofia leibniziana, ma anche e soprattutto per lo sviluppo del pensiero filosofico e religioso moderno. Nonostante l'enorme differenza fra le loro personalità e prospettive teoriche, i tre pensatori si diedero infatti un obiettivo comune: risolvere il problema del male nel mondo. Perché, in un mondo creato da un Dio onnipotente, infinitamente saggio, buono e giusto, esistono il peccato e la sofferenza? Perché alle persone buone capitano disgrazie e la fortuna arride ai malvagi? Cercando di risolvere questo enigma, Leibniz e i suoi colleghi francesi giunsero a conclusioni contrapposte circa l'essenza di Dio e lo scopo del suo agire. Cos'è più importante, si chiedevano i tre filosofi, la saggezza o il potere di Dio? E che rapporto sussiste tra fortuna in questo mondo e salvezza ultraterrena? Questo libro ricostruisce la storia di uno scontro tra visioni del mondo totalmente diverse, che ebbe al suo centro lo stretto rapporto di tre menti superiori, nutrito di mutuo rispetto ma anche di litigi, furore e indignazione. Ciò che emerse dalle loro conversazioni fu una vera e propria rifondazione moderna dei più antichi problemi filosofici.
Il volume raccoglie le relazioni tenute in occasione del convegno "Martin Heidegger treni'anni dopo", svoltosi a Bologna nei giorni 13-15 dicembre 2006 e organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell'Università di Bologna e dal Centro Italo-Tedesco di Villa Vigoni, con il patrocinio dell'AISE (Associazione Italiana degli Studiosi di Estetica). L'occasione del trentennale della morte di Heidegger (26 maggio 1976) ha fornito lo spunto per una riflessione che si è tuttavia tenuta lontana dalla tentazione di un bilancio, articolandosi piuttosto secondo le molteplici prospettive aperte dal pensiero heideggeriano: dal versante fenomenologico-ontologico al piano della riflessione etica, della filosofia del linguaggio e dell'estetica, fino all'analisi dei rapporti di Heidegger con i pensatori della tradizione europea.
Karl Lowith, a torto ritenuto solamente uno storico del pensiero, al contrario, si è confrontato con i problemi fondamentali della filosofia abbozzando una antropologia filosofica parallela a quella dei più noti Scheler, Plessner e Gehlen. Partendo da una analisi generale, Lowith propone un'indagine sull'uomo cercando di comprendere il senso di quella "e" speculativa che congiunge il binomio uomo-mondo, un costrutto concettuale divenuto problematico dopo la conclusione della metafisica cristiana e del suo orizzonte di senso.
DESCRIZIONE: Mai come oggi gli uomini si sono trovati a vivere tanto «prossimi» gli uni agli altri, in tempo reale, nel bene e nel male, tutti insieme. Il prossimo si è fatto a noi tanto prossimo da non consentire più di sentirci liberi di scansarlo o di accostarlo quando lo si incontra, come allora, sulla strada da Gerusalemme a Gerico. Per riacquistare la giusta distanza e la doverosa lungimiranza può giovare l’aiuto di un grande pensatore e di un grande credente: Søren Kierkegaard. Negli Atti dell’amore, l’opera che pubblicò nel 1847, al culmine della sua produzione letteraria, egli tratta del problema del «prossimo» a partire dalla capacità e dal dovere di ogni uomo di compiere atti vittoriosi su ogni egoismo. Il suo percorso è originale: egli non considera l’uomo come naturalmente egoista, nemmeno nel senso di egoismo come «amore di sé», che pensatori sia antichi sia moderni pongono come presupposto più che legittimo per indicare poi le vie virtuose idonee a fare evolvere in senso altruistico tale connaturato egoismo. Kierkegaard parte dall’alto, da ciò che è «supremo» in ciascun uomo, dagli atti dell’amore, e proprio in questi riscopre la presenza dell’umano-in-tutti: un tesoro nascosto, tutt’altro dall’incorreggibile «legno storto» di kantiana memoria.
Queste «riflessioni» sono filosofiche, ma possono avere come oggetto gli atti dell’amore solo in quanto esse sono cristiane. Kierkegaard è convinto, e lo dimostra qui a più riprese confrontandosi con «i pagani», ossia con la filosofia greca, che solo il cristianesimo ha scoperto che esistono atti d’amore, e soprattutto che questi possono e debbono essere compiuti da ogni uomo, dunque anche dai non credenti, in ogni tempo.
COMMENTO: Una nuova traduzione, curata da uno dei maggiori esperti italiani di studi kierkegaardiani, di questo testo ormai classico in cui il filosofo danese espone la teoria dell'amore cristiano, inserita nella NUOVA COLLANA DI FILOSOFIA.
UMBERTO REGINA insegna filosofia morale presso l’Università di Verona. Tra le sue opere pubblicate da Morcelliana ricordiamo: La vita di Gesù e la filosofia moderna (1979); L’uomo complementare. Potenza e valore nella filosofia di Nietzsche (1988); Servire l’essere con Heidegger (1995); Kierkegaard. L’arte dell’esistere (2005) e ha curato con Ettore Rocca, Kierkegaard contemporaneo. Ripresa, pentimento, perdono (2007).
La novità di ognuno ci guida alla scoperta di questa verità insieme antica e rivoluzionaria, intimamente legata a una delle questioni filosofiche capitali e attualissima, quella del libero arbitrio, oggi messo in discussione dal riduzionismo radicale di molti scienziati. Per fondare la sua riflessione, Roberta De Monticelli intreccia due cammini: da un lato ripercorre i passi dei maestri del pensiero filosofico su questo tema; dall'altro riparte dall'esperienza quotidiana di ciascuno di noi, dai nostri sentimenti, dai nostri atti. Perché non è certo una riflessione astratta volta a definire la natura umana. Al contrario, sono posti al centro dell'attenzione la nostra vita, i nostri sensi, la nostra carne, i nostri affetti. È proprio grazie alle nostre decisioni - attraverso ciascuna delle nostre decisioni, piccole e grandi - che definiamo la nostra unicità. Siamo noi stessi, in ogni istante, a costruire la nostra identità, la nostra persona. Oggi paiono dominare l'indifferenza politica e morale e il suo contrario, il richiamo a principi astratti d'autorità. La novità di ognuno ci dice invece che ciascuno di noi, fedele alla propria natura, è libero di scegliere - e dunque si deve anche assumere la responsabilità morale e politica delle proprie scelte.
Con l'eclissi delle fedi tradizionali il relativismo è diventato la filosofia dominante della cultura occidentale. In realtà ne esistono diverse varianti: per quello normativo le regole e i valori sono convenzioni culturali e tutte le culture si equivalgono; per quello cognitivo non vi è conoscenza certa, neppure nelle scienze. Boudon traccia la storia dei differenti relativismi e esorta a distinguere fra il relativismo "buono", che favorisce il rispetto per gli altri, e quello "cattivo", che conduce al nichilismo e nuoce alla democrazia.