Il filosofo della legge morale in perenne lotta contro le passioni corporee avrebbe, secondo una logora vulgata, semplicemente eluso il tema del corpo nella costituzione della soggettività etica. Vincenzo Bochicchio ricostruisce, in questo testo, l'immagine che Kant, nei margini della sua filosofia, si fa del corpo.
Immaginiamo un dialogo tra un grande filosofo del Seicento e un prestigioso scienziato nostro contemporaneo. Monsieur Descartes: "Penso ci siano pochi dubbi sull'esistenza di una libera scelta nel corso delle nostre azioni". Benjamin Libet: "Ma noi abbiamo scoperto che il cervello è pronto per un'azione volontaria circa mezzo secondo prima che la persona diventi consapevole in modo cosciente della sua intenzione! ". Descartes: "Resta una qualche possibilità al nostro libero arbitrio?". Libet: "Sì. L'intenzione cosciente appare circa 150 millisecondi prima". È tutta questione di tempo, del "tempo della mente" (Mind Time). In questo libro Libet ripropone l'antico problema della connessione tra il mentale e il fisico, e la non meno spinosa questione del libero arbitrio. Siamo davvero soggetti responsabili, capaci di scegliere? O siamo solo sofisticati "automi" prodotti dall'evoluzione naturale? Anche una pietra che cade da una torre lungo una verticale potrebbe "pensare" di essere libera, ma sarebbe solo un'illusione. L'ardua risposta, per Libet, va cercata nelle conquiste della ricerca sperimentale, per quanto lui stesso non abbia paura di sconfinare nel campo più elusivo dell'etica.
L'Occidente è oggi diviso. Ma all'origine di questa divisione non è il terrorismo, bensì una politica americana che ignora la legalità internazionale, relega in secondo piano l'Onu, determina la rottura con i tradizionali alleati europei. La frattura si prolunga anche all'interno degli stessi Stati Uniti e di molti paesi europei, dove sembra venir meno perfino l'accordo sui principi giuridici fondamentali. All'unilateralismo di Bush, sostiene però Habermas, si deve contrapporre un nuovo progetto cosmopolitico, che riattualizzi l'idea kantiana di "pace perpetua" e presti la dovuta attenzione al tema cruciale dei diritti umani.
"Non è vero che un'etica laica, senza assoluti e senza miti, non può fornire modelli educativi efficaci. Savarer lo dimostra: la moralità è autonomia, capacità di non sottomettersi, amore di sé nel senso migliore del termine. Un libro intenso ma anche amichevole, che genitori e maestri dovrebbero leggere e commentare insieme ai loro figli, discepoli, amici adolescenti." (Gianni Vattimo)
Il testo si presenta come un vero e proprio manifesto per la filosofia. Nella scrittura di Gennario prende corpo la filosofia di un pensiero strappato alla tecnica e restituito alla dimensione dell'umano, sottratto alla superficialità della chiacchera e immerso nelle profondità dell'animo: un pensiero che ritrova la sua originaria unità con l'essere e la passione della verità.
Agli inizi degli anni Ottanta del Cinquecento, nell'ambasciata francese a Londra, Giordano Bruno e Michel de Castelnau condannano i fanatismi religiosi: il primo da filosofo, il secondo da diplomatico. Ma nello Spaccio dell'uno e nei Mémoires dell'altro riemergono temi che vent'anni prima erano stati utilizzati dal poeta Ronsard contro "papisti" e ugonotti nei versi dei Discours des Misères de ce temps. In un appassionante analisi del dialogo bruniano, corredata di un ricco dossier iconografico, Ordine colloca queste opere nel contesto storico, letterario, filosofico della corte dei Valois, e mette a fuoco i rischi di qualsiasi fanatismo religioso. Miti classici ed emblemi rinascimentali prendono nuova vita in un progetto radicale di riforma a un tempo cosmologica, morale ed estetica. E se i testi di Ronsard illuminano l'opera di Bruno, il dialogo del filosofo invita a una rilettura del poeta fondatore della Pléiade.
"Il percorso di studi che qui prefiguro è a un tempo disarmante, per la semplicità del suo disegno, e scoraggiante, per la difficoltà della sua costruzione La mia ipotesi consiste nel tentativo di tracciare una via d'uscita alle non simmetriche, ma convergenti impasse in cui si sono cacciate la sociologia, fin dalla sua nascita, e la filosofia, dopo Hegel. Entrambe hanno commesso lo stesso errore, vale a dire non hanno compreso il nesso tra Illuminismo e Democrazia, con il risultato che la filosofia ha perso il proprio oggetto immediato, ovvero il soggetto che percepisce e giudica, e la sociologia non ha (quasi mai) trovato la sua storia. Quanto fin qui abbozzato esita nel presupporre che filosofia e sociologia sono imprescindibilmente legate, nel senso che dove termina l'una inizia l'altra. La non ammissione di questo legame ha causato la rottura del vaso di Pandora, i cui cocci sono sparsi, da una parte, sul terreno (non-filosofico) della filosofia, dall'altra sul terreno non ricchissimo di sedimentazione teoretica della sociologia". (Dalla premessa dell'autore).
Domandate a qualcuno "che cos'è la verità" e sarete ricambiati con un silenzio stupefatto o con una risata nervosa. In questo pamphlet Michael Lynch mostra che il crescente cinismo nei confronti della verità è generato in massima parte dalla confusione riguardo a ciò che la verità è. Ma la verità non ha solo dei nemici. Tra i suoi amici migliori annovera quanti ritengono che senza verità si possa ancora vivere ma che si tratterebbe di una vita ben misera. Il libro è adatto dunque per tutti quelli che chiedono al pensiero uno sforzo tenace ma rigoroso, per distinguere il ragionamento ben fatto dalla chiacchiera e dalla propaganda.
L'intera vicenda di uomo e di studioso di Gottfried Wilhelm Leibniz è segnata da tendenze fortemente contrapposte. Impegnato nei campi più disparati del sapere -filosofia, scienze, matematica, storia, diritto - ebbe un atteggiamento al tempo stesso sistematico, enciclopedico e dialogico, pronto ad accogliere sollecitazioni di ogni provenienza. Le sue opere fondamentali i "Saggi di teodicea", volti a giustificare la presenza del male nel mondo, e la "Monadologia", in cui si formula una vera e propria concezione dell'universo - hanno esercitato un influsso decisivo stilla riflessione successiva. Nel volume sono illustrate e documentate storicamente le idee leibniziane, ma anche ricostruite le questioni teoriche e gli obiettivi scientifici ad esse sottesi.
DESCRIZIONE: Due sono stati negli ultimi decenni i modelli interpretativi della filosofia platonica: un modello, ispirato a Schleiermacher, ha privilegiato l’interpretazione cronologica dei dialoghi, l’altro, proprio delle scuole di Tubinga e Milano, ha reinterpretato tutto Platone alla luce delle «dottrine non scritte». Come per sottrarsi a unilateralità ermeneutiche, l’autore di questo volume legge «il corpus platonico come un vero e proprio "protrettico" che propone filosofia per costringere il lettore a trovare soluzioni sulla base di poche indicazioni, il che implica la proposta di difficoltà crescenti che via via nello svolgimento delle opere selezionano i "veri filosofi". Platone appare convinto socraticamente che la filosofia è lavoro comune e scoperta. Ciò dà luogo a un insegnamento che, sempre, ma soprattutto nella forma scritta, avvicina al vero senza rivelarlo, comunica informazioni vere che non sono tout court la verità, ma che richiedono la partecipazione, l’elaborazione e lo sviluppo da parte del lettore». Un modello messo qui alla prova nella disamina del Sofista: ad assumere inaspettati significati sono i suoi punti più controversi (la dialettica come esercizio diairetico, il parricidio di Parmenide, la scoperta del non-essere in quanto "diverso").
L'AUTORE è ordinario di Storia della filosofia antica all’Università di Macerata. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Dialettica e verità. Commentario filosofico al «Parmenide» di Platone (Vita e Pensiero, Milano 20002), L’uomo tra piacere, intelligenza e Bene. Commentario storico-filosofico al "Filebo" di Platone (ivi, 19982), Arte politica e metretica assiologica. Commentario storico-filosofico al "Politico" di Platone (ivi, 1996). Presso la Morcelliana ha curato: Gigantomachia. Convergenze e divergenze tra Platone e Aristotele (2002) e Dio e il divino nella filosofia greca («Humanitas» 4\2005).
COMMENTO: Un commento al celebre dialogo platonico (che affronta i temi del non-essere e della legittimità dell'idea del diverso) da parte di uno dei più autorevoli storici del pensiero antico.
«Tutti facciamo esperienza del "due". Più banalmente, come polarità (tutte le volte che ci capita di dire: per un verso/per l'altro; oppure quando, col linguaggio un po' frusto della psicanalisi, facciamo riferimento alle nostre "parti : quella maschile e quella femminile, quella buona e quella cattiva...); più tristemente, nella forma del sotterfugio, della doppiezza, della vigliaccheria; più radicalmente, nella forma della disperazione (che in tedesco si dice "Ver-ZWEI-flung", e contiene un due non risolto), della doppia verità, di due istanze che si divorano a vicenda; più felicemente, nella forma della redenzione, che amando questo salva quell'altro, che s'intende di unioni ipostatiche, che non deve scegliere tra il centuplo quaggiù e l'eternità. Il "due", così identificativo dell'identità europea, è, anche, lo stigma del nostro tempo. Questo libro, nei suoi sogni più irrealistici, ma non per questo irresponsabili, vorrebbe portarlo a compimento, dunque compierlo e superarlo insieme.» (Enrico Guglielminetti)
I due testi qui tradotti sono felicemente complementari. Il primo raccoglie una lunga serie di note che, verso la metà degli anni Trenta, Ludwig Wittgenstein stese in preparazione di un corso di lezioni a Cambridge: il secondo contiene gli appunti che Rush Rhees, suo allievo, amico e futuro esecutore letterario, prese durante una parte di quelle lezioni. Entrambi sono una vivida testimonianza del lavoro filosofico di Wittgenstein e ci fanno con grande chiarezza capire che la scrittura e l'insegnamento erano per Wittgenstein non il deposito, bensì il luogo e l'elemento vitale del suo pensiero: Wittgenstein pensava scrivendo e insegnando. Al centro di queste note e appunti vi è il tentativo di smascherare le immagini (interno/esterno; diretto/indiretto; profondità/superficie) che hanno condotto la filosofia quella che qui Wittgenstein chiama anche "metafisica" o "metapsicologia" - a relegare la nostra soggettività in un interno "superprivato", nascosto e invisibile a tutti eccetto che a noi stessi, formato di "oggetti" mentali privati che l'occhio della mente vede, indica e battezza, E questo rinchiudersi della soggettività in un interno impenetrabile che ha prodotto, di volta in volta, il problema degli altri, reso plausibile l'ipotesi di una mendacità universale, reso attraente, per alcuni, la via del solipsismo, per altri, quella del comportamentismo.